L’evasione possibile – provviste per l’inferno
In queste giornate di quarantena forzata, alcunx di noi hanno deciso di continuare a vedersi per discutere di quel che ci succede intorno: operai ed operaie mandatx al macello a lavorare senza misure di sicurezza adeguate, detenutx abbandonatx a loro stessx in condizioni più che favorevoli per la propagazione del virus all’interno delle carceri, senza fissa dimora sgomberati e depredati di coperte e sacchi a pelo ed in qualche caso pure multati perchè non sono stati a casa loro (ma quale casa?!).
Come non bastasse, sempre più sbirri e militari nelle strade con nuovi poteri e dispositivi di controllo e “sicurezza” fino ad ora mai sperimentati, e al confine dell’Europa che succede con le persone migranti?! Sembra tutto passato sotto silenzio…
In tutto questo già lugubre scenario sfavorevole ai/alle dannatx della terra, ci si mettono pure le spie! La delazione sembra esser diventata lo sport nazionale. Gente che passa la giornata ad incazzarsi ed infamare le persone che camminano sotto casa o si siedono su di una panchina o fanno una corsetta, considerandole il/la peggior nemicx: i/le famosx furbettx. Ecco queste stesse persone sentenziose che ci fanno a zonzo?! (Tu non sei imbottigliatx nel traffico… tu sei il traffico!) Siamo sempre prontx a giudicar le altre persone perché non abbiamo un briciolo di empatia e non riusciamo ad immedesimarci nell’altrx, il tutto avallato dal presuntuoso errato presupposto di essere sempre “i buoni”.
Ecco in questo delirio noi abbiamo deciso di riappropriarci di quel briciolo di libertà che ci rimane, perché fino a prova contraria non siamo in uno stato di polizia (per adesso) e vederci per parlare di tutti questi importanti cambiamenti ci sembra più che un dovere […].
Perché noi sappiamo chi sono i responsabili di tante di queste morti (e purtroppo morti future) e non saranno certo loro a dirci come affrontare tutto questo. Appelliamoci alle nostre coscienze ed armiamoci di coraggio, perché la merda sta venendo a galla e rimaner a casa è un lusso che ora non ci possiamo permettere. Incontriamoci con tutte le precauzioni del caso: se qualcunx ci spiega come uscire in bici da solx ed incontrarsi all’aperto e parlarsi a distanza l’un dall’altrx con maschere e guanti, possa esser oggettivamente pericoloso per le altre persone, siam pronti a ricrederci, in ogni caso non sentiamo affatto gli stessi rimproveri paternalistici quando si va a produrre per un padrone. “Perché il lavoro è cosa necessaria e tutto deve andare avanti”. Ma noi siamo sicurx che vogliamo tornare (ammesso di riuscirci) a come era prima?! Si stava davvero così bene?! O forse nuovamente vogliamo solo difendere il nostro privilegio? Cambiare spaventa tuttx ma questo è un momento in cui le possibilità di lotta e solidarietà con tutti i piccoli grandi momenti insurrezionali o di protesta che si possono generare sono molteplici e di portata incalcolabile. Una volta data per assodata questa possibilità di riscatto e presa di coscienza di un’intera classe, torniamo a ripetere che per noi il minimo è vederci per parlarne e non crediamo di esser degli untori ed untrici assassinx. Nessunx può dire con esattezza quanto durerà questo periodo e soprattutto se sarà mai un periodo, ma noi non siamo carne da macello e non smetteremo di organizzarci contro chi ci considera tali.
No. Noi non siamo “pronti alla morte”. Non vogliamo morire e non vogliamo che nessunx si ammali e muoia. Non ci facciamo arruolare nella fanteria destinata al massacro silente.
Siamo disertori e disertrici, ribelli e partigianx.
Category Archives: Italiano
Cronache dal contagio – giorno 14
Oggi finalmente siamo usciti di casa.. sono giorni che siamo rinchiusi.
Giriamo per una città deserta, vediamo le macchine parcheggiate, quasi nessuno in giro. Sembra ci sia appena stata una guerra chimica.
Io guido, lei è sul sedile posteriore, quello opposto al mio.
Anche se dormiamo nello stesso letto, se ci fermassero adesso l’uno accanto all’altra potrebbero denunciarci, qualcuno dice il carcere. Ma abbiamo deciso di evitare di rischiare perché oggi infrangeremo la legge, la stiamo già infrangendo. Siamo fuori senza un ‘motivo valido’.
Ci fermiamo nel parcheggio di un supermercato cosicché l’esser fuori di casa non attiri l’attenzione. Ci copriamo la bocca e ci mischiamo nel gregge.
La fila scorre e noi no, iniziamo a pensare che qualcuno potrebbe notarlo, allora sdrammatizziamo.
Siamo nervosi.
Poi arrivano e istintivamente, infrangiamo un altro divieto. Superiamo il metro che dovremmo mantenere e li abbracciamo. Esageriamo proprio e ci diamo pure due baci. Poi ci guardiamo intorno. Non sembra che ci siano delatori, però forse quel signore… siamo cinque persone assieme, non abbiamo guanti, né mascherine, decidiamo che non è sicuro.
Allora ripartiamo, una macchina dietro l’altra.
Uno di loro si nasconde sotto il sedile, se li vedessero tutti e tre assieme in una sola macchina li fermerebbero e dovrebbero giustificare la loro presenza.
Non hanno nemmeno il modulo, né uno scontrino da esibire. Cosa ci fanno qui?
Il luogo dove pensavamo di fare ciò che dobbiamo è troppo affollato visto il periodo, ne va trovato un altro.
Ci ricordiamo di un posto, ma è un po’ lontano, dovremo girare un po’.
Cerchiamo di evitare eventuali posti di blocco facendo vie secondarie, non ci sono macchine in giro, ci fermerebbero.
Alla fine arriviamo al posto, prendiamo la valigia e velocemente ci allontaniamo dalle macchine, nascondendoci alla vista di possibili passanti.
Controlliamo nervosamente attorno, pare che tutti siano rinchiusi nelle loro case protette, loculi contro il contagio. Qui siamo sicuri, possiamo iniziare, non dovrebbe accorgersene nessuno.
Ci sediamo, tiriamo fuori il cibo e iniziamo a parlare..
Ciò che fino a qualche giorno fa pareva scontato, ora non lo è più.
Chi ha causato l’epidemia oggi ci toglie quasi tutte le libertà individuali rimaste.
Ora viviamo in una dittatura totalitaria. Un tecno-totalitarismo perché, rispetto ai totalitarismi storici, quelli obsoleti, quelli contemporanei possono utilizzare raffinati strumenti tecnologici per controllarci. Dalle telecamere, al tracciamento del telefono, controllo delle chiamate, dati, sms.
E, certo, utilizzano ancora i vecchi metodi, quelli non passano mai di moda.
Il posto di blocco, il manganello, la perquisizione, il fucile, l’intimidazione, la galera.
E poi la classica delazione, perché dentro ogni buon cittadino si nasconde un mezzo sbirro.
Dicono che sarà un periodo d’eccezione, che tutto tornerà come prima, riavremo le nostre limitate libertà. Ma ci hanno mentito troppe volte. Perché questa volta ci dovremmo fidare?
Bolzano – Silenzi e grida
Di riflessioni sulla gestione dell’epidemia di coronavirus – sul fatto che a dispetto della retorica ufficiale sia più che mai evidente che ci troviamo tutt’altro che tutti sulla stessa barca, sull’emergenza come esperimento di controllo sociale, sull’introduzione di misure in questo senso che come avvenuto per altre emergenze in passato ci rimarranno in eredità anche a emergenza conclusa, sulla possibilità che questa crisi nasconda opportunità per costruire solidarietà e di attacco – se ne possono e potranno leggere altrove molte, alcune delle quali sicuramente più solide e acute di quelle che potremmo proporre noi in questo momento. Qui ci interessa solo riportare alcuni fatti, apparentemente non collegati tra loro, accaduti in città nell’ultima settimana.
Mercoledì, già in piena emergenza coronavirus, polizia municipale e Seab hanno sgomberato i senzatetto che si erano accampati all’interno del deposito comunale di viale Trento – uno spiazzo recintato sotto il viadotto dell’autostrada e a ridosso della ferrovia. Secondo il Corriere dell’Alto Adige lo sgombero – recentemente richiesto dal consigliere fascista Caruso e che ha incassato il plauso di Andrea Bonazza di CasaPound – si è svolto non senza “proteste” e “tensioni”, comprensibilmente visto che, proprio nei giorni in cui si invita ossessivamente tutti a rimanere a casa, gli occupanti si sono visti distruggere quel poco di riparo che avevano arrangiato senza ovviamente che venisse loro proposta alcuna sistemazione alternativa. La vostra sicurezza è guerra ai poveri, recita una scritta comparsa su uno dei piloni dell’autostrada.
Nei giorni successivi, con la città già deserta e appena in tempo rispetto al blocco dei cantieri non urgenti, sono state abbattute le decine di alberi nella zona di parco Stazione interessata dai lavori per il WaltherPark, che nei prossimi mesi dovrebbero trasformare l’intera zona tra piazza Verdi e la stazione nel centro commerciale e residenziale per ricchi del miliardario austriaco Benko. Del resto nel silenzio generale è trascorso anche tutto il periodo dall’approvazione del progetto – con l’inconsistente opposizione consumata nella consultazione popolare farsa del 2016, plebiscito sulla promessa di riqualificare la zona, cioè di eliminare i poveri che la vivono – ad oggi.
Martedì pomeriggio un gruppetto di compagni si è presentato sotto le mura del carcere di via Dante per portare un saluto solidale ai detenuti che come nel resto d’Italia come unica misura contro il contagio si sono visti bloccare i colloqui, mentre rimangono stipati in strutture sovraffollate e malsane con un’assistenza sanitaria pressoché inesistente e la probabilità che il virus venga portato dentro dai secondini. Qualche parola sulle decine di rivolte dei giorni precedenti e sui morti nelle altre carceri, sulla situazione dentro, poi, nell’andar via, i compagni sono fermati e identificati. Ieri (domenica) pomeriggio, in pieno coprifuoco, delirio di tricolori e inni di Mameli dalle finestre e chiamate alle forze dell’ordine per segnalare chi fa una passeggiata – mentre operai e trasportatori devono continuare a lavorare come prima anche in filiere di prodotti tutt’altro che di prima necessità – qualche compagno è riuscito – sempre con le dovute precauzioni – a tornare sotto le mura per un saluto e per condividere un po’ di rabbia. Nel giro di qualche minuto si è creato un bell’assembramento di sbirri, che stavolta hanno fermato e trattenuto per un po’ dei passanti che erano rimasti ad osservare.
Riportiamo di seguito un testo sulla necessità della solidarietà a e tra coloro per i quali la parola sicurezza suona solo come una minaccia anche in questi frangenti, circolato in questi giorni a Bolzano:
L’unica sicurezza è la libertà!
La scorsa settimana abbiamo assistito a più di 30 rivolte e proteste da parte di detenuti e detenute che hanno messo a ferro e fuoco e in crisi il sistema penitenziario Italiano. Armerie assaltate, personale sequestrato, colonne di fumo nero, persone sui tetti, insomma immagini che le generazioni più giovani hanno forse visto solo su qualche libro, film o documentario. Con tutto quello che sta succedendo, non possiamo permetterci il lusso di stare chiusx in casa. Prendiamo le dovute precauzioni ma scendiamo in strada, perché continua a salire il conteggio dei morti nelle rivolte. Chi sta dentro ha dato un esempio di lotta raro di questi tempi quasi privi di solidarietà fra gli/le oppressx e le/gli sfruttatx. Ora sta a noi fuori dare risonanza a queste urla di protesta che lo stato vorrebbe seppellire in un assordante silenzio. Come? Recandoci sotto le carceri di tutto il paese, portando la nostra solidarietà e complicità a rivoltosi e rivoltose, violando il divieto di riunione e assembramenti (con tutte le precauzioni del caso, copertx in volto e ad un metro di distanza l’un dall’altra) e soprattutto violando quando fosse possibile il blocco dei colloqui dando la possibilità ad amiche, amici e parenti di comunicare, anche solo per salutare i/le propri/e carx all’interno delle prigioni con impianti audio o megafoni.
(Non siamo ancora ufficialmente in uno stato di polizia, ma meglio abituarci tuttx a non farci paralizzare dalla paura di chi ci vorrebbe zittx, buonx, divisx ed ubbidienti.)
Riempiamo le nostre città di striscioni appesi ai balconi delle nostre abitazioni, come stanno facendo a Rovereto, in solidarietà con le rivolte di questi giorni e se a qualcunx può sembrare poca cosa, si possono riempire i muri della città di scritte che chiedono vendetta per i detenuti morti nelle rivolte, come successo a Modena un paio di giorni fa (di notte non c’è nessunx in strada e non si corre il rischio di infettare o essere infettatx). Il governo, stato e istituzioni ci dicono di stare a casa! E chi una casa non ce l’ha?! E chi è costrettx ad andare a lavorare perché sennò perde il lavoro?! Mai come in questo momento lo stato considera le persone che sono costrette a dormire all’aperto, le persone povere, precarie, e tuttx i/le detenutx, CARNE DA MACELLO. Questa è una guerra di classe che ci colpisce in un momento molto delicato, ma come un fulmine a ciel sereno ci fa rendere conto di quanto i nostri nemici siano gli stessi. Se fossimo davvero tuttx sulla stessa barca, cioè nella stessa condizione per affrontare questa ennesima crisi nella crisi (come ci vuol far credere lo stato), allora una volta passato questo momentaccio che facciamo? Dividiamo tutto con i padroni delle fabbriche? Con i padroni delle nostre case? Con lo stato che ci imprigiona e rapina con le sue tasse?!… Avevate detto voi che eravamo tuttx sulla stessa barca, no?! Ma sulla stessa barca non ci siamo proprio per niente, perché ai carcerati e carcerate non ci pensa nessunx, e i/le detenutx rischiano ogni giorno di essere infettatx dalle guardie che entrano ed escono dalla struttura, e attenzione a protestare perché hanno il potere di ammazzare e farla franca non solo col virus, infatti in questi giorni abbiamo visto morire più di dieci detenuti di sospette overdosi, casualmente tutte le “vittime” avevano preso parte attiva nelle rivolte e alcuni di loro sono morti dopo essere stati trasferiti. Abbiamo molti dubbi siano morti davvero di overdose, il sospetto di una vendetta da parte dei secondini e quindi di omicidio di stato è per noi molto grande. Ma purtroppo poco cambia perché ogni volta che un/a detenutx muore in carcere, anche si fosse suicidato, tutta la responsabilità è del maledetto carcere e della maledetta società che ci rinchiude al suo interno. Lavoratori e lavoratrici si stanno rendendo conto di quanto valga la loro vita per i padroni e per i sindacati al loro servizio e qualche protesta e sciopero sta prendendo piede, le carcerate e i carcerati così come tuttx i/le rivoltosx nei CPR ci stanno impartendo una lezione di lotta, solidarietà e coraggio che rimarrà marchiata a fuoco nella nostra memoria, ma non basta, sta a noi ora dare risonanza a queste urla di rabbia e portarle fuori da quelle maledette mura, affinché di quest’ultime rimangano solo fumanti macerie. Tutte libere tutti liberi
Milano – Scattano scioperi e agitazioni: «Troppe attività non essenziali»
L’appello dei sindacati a interrompere la produzione. «Misure che non terranno a casa 300 mila persone. Gli ammortizzatori sociali ci sono e vanno utilizzati»
Scioperi per arrivare là dove non arrivano le misure governative. Da giorni i sindacati lombardi (e non solo) avevano messo in preventivo azioni «dal basso» per fermare l’attività in molti luoghi di lavoro dove l’inevitabile vicinanza tra i lavoratori perpetua i rischi di contagio. E ieri, all’indomani del nuovo decreto del presidente del consiglio e, anche, della più restrittiva ordinanza regionale, Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di passare all’azione: appelli all’iniziativa delle rappresentanze aziendali, proclamazione di scioperi di settore e, in qualche fabbrica, stop immediato della produzione.
I tre leader regionali dei sindacati confederali — Elena Lattuada, Ugo Duci, Danilo Margaritella — hanno sollecitato «una forte iniziativa delle Rsu e delle strutture categoriali territoriali affinché vi sia la chiusura delle attività aziendali non essenziali in questa fase di emergenza». Perché secondo i sindacati il nuovo decreto di Palazzo Chigi considera essenziali «attività di vario genere che di essenziale, strategico e necessario in questa emergenza non hanno nulla». Con la conseguenza di «ridurre ai minimi termini» il numero dei lavoratori che possono rimanere a casa. «Così non si può — scrivono i segretari di Cgil, Cisl e Uil —. Il valore della vita e della salute non ha prezzo e non può essere barattato con nessuna ragione economica, lo stesso protocollo sottoscritto una settimana fa a difesa della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro non è stato ovunque applicato».
Come spesso succede, tra le categorie più reattive alla chiamata allo sciopero ci sono le tute blu. I sindacati dei metalmeccanici Fiom, Fim e Uilm hanno già proclamato per domani l’astensione dal lavoro di otto ore «in tutte le aziende che non hanno produzioni essenziali e di pubblica utilità per le necessità del Paese e in tutti quei luoghi di lavoro dove non ricorrano le condizioni di sicurezza». Questione di minuti ed è arrivata l’analoga proclamazione da parte di Filctem, Femca e Uiltec, cioè le organizzazioni confederali che rappresentano i circa 80-100 mila lavoratori dei settori chimici, tessile, dell’energia e della manifattura lombarda: «L’aver inserito nelle imprese da considerare essenziali una serie di attività di vario genere depotenzia il decreto e crea l’effetto di ridurre ai minimi termini il numero delle lavoratrici e dei lavoratori che potranno rimanere a casa — spiega una nota unitaria —. Chiediamo alle associazioni datoriali e alle aziende di avere senso di responsabilità e di non determinare ulteriori tensioni ed esasperazioni tra i lavoratori». Con la richiesta di «utilizzo degli ammortizzatori sociali per consentire la fermata dei lavoratori». E mentre i sindacati del pubblico impiego hanno fatto partire le diffide per esigere l’applicazione di forme di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche lombarde, alla Siae Microelettronica di Cologno Monzese è scattato lo sciopero immediato.
Ma quanti sono i lavoratori chiamati alla produzione e quanti quelli che debbono stare a casa, secondo le nuove norme? «Possiamo stimare che sono circa 554 mila i lavoratori espressamente autorizzati a svolgere la propria attività — spiega Antonio Verona, che studia i numeri del mercato del lavoro per la Cgil milanese — e non è detto che i restanti 912 mila, sul totale di 1.466.003 occupati nella Città metropolitana di Milano, siano totalmente esclusi dalle attività lavorative a causa della contraddittorietà delle norme». Insomma, secondo Verona, «le conseguenze che il nuovo decreto del presidente del Consiglio produce sulle attività milanesi sono alquanto modeste, soprattutto se confrontate con la situazione che si era consolidata per effetto delle disposizioni precedenti». E l’ordinanza regionale, aggiunge, «non ha fatto che complicare le cose, con il risultato che i circa 300 mila addetti ad attività non essenziali continueranno probabilmente a essere in giro per il territorio metropolitano». Ma nel frattempo molte attività produttive potrebbero essere fermate da uno sciopero generale a livello nazionale.
https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/20_marzo_24/scattano-scioperi-agitazioni-troppe-attivita-non-essenziali-6174799a-6d9e-11ea-9b88-27b94f5268fe.shtml?refresh_ce-cp
Cremona – Chi ha detto non si può?
A quanto pare il controllo del territorio non è così capillare come lo Stato vorrebbe farci credere, tanto che diversi bancomat sono stati rapinati nele ultime ore e diverse macchine saccheggiate.
Allora il mondo fuori esiste ancora…
Note epide(r)miche
Il suo nome mi è letteralmente balzato in mente la scorsa settimana. Ero andato a prendere il pane e, una volta arrivato dal fornaio, mi è venuto istintivo contare fra i clienti presenti dentro e fuori il locale quelli che portavano la mascherina. Fu lì che accadde. Mi resi conto d’un tratto che avevo appena ripetuto il conteggio del filologo tedesco Victor Klemperer, testimone e studioso dell’ascesa del Terzo Reich: «il nostro morale cambia di giorno in giorno. Contiamo quante persone nei negozi dicono “Heil Hitler!” e quante dicono “Buongiorno”. Ieri al panificio cinque donne hanno detto “Buongiorno” e solo due “Heil Hitler”: il morale risale. Oggi, dal macellaio, tutti hanno detto “Heil Hitler”… il morale scende». Lo ammetto, in quel preciso momento ho sentito un brivido dietro la nuca.
Rileggere il suo diario non è servito a placare la mia inquietudine, anzi. Ho un bell’evidenziare tutte le truculente differenze che ci separano da quegli anni, le similitudini spiccano comunque. Terrificanti, sebbene quasi prive di macchie di sangue. Anche all’epoca la popolazione era convinta di essere minacciata da un pericoloso virus, «l’Ebreo», in grado di infettarla. E nel giro di poco tempo un paese intero, noto per altro per il suo enorme apporto alla filosofia, venne travolto da una sorta di delirio di massa. Le credenze più ridicole si diffusero a macchia d’olio, spingendo uomini comuni a commettere gli atti più aberranti. E poi l’uso del sentimento per allontanare ogni riflessione critica, la martellante retorica bellica, l’ossessione tecnica per raggiungere l’omogeneità…
Sì, è in mezzo a quelle pagine che ho capito come il virus mortale che deve essere oggi debellato non sia affatto il Covid-19. Siamo noi. Noi che, come gli ebrei, non possiamo più uscire di casa. Noi, che non possiamo più frequentare biblioteche, cinema, ristoranti, parchi. Noi, che abbiamo il permesso di varcare la soglia solo per il tempo necessario a procurarci i generi di prima necessità. Noi, costretti a giustificare la nostra presenza alla prima uniforme che ci incrocia per strada. Noi, che ci consoliamo con l’identico ritornello di allora («La follia totale non può durare, una volta che sia svanita l’ubriacatura popolare, lasciando dietro di sé solo un gran mal di testa»). Noi, che parliamo la lingua del nemico. Noi, fra cui non manca neppure chi ammira le autorità. Noi, che attendiamo ogni giorno attaccati ai nostri dispositivi elettronici la lieta notizia della fine dell’incubo.
Ma non finirà mai, anzi, peggiorerà, se non saremo noi stessi a porvi fine. Come diceva l’autore di La Peste, «La speranza, al contrario di quanto si pensi, equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi».
Alcuni giorni fa un medico epidemiologo che insegna in una celebre università statunitense ha espresso tutta la sua preoccupazione per quanto sta accadendo. A spaventarlo non è tanto l’epidemia in corso quanto ciò che ha suscitato, ovvero una reazione politica e sociale in buona parte dettata dalla paura. A suo dire il serio rischio che si sta correndo è quello di finire come l’elefante che, in preda al panico per essere stato attaccato da un topolino, cerca di scappare lanciandosi in un dirupo. In mancanza di informazioni più precise sul pericolo effettivo del virus e soprattutto sulla profondità del dirupo, il rimedio potrebbe rivelarsi più letale del malanno. Per amor di discussione, egli arriva al punto da ipotizzare lo scenario più catastrofico (pur precisando di non ritenerlo verosimile): il virus contagerà il 60% dell’umanità causando 40 milioni di morti, una cifra pari a quella provocata nel 1918-20 dall’influenza spagnola. Con una differenza fondamentale, però. Che il coronavirus rischia di fare un’ecatombe di anziani e malati gravi, mentre la spagnola aveva seminato la morte fra tutti indistintamente, giovani e bambini inclusi. Ebbene, si domanda questo epidemiologo, quante e quali vittime ci saranno se l’elefantiaca umanità si lancerà nel dirupo? Ha senso che per evitare la morte di milioni di persone con una breve aspettativa di vita si corra il forte rischio di provocare la morte di miliardi di persone anche fra quelle che hanno una lunga aspettativa di vita?
Si dirà che si tratta di un ragionamento da ragionieri, tipico frutto del pragmatismo anglo-sassone. È vero, ecco perché potrebbe essere il più comprensibile per chi pensa solo al proprio interesse e alla propria sopravvivenza. Noi abbiamo preso atto della cecità e sordità e mutismo nazional-popolare davanti allo scempio che le misure governative stanno facendo della benché minima libertà e della dignità umana, ma i cittadini che approvano la sospensione forzata della vita pubblica prenderanno atto delle innumerevoli vittime provocate da questa isteria di massa? A partire da chi sta morendo già oggi, chi suicidandosi per timore del risultato del tampone (è accaduto in Veneto), chi venendo trucidato per aver tentato di fermare gli esasperati dalla reclusione (è avvenuto nel Lazio), chi spirando per mancanza di mezzi sanitari tutti dirottati sull’emergenza (è avvenuto in Puglia). E fra gli emarginati ed i più poveri, quelli che già ieri faticavano a tirare avanti, in quanti non avranno più scampo e soccomberanno del tutto? E dopo di loro, cosa accadrà a chi lavorava nelle molte imprese che non saranno in grado di riprendersi e si ritroverà senza più lavoro? Per non parlare di quando le azioni crollate in borsa verranno rastrellate e comprate per due soldi, permettendo a pochissimi squali di fare indigestione di moltissimi pesci piccoli e medi stremati dalla debolezza. Quanti morti provocherà, in quasi tutti gli ambiti sociali, l’esplosione di tutta questa disperazione che sta montando sotto i nostri occhi?
Se lo sono chiesto i mentecatti e sbruffoni italioti che — dopo aver indossato mascherine, essersi cosparsi di antisettico e barricati in casa — escono sui balconi a cantare in coro «siam pronti alla morte»? Lo vedremo presto, se e quanto siano pronti.
La vecchia propaganda di guerra si basava sulla disinformazione, sulla manipolazione, sulla censura. Ciò significa che, prima di essere riportati, i fatti venivano opportunamente selezionati, edulcorati o taciuti del tutto. Lo scopo era di sottrarre il più possibile la loro cruda realtà alla vista di uno sguardo attento. Oggi a queste tecniche (sempre presenti, basti pensare al silenzio imposto ai medici sanitari fuori linea) se n’è aggiunta un’altra, l’indifferenziazione per eccesso. Le informazioni vengono date con tale velocità e in tale quantità da non permettere ad una coscienza stordita e sovraccaricata di coglierne il senso, di discernere il vero dal falso. È un po’ lo stesso metodo usato da Poe nella Lettera rubata; non occorre nasconderla, per non farla vedere basta metterla in mezzo a mille altre cianfrusaglie.
Gira voce tra i «negazionisti» della pandemia in atto, che i morti di coronavirus siano pochissimi. Si tratta di una bufala, ovviamente, di una fake news (per gli antiquati del linguaggio, una notizia falsa) a cui non bisogna dare credito. La verità vera la conoscono solo gli esperti al diretto servizio dello Stato, come i funzionari dell’Istituto Superiore di Sanità. Loro sì che sanno come stanno le cose. Ascoltiamoli e leggiamoli, allora. Pochi giorni fa, nello snocciolare i numeri del quotidiano bollettino di guerra ci hanno infilato questo: stando alle ultime statistiche settimanali, le vittime di solo coronavirus sono lo 0,8% del totale dei morti attribuiti alla pandemia. Tutti gli altri erano già malati gravi, spesso più di là che di qua, a cui il virus ha solo dato il colpo finale. Se la matematica non è un’opinione e se quel dato può essere usato a parametro generale, ciò vuol dire che un paese composto da sessanta milioni di abitanti, la stragrande maggioranza dei quali gode di buona salute, si è paralizzato dalla paura per un virus che ha ucciso… sì e no una quarantina di persone sane? Ovvero lo 0,07% circa di tutti i contagiati?
Ciò non ci aiuta a capire molto bene il motivo per cui il Belpaese sia diventato d’un tratto uno Stato di polizia a tutti gli effetti, e per di più col plauso generale dei suoi novelli sudditi, ma per lo meno spiegherebbe la discrepanza esistente fra il tasso di mortalità attribuito al coronavirus in Italia e quello relativo al resto del mondo. Se in Germania si registrano molte meno vittime, ad esempio, è perché là si conteggiano solo o soprattutto i morti di coronavirus, non i morti con coronavirus. D’altronde, perché fare diversamente? In Baviera è bastato citare l’esempio italiano per terrorizzare la popolazione e farle accettare misure draconiane. È il progresso dei tempi. Hitler dovette non solo ispirarsi a Mussolini, ma superarlo in crudeltà.
Certo, è imbarazzante essere trattati da imbecilli fino a questo punto. Del resto le autorità ne hanno non solo la possibilità, ma anche la motivazione. I mass media si rivolgono a tutti indistintamente, non a ciascuno singolarmente. Quindi, se il popolo ha dimostrato in più di un’occasione la propria stupidità, i singoli che si presume ne facciano parte avranno anche tanto da lamentarsi, ma ben poco di cui stupirsi. Becchiamoci perciò in faccia pure l’ennesimo studio condotto dai soliti esperti, i quali sono giunti alla conclusione che l’avanzata del contagio del virus non abbia nulla a che vedere con l’inquinamento atmosferico come sostenuto da alcuni medici. Che l’aria sia piena di ossigeno o di anidride carbonica, per il virus non fa differenza.
Ma per gli esseri umani sì che fa la differenza, altro che! Il punto infatti non è tanto l’ipotesi che l’aria inquinata faccia da veicolo al contagio, bensì la certezza che favorisca la letalità del virus. L’inquinamento potrà forse non aiutare il virus a trasmettersi, ma di certo ne accentua la capacità di uccidere. Colpendo soprattutto le vie respiratorie, è ovvio che risulti più pericoloso laddove la salute dei polmoni sia già compromessa. Basti considerare che la stragrande maggioranza delle vittime erano fumatori o residenti nelle regioni più industrializzate d’Italia. Se si respira già male, è chiaro che una complicanza polmonare può rivelarsi fatale. E per smentire questa banale conclusione logica, irritante perché mette comunque in discussione i fumi dell’industria, cosa fanno? Spostano i termini della questione e ci assicurano che il contagio può avvenire anche all’aria fresca di campagna?
Un orgasmo multiplo e permanente, ecco cos’è in questi giorni l’esercizio del potere per chi, piccolo o grande, lo detiene. Lo stato di emergenza ha dato la stura a tutti gli appetiti, a tutte le prepotenze e a tutte le arroganze. Dal primo dei ministri all’ultimo dei sindaci, è tutto un ordinare, regolamentare, vietare, minacciare. Poco importa che questi ordinamenti siano assurdi, inutili e perfino contraddittori. Le strade e le piazze sono vuote, tutti si sono reclusi nella propria paura. Il territorio è sgombero, a totale disposizione della legge. Dopo che le forze dell’ordine e l’esercito hanno occupato le strade, ora è la volta dei droni che si stanno alzando per occupare il cielo. Tutto il paese diventerà un enorme Panopticon, una prigione a cielo aperto dentro la quale ogni sopruso sarà permesso.
E dove già si stanno scatenando i peggiori istinti umani. Dall’ultimo dei poveri al primo dei ricchi, è infatti anche tutto un osservare, sospettare, rimproverare, denunciare. Confinati nelle proprie celle più o meno confortevoli, molti detenuti ogni giorno cantano dalla loro finestra. Ma non è una battitura di protesta, è un inno alla servitù volontaria.
Tronfi e quasi increduli di questi poteri assoluti incontestati, i potenti non mostrano più alcuna cautela nel tirare fuori il loro grugno. «Torino è ubbidiente», esulta un questore piemontese. «Subito con le richieste di condanna per gli irresponsabili», tuona un procuratore pugliese. «È arrivato il momento di militarizzare l’Italia», invoca un governatore campano. La voglia di legge marziale sembra inarrestabile.
E a noi rimbomba in testa il monito lanciato in altri tempi bui da un vecchio anarchico: «È una sconfitta di cui bisogna lavarsi, ricordatelo bene; o le tigri, gli sciacalli forse meglio, dei covi giudiziari repubblicani non vi lasceranno neanche gli occhi per piangere».
Come qualsiasi operatore sanitario sa bene, la cosiddetta prevenzione primaria è la più importante delle prevenzioni perché è quella che mira ad evitare proprio l’insorgere di una malattia. Un’ottima idea, quella di anticipare la causa del male impedendole che si manifesti e provochi i suoi effetti. Ma chi dovrebbe attuarla, e come? Avendo rinunciato ad ogni autonomia, affidiamo allo Stato il compito di amministrare ogni aspetto della nostra vita. La salute non è più qualcosa di cui ognuno dovrebbe preoccuparsi per sé, è una «cosa pubblica» che in quanto tale va gestita dall’alto. E in alto si conoscono solo due maniere per occuparsene: o attraverso i vaccini, o attraverso il tentativo di ridurre i singoli fattori di rischio (imposizione di misure di sicurezza, lancio di campagne di sensibilizzazione, etc.).
Il che spiega perché oggi, in assenza di misteriose punturine magiche non ancora inventate, ci viene suggerito, quando non imposto, di indossare una mascherina prima di avventurarsi per strada. Ora, a parte il fatto che la stragrande maggioranza delle mascherine sul mercato non proteggono affatto dal virus; a parte il fatto che quelle poche che effettivamente servono a tale scopo dovrebbero essere lasciate al personale medico e ai parenti degli infettati («egoisti irresponsabili» sono semmai coloro che le sprecano per andare a fare la spesa); ma poi, come si fa a non capire che la prevenzione migliore contro qualsiasi virus è quella di aumentare le proprie difese immunitarie con un’alimentazione sana e vitaminica ricca di frutta e verdura, esercizio fisico all’aperto, tranquillità e riposo, assunzione delle più svariate sostanze naturali? E che di conseguenza, chiudendosi in casa sotto stress da panico, senza più prendere sole e respirare aria pulita, si ottiene l’effetto diametralmente opposto, cioè si indebolisce il proprio organismo rendendolo più vulnerabile al contagio?
Quanto al prevenire le cause che favoriscono le malattie, non è certo lo Stato patogeno a poterlo fare. Che questo virus sia una tipica malattia della civiltà moderna, lo ammettono persino gli stessi virologi. Non perché in passato non avrebbe potuto comparire, sia chiaro, ma perché i suoi effetti sarebbero stati ancor più trascurabili di quel che sono. Come per un terremoto, è l’attuale organizzazione sociale ad averne accentuato le conseguenze. Se sta contagiando l’intero pianeta è perché ha trovato vettori che si spostano in aereo da un continente all’altro e che vivono in città sempre più affollate. Fosse rimasto circoscritto in un piccolo villaggio remoto, chi ne avrebbe mai sentito parlare? Inoltre il passaggio di un virus dall’animale all’uomo è più probabile che avvenga se si avvicinano le due specie con la deforestazione, la costruzione di strade all’interno di territori vergini, l’urbanizzazione. Come ha riconosciuto anche una studiosa di virus, «noi creiamo habitat dove i virus si trasmettono facilmente, ma ci sorprendiamo quando ciò accade».
Quindi, qual è la migliore prevenzione primaria?
Belgio – Centri di detenzione: la minaccia del virus, la violenza dello Stato e delle rivolte come risposta
Traduzione da: Getting the voice out
All’ombra della copertura mediatica del coronavirus, le persone detenute nei centres fermé (CPR) si ribellano contro l’amministrazione razzista che li rinchiude e, come logica conseguenza, li abbandona in tempi di pandemia.
Questo articolo cerca di fare un sommario delle resistenze e delle lotte che lo Stato vorrebbe rendere invisibili. La maggior parte delle informazioni raccolte martedì 17 marzo provengono dai detenuti che, come spesso accade, danno l’allarme, oltre che dai solidali e dai loro parenti all’esterno.
Nel centro chiuso di Merksplas :
Un guineano è stato portato all’aeroporto martedì 17 marzo, senza alcun esame medico o informazione sul virus. Una rivolta si sta svolgendo anche nel centro chiuso di Merksplas, dove i detenuti si sono rifiutati di mangiare. Ora ci sono almeno sei persone recluse nei sotterranei dopo l’intervento della polizia. Alcuni detenuti sono stati rilasciati dall’amministrazione. La voce all’interno dice che tutti saranno rilasciati. Il personale del centro non indossa mascherine. A quanto pare, “qui è un casino”.
Al centro chiuso di Vottem:
Alcuni detenuti hanno avuto una conversazione con il direttore, che ha chiesto loro perché si rifiutassero di mangiare. Ci sono solo una o due persone che mangiano in ogni ala. “Ci sono state alcune uscite ieri e circa 5 o 6 uomini sono stati rilasciati martedì 17 marzo, secondo le nostre informazioni. Le voci di corridoio dicono che circa 30 persone saranno presto rilasciate. A. è rinchiuso da quattro mesi e mezzo. Malato, dice di avere un nodulo allo stomaco, è stressato e non va in bagno. “Sono qui, non so perché”.
Il CRACPE (Collectif de Résistance Aux Centres pour Étrangers) ha riassunto la situazione a Vottem in un comunicato stampa dal quale si ricava quanto segue: “Da lunedì è iniziato uno sciopero della fame tra gli uomini detenuti nel centro chiuso per stranieri di Vottem. Denunciano la loro reclusione e la loro pericolosa promiscuità di fronte all’epidemia di coronavirus. In questo periodo difficile, soffrono anche di non poter stare con i loro parenti, le loro famiglie, molte delle quali vivono in Belgio. Alcuni di loro sono stati rilasciati con il contagocce dalla fine della scorsa settimana, per esempio coloro che avevano problemi di salute molto gravi, o tra coloro che sarebbero dovuti essere deportati in Italia. Tutti coloro che rimangono non ne capiscono le ragioni, e hanno iniziato questo movimento di sciopero della fame per ottenere il rilascio. La situazione è molto tesa; alcuni sono disperati, come dimostra il tentativo di fuga di sabato e due tentativi di suicidio negli ultimi giorni. Ci hanno chiesto di diffondere questa dichiarazione perché si sentono dimenticati e non possono farsi sentire” https://www.facebook.com/collectifderesistanceauxcentrespouretrangers/
Nel centre fermé 127bis :
Nell’ala L, i detenuti a volte si rifiutano di mangiare e tutti vogliono fare lo sciopero della fame. Il 14 marzo, un visitatore ha approfittato di un accesso privilegiato e ha segnalato gravi problemi sanitari: condizioni igieniche non rinforzate, servizi igienici sporchi, niente sapone, niente carta igienica, nessun adattamento nelle stanze, nessun rinforzo di medici e infermieri, ecc. Il 15 marzo ci sono stati 12 rilasci in seguito allo sciopero della fame di diverse persone, soprattutto dall’Afghanistan e da alcuni Paesi africani. Questo martedì abbiamo saputo che tre persone sono state rilasciate. Sempre nell’ala L: l’assistente sociale è venuto alle 11 del mattino, la gente ha chiesto informazioni. Non ha voluto rispondere, se non dicendo “forse domani” prima di partire. Nessuno ha pranzato oggi ed è probabile che tutti continueranno. Sono ancora più isolati del solito perché le visite non sono più permesse.
Uno dei detenuti testimonia: “non siamo gangster, non siamo animali. Abbiamo domande ma nessuna risposta, alcune persone sono qui da 4, 5, 6 mesi senza risposte. E con il corona virus? Restiamo qui? Per quanti mesi?”
Una solidale testimonia a sua volta: “Ho sentito che hanno paura del virus come noi, e hanno paura di rimanere bloccati lì per tanto tempo. Mi ha detto che tutti gridavano “non siamo gangster, perché ci rinchiudete? 7 nuove uscite sono note nell’ala: 3 eritrei, 1 ghanese, 1 etiope (dublino Francia) e 2 “arabe” (dublino Belgio).
Al centro Caricole:
Secondo le nostre informazioni, di recente ci sono stati 29 rilasci al centro di detenzione di Caricole.
A Bruges:
Sembra che l’amministrazione abbia deciso di non rinchiudere più le donne a Bruges. Veniamo a sapere che sei donne rinchiuse a Bruges sono state trasferite nel centro chiuso di Holsbeek.
I detenuti hanno manifestato per ottenere il loro rilascio : 6 di loro sono stati messi in isolamento per 36 ore.
Al centro di detenzione femminile di Holsbeek:
Abbiamo notizie di 6 donne che sono state rilasciate. Sono tutti al centro, in attesa di essere rilasciati.
Secondo una ONG, l’Ufficio degli stranieri ha annunciato che non ci saranno più nuove incarcerazioni se non per coloro che sono appena usciti di prigione. Poiché attualmente non possono essere deportati, la loro detenzione sarebbe allora illegale.
Lo stesso Ufficio Stranieri avrebbe promesso di cercare di liberare soprattutto i “vulnerabili” per ridurre il numero dei prigionieri e delle guardie.
Approfittiamo di queste informazioni per ricordare, se necessario, che le promesse di questa sinistra amministrazione non valgono per noi più delle loro detestabili politiche.
La catastrofica situazione sanitaria nei centres fermé (così come nelle prigioni) non è un aneddotico fallimento dell’amministrazione statale, ma rivela la natura strutturale del razzismo che questi luoghi di isolamento e di privazione della libertà rappresentano.
Essa rivela come lo Stato tratta chi ritiene indegno e come la sua amministrazione li esponga a tutte le forme di violenza, compresa la reclusione stessa.
I centri chiusi devono essere svuotati oggi e distrutti domani.
Trento – “criminali in rivolta” trasferiti alle carceri di Trento
Apprendiamo dai media che 14 detenuti sono stati trasferiti dalle carceri di Modena e Parma al carcere di di Spini di Gardolo a Trento.
La stessa sera solidali hanno fatto un presidio sotto il carcere.
I criminali in rivolta trasferiti alle carceri di Trento. Situazione che torna esplosiva
Cronache dallo stato d’emergenza (numero 1)
I virus non arrivano da un altro pianeta
Le malattie riflettono sempre il modo di vivere (di produrre, di mangiare, di spostarsi ecc.) di una società. Una medicina che non parta da questo dato di fatto – il che presuppone oggi una chiara messa in discussione della società industriale – può solo tamponare gli effetti delle malattie, senza risalire alle loro cause. Non a caso il primo focolaio di Coronavirus si è sviluppato in una zona della Cina di grande concentrazione urbana e di pesante inquinamento industriale. Non a caso i primi focolai in Italia si sono sviluppati nelle zone più industrializzate e inquinate. Se non si rimuovono le nocività e gli sconvolgimenti ambientali che provocano, le emergenze sanitarie si rinnoveranno.
Sanità
Personale sanitario che si costruisce delle tute di protezione con i sacchi dell’immondizia e usa le lenzuola per farne delle mascherine; l’allarme continuo sulle risorse limitate per le terapie intensive. Come si è arrivati a tutto ciò? Ecco cosa non si dice nelle quotidiane cronache della paura, affinché non si parli delle responsabilità. Dal 1978 in avanti, tra governi di destra e di sinistra, la Sanità è stata sottoposta agli effetti combinati dei tagli e delle privatizzazioni. La progressiva trasformazione della Sanità in un’Azienda ha tagliato strutture, personale, reparti e terapie non remunerativi, falcidiando in particolare tutto ciò che era legato alla medicina di prevenzione. Per questo si sono dimezzati i posti letto negli ospedali e ridotti a meno della metà quelli di emergenza. Mentre le metafore mediche e politiche sono sempre più esplicitamente militari (il virus è l’aggressore, il corpo è sotto assedio, la società è in guerra, il governo schiera l’esercito), scompare il vero nemico della salute individuale e collettiva: la logica del profitto.
Arginare il virus significa liberare tutti
A partire da sabato 7 marzo e per tutta la settimana successiva si levano proteste in una quarantina di carceri in tutta Italia. In almeno una trentina di queste si scatenano vere e proprie rivolte. Oltre seimila detenuti prendono parte alle sommosse, con sezioni distrutte e incendiate, fuoco alle auto della penitenziaria, prigionieri sui tetti, evasioni di massa, secondini presi in ostaggio e il carcere di Modena chiuso “di fatto” grazie ai danneggiamenti. Lo Stato mostra i muscoli: intervengono la celere e i reparti speciali della penitenziaria, i secondini circondano le carceri armi in pugno, in Puglia viene schierato l’esercito per bloccare gli evasi, a Modena i parenti riferiscono di aver sentito distintamente degli spari. E poi pestaggi e trasferimenti di massa. Il bilancio è pesantissimo: 15 detenuti morti. Le loro morti vengono velocemente insabbiate, si parla di decessi causati “per lo più” (e gli altri?) da overdose di psicofarmaci e metadone.
La scintilla che ha appiccato l’incendio è la sospensione dei colloqui come ridicola misura di contenimento del contagio (i parenti sarebbero potenzialmente infetti… le guardie no?) assieme alla consapevolezza di essere come topi in trappola di fronte al rischio di un’epidemia (si sono già verificati casi a Brescia, Milano, Voghera, Pavia, Lecce, Modena e Bologna), ma la polveriera è costituita dalle condizioni di vita inumane: sovraffollamento endemico, violenze delle guardie, impossibilità di accedere a misure alternative. Amnistia e indulto: le richieste dei detenuti sarebbero in questo momento niente di più che un provvedimento di salute pubblica, per limitare i danni della diffusione del contagio in ambienti sovraffollati (fino a 8 detenuti per cella). Se in Iran per arginare il contagio sono stati scarcerati 70000 detenuti con pene sotto i cinque anni, in Italia, dopo proteste, rivolte e una vera e propria strage di Stato, è stata concessa la possibilità di andare ai domiciliari per chi ha pene sotto i sei mesi, e ai domiciliari con il braccialetto elettronico per chi deve scontare pene sotto i diciotto mesi. In realtà si aggrava la situazione anziché migliorarla (la legge in vigore prevede già i domiciliari, previa approvazione del magistrato di sorveglianza, per chi ha pene sotto i tre anni e senza braccialetto elettronico). Senza contare che il 34,5% dei detenuti in Italia sono in attesa di giudizio e non hanno proprio nessuna pena da scontare. Questi deboli provvedimenti non si sarebbero comunque ottenuti senza una decisiva e coraggiosa prova di forza dei detenuti, consapevoli che la realtà non lascia loro scampo: o la prigionia e la morte, o la rivolta e la vita.
Sciopero generale!
Benché si proclami a livello istituzionale che tutte le attività non essenziali si devono fermare, molte fabbriche sono ancora aperte: anche quelle con altissime concentrazioni di operai, a stretto contatto sia durante la produzione sia durante la mensa. (E intanto le forze dell’ordine perlustrano a sirene spiegate ciclabili, parchi e boschi a caccia degli “untori”. E intanto le compagnie della telefonia mobile realizzano schedature di massa per “tracciare” gli spostamenti individuali). Anche in Trentino, come nel resto d’Italia, si sono registrati scioperi in diverse fabbriche (Dana, Pama, Fly, Siemens44, Mariani, Sapes, Tecnoclima, Ebara…), a cui si aggiungono i tanti operai che hanno deciso di stare a casa anche in assenza di sciopero. Non si tratta solo di una comprensibile reazione di paura di fronte al virus, ma di un contributo alla salute di tutti. Questi scioperi vanno sostenuti ed estesi a tutte le produzioni non strettamente necessarie. Se la salute non è compatibile con il profitto, tanto peggio per il profitto.
Tutti sulla stessa barca?
Stiamo assistendo in questi giorni a una massiccia iniezione a reti unificate di retorica nazionalista: “Tutti insieme contro il nemico comune”. In questo racconto tricolore scompaiono per magia le condizioni materiali di vita che non sono affatto uguali per tutti (per restare a casa, una casa devo avercela e potermela mantenere…). Ma guardiamo un po’ più in là. Se è impossibile fare previsioni precise sul dopo, una cosa è sicura. Gli effetti economici di questa “crisi sanitaria” avranno un peso ben differenziato nella società. Per milioni di persone si porrà il problema pratico di avere di che vivere. Gli stessi prestiti da parte della Banca centrale europea non saranno affatto gratis, bensì imporranno nuove misure di austerità che colpiranno soprattutto i più poveri. A spingere la barca sarà chi è già per metà sott’acqua. Ricordiamocelo quando spariranno le note dell’inno di Mameli.
Versione pdf: Cronache1
Delitto e castigo
1. Una storia del tutto impreparata.
Ma cosa credete – gridava Razumichin, alzando la voce – credete che io parli così perchè dicono degli spropositi? Sciocchezze! A me piace quando ne dicono! Il dirli è l’unico privilegio umano di fronte a tutti gli altri organismi. Con gli spropositi arriverai alla verità! Sono uomo appunto perchè ne dico. Non c’è verità alla quale si sia pervenuti senza aver prima spropositato quattordici volte, e forse anche centoquattordici, e questa è nel suo genere una cosa onorevole; sì, ma anche di spropositare col nostro cervello non siamo capaci! Tu dimmi una frottola, ma dimmela a modo tuo, e io allora ti bacerò. Dir frottole a modo proprio è quasi meglio che dir la verità al modo degli altri; nel primo caso sei un uomo, nel secondo sei soltanto un pappagallo! La verità non ci scapperà, ma la vita si può massacrare; se ne sono avuti degli esempi.
Iniziarono con immunità di gregge e fake news. Temi collaterali, difficili da affrontare con ingombranti bagagli analitici ma agevoli a propagandarsi nella semplificazione positiva del potere: Salute e Verità in termini assoluti, senza le discussioni che per migliaia di anni questi concetti si erano portati dietro, erano improvvisamente diventate limpide, ovvie, evidenti. Anzi, evidenze.
La Salute è: vivere più a lungo possibile, posticipare il fine-vita (“morte” è tabu) sperando che frattanto si trovi un modo di evitarlo del tutto, allungare l’aspettativa di vita. Dati statistici solidi, sulla base dei quali posticipare l’età del pensionamento, fondare un mercato geriatrico innanzitutto farmacologico, far crescere le nuove generazioni in subordine a quelle precedenti.
La Verità è: ciò che dicono le autorità, come nel Medioevo ma con un’accezione più ristretta di auctoritas, infatti neppure il parere di certi settori dell’establishment culturale conta più niente, se non si allinea alla vulgata, se non si limita cioè a evidenziare le evidenze, i dati statistici solidi. L’algoritmo che spiega la vita.
Salute e Verità prosperarono, nella loro nuova mise, a scapito di altre idee meno a la page, prima di tutte, Libertà.
Un momento cardine dello sviluppo del binomio fu la Crociata dei Vaccini, ove si verificò che sui media Libertà era pollice verso e che i suoi tradizionali fan, rivoluzionari, anarchici, ribelli, anime belle e utopisti non potevano farci niente: in parte perchè la Crociata era di fanciulli, e come si sa i veri rivoluzionari non fanno figli o perlomeno non se ne occupano, in parte perché gli argomenti dei no/ free – vax erano spesso troppo naive, in altra parte perchè un pochino, se non altro almeno in base a una falsa logica conseguente la constatazione che ogni tanto un vaccino ci è utile eccome, un pochino questa idea di Salute… aveva convinto anche loro!
Infatti si videro non poche titubanze altrimenti inspiegabili a quei famosi tempi del Coronavirus che invece fecero subito dire ad altri “ecco, ci siamo”.
Già, perchè come quando si studiavano i lager nazisti alcuni sostenevano che lo si facesse proprio per saperli riconoscere nelle loro nuove forme (in Palestina, a Lesbo, a Lampedusa…), così quando si parla del Ventennio fascista, si canta “Bella ciao”, ci si dichiara antifascisti bisognerebbe sapere che il Duce difficilmente risuscita talquale, e se qualcuno gli somiglia è uno specchietto per allodole che segna semplicemente a che punto è la notte, come a Weimar, e che ora che Weimar è caduta, nel sorgere del Reich si squagliano allodole e sardine, voti utili e facili consolazioni, equilibrismi e compromessi. E le parole tornano ad avere un peso unicamente in forza dei fatti che sottendono.
Segue.