Appello per il 25 aprile

Appello per il 25 aprile

Mentre governo e Regioni stanno riaprendo i luoghi della produzione e del commercio, il divieto di uscire all’aria aperta perdurerà almeno fino a maggio. Questa palese discrepanza non risponde ad alcuna “evidenza scientifica” (a meno di non confermare quello che un filosofo scriveva più di trent’anni fa, e cioè che lo Stato ha «abbattuto il gigantesco albero della scienza all’unico scopo di farne un manganello»). Da un lato si deve produrre e consumare; dall’altro, prima che la gente possa uscire si vuole aver già programmato come sorvegliarla. Ecco. Dobbiamo anticiparli, se non vogliamo subire, oltre alla “crisi sanitaria”, anche la ristrutturazione economica che l’accompagnerà. E quale data più evocativa per resistere del 25 aprile?

Lanciamo un appello a violare le misure. Seguendo il principio di cautela per l’altrui e la nostra salute. E ognuno secondo le sua disponibilità. Alle ore 16,00. Da soli, in pochi, a gruppi distanziati, anche nei pressi di casa, con un cartello, della musica (canti partigiani, lettura di testi…) o qualsiasi altro segnale di disobbedienza. Per non aspettare di avere il permesso di tornare nel mondo reale, ma “tracciati”, medicalizzati a forza, con la paura dell’altro, in base a criteri insensati secondo ogni logica sanitaria (i luoghi chiusi sono più a rischio di quelli all’aria aperta, come la gestione di questa emergenza ha fin troppo dimostrato), ma molto sensati secondo la logica del controllo sociale. Contro la produzione bellica (che non si è mai interrotta), in solidarietà con i detenuti in lotta e con chi è stato arrestato di recente per aver reagito alla violenza poliziesca.

Non si tratta solo di affermare la responsabilità contro l’obbedienza, ma di dire chiaro e tondo che non accettiamo la divisone tra sacrificabili e salvabili; che le nostre vite non sono “dati da estrarre e da analizzare”; che non c’è salute senza relazioni di mutuo appoggio con gli altri e con la natura da cui dipendiamo.

Non vogliamo “convivere con le pandemie”, ma farla finita con l’organizzazione sociale che le crea.

 

 

 

Appello per il 25 aprile

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero5)

Che scoperta, la società!

Di fronte al rischio di morire per contagio, milioni di esseri umani stanno scoprendo che le azioni proprie e altrui hanno un effetto concreto sulla società, cioè su se stessi e sui propri simili. Dopo decenni di ideologia liberale secondo la quale la “società” era una sorta di buco nero in cui si poteva buttare qualsiasi cosa, ora si riscopre in fretta e furia il principio di responsabilità. Si scopre che i lavoratori sono carne da macello; che i profitti vengono prima della salute; che a decidere, dietro il fumoso “interesse pubblico”, c’è lo Stato con la sua polizia. Visto che i virus provocano degli effetti anche se non si vedono, scopriamo che esiste una “materialità dell’invisibile”. Le tecnologie digitali – a cui scienziati e governi affidano le nostre sorti – sono tutt’altro che immateriali. Perché milioni di persone stiano connesse mentre sono chiuse in casa, ci vogliono server, energia, cavi, antenne e, soprattutto, metalli e terre rari, il cui accaparramento significa guerre, saccheggio della crosta terrestre, radiazioni nucleari, semi-schiavi (spesso bambini) costretti a lavorare nelle miniere, intere zone del mondo trasformate in discariche, cioè condizioni per nuove epidemie. Può esistere un principio di responsabilità a comando, sotto l’imperio della paura?

Cosa significa “non si può uscire”?

L’aspetto forse più pericoloso di questo periodo è proprio il tentativo statale di far coincidere responsabilità e obbedienza. Se pensiamo alle tragedie che l’obbedienza ha prodotto nel Novecento («Ho eseguito solo gli ordini» è stata, non a caso, la frase più ripetuta dai nazisti a Norimberga), una tale sovrapposizione dovrebbe farci tremare i polsi. Perché, allora, stiamo in casa? Per senso di responsabilità? Perché lo dice il governo? Per paura delle multe? Milioni di persone risponderebbero senz’altro in modi molto diversi. Quello che è eticamente e socialmente inaccettabile è confondere obbedienza e responsabilità. Facciamo un esempio. Se si leggessero davvero i decreti del governo – senza farsi terrorizzare dagli annunci degli altoparlanti – e li si seguisse alla lettera, cosa succederebbe? Se migliaia di persone uscissero contemporaneamente a fare “attività motoria in prossimità della propria abitazione”, che assembramenti si creerebbero? Se invece le stesse persone vanno a passeggiare in zone isolate, violando di fatto il decreto, mettono forse a rischio la salute di qualcuno? La sanzione non è mai stata un argomento.

Obblighi e divieti

Mentre in alcuni “Paesi non democratici” la normalità sta diventando quella del tracciamento di ogni dato sull’identità, i luoghi frequentati, gli incontri, anche nell’“Occidente liberale” si guarda alle linee guida per la ristrutturazione 4.0 della vita sociale. In diverse zone della Cina (in cui i casi di contagio sono prossimi allo zero) non si entra in alcun luogo pubblico senza uno smartphone in mano a “garantire” il proprio status. Non possedere certi strumenti inizia a somigliare sempre di più all’essere dei clandestini, o come minimo persone sospette. Per capire l’antifona, basta guardare chi sono i 17 specialisti scelti dal governo Conte per programmare la “Fase 2” (cioè «ripensare l’organizzazione della nostra vita e preparare il graduale ritorno alla normalità») . A guidare la task force (con tanto di riferimenti al comitato interministeriale del ’45) sarà l’ex amministratore delegato di Vodafone, Vittorio Colao, che verrà fiancheggiato da numerosi tecnici ed esperti tra cui Roberto Cingolani, l’attuale responsabile dell’innovazione tecnologia di Leonardo (il più grande produttore italiano di armi) e direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Intanto il 5G inizia ad essere una realtà. «Ogni tecnologia porta con sé obblighi e divieti segreti», scriveva Günther Anders. E cosa c’è di più segreto e invisibile di una tecnologia che si confonde con la nostra stessa quotidianità?

Finché siamo in tempo

Si accumulano annunci e programmi di trasformare il “distanziamento sociale” in qualcosa di semi-permanente (dal momento che le pandemie sono già integrate come “effetto collaterale” della produzione tecno-industriale). In tal modo saremmo distanziati non solo dai nostri simili, ma dalla possibilità individuale e collettiva di difenderci dagli amministratori della coercizione. Senza poterci incontrare e organizzare, come reagire a misure di sorveglianza sempre più totalitarie, oppure, più banalmente, a dei licenziamenti? Se si affida il “problema contagi” a un apparato tecnologico-burocratico, la soluzione più efficace – l’unica che non mette in discussione l’apparato stesso – è il controllo totale. Non perché i tecno-burocrati siano malvagi o perché siano parte di chissà quale complotto mondiale, ma perché le soluzioni tecniche devono strutturalmente prescindere da considerazioni etico-sociali. Soprattutto in nome dell’emergenza. La libertà, proprio perché imprevedibile, costituisce un fattore di disturbo per gli algoritmi; il giudizio di valore è sempre umano, troppo umano, mentre il calcolo si presenta come oggettivo. Qual è la soluzione più efficace se un bambino fa troppo chiasso? Legarlo, oppure somministrargli degli psicofarmaci. Se i genitori non lo fanno, non è perché non lo trovano efficace (calcolo costi-benefici), ma perché lo considerano sbagliato (giudizio etico-pedagogico). Togliamocelo dalla testa: quella di non ammalarsi non sarà mai una certezza. La domanda , cui nessuna intelligenza artificiale potrà rispondere al posto nostro, è sempre la stessa: a cosa siamo disposti a rinunciare della vita per continuare a vivere?

Pensavano che chiamandoli “eroi”…

Mentre il personale sanitario di Piacenza si dichiara pronto a scendere in sciopero se vengono riaperte le fabbriche, duecento medici e infermieri greci sottoscrivono un documento con il quale rivolgono sette domande al “Comitato di esperti” del Ministero della Salute. Eccone un paio: «Quale approccio scientifico impone la circolazione dei nostri concittadini con guanti e mascherine all’aperto e al contrario tratta con ironia e “non importa” la questione della garanzia assolutamente necessaria dal punto di vista igienico e sociale di tutti i mezzi di protezione individuale degli operatori negli ospedali e nelle cliniche?»; «quale approccio scientifico impone il divieto di incontro all’aperto di più di due persone, ma NON denuncia il funzionamento di imprese e industrie che producono beni non essenziali con dozzine di lavoratori assembrati in spazi chiusi e senza i necessari mezzi di protezione?». Assunzione di altro personale sanitario; fornitura di mezzi di protezione a tutti gli operatori; requisizione immediata e senza condizioni di letti normali e di terapia intensiva, di attrezzature di laboratorio e di cliniche dal settore dell’assistenza privata: con queste rivendicazioni sono stati organizzati presìdi davanti a 25 ospedali in 20 Province della Grecia. Alle iniziative hanno partecipato lavoratori di tanti altri settori, pensionati e studenti. Durante uno dei presìdi, l’intervento della polizia è stato respinto in modo collettivo e solidale. Tra gli slogan: «Siamo schiavi solo della nostra coscienza» e «il divieto di circolazione non fermerà le lotte».

Resistere all’emergenza, sfidare i divieti

31 marzo, Milano. Picchetto dei lavoratori (quelli non ancora ammalati) del magazzino Fruttital a rischio licenziamento. In piena emergenza l’azienda aveva annunciato la chiusura e il trasferimento. Inoltre, nei giorni precedenti non era stato fornito agli operai alcun dispositivo di protezione dal contagio.

1° aprile, Calliano (TN). Per questa giornata, alcuni parenti dei detenuti avevano invitato a far sì che le battiture risuonassero anche fuori delle carceri. Così, un gruppetto di anarchici, per spiegare il senso della battitura che ci sarebbe stata la sera, ha pensato di rovesciare la pratica istituzionale di diffondere sinistri moniti e avvisi dagli altoparlanti, girando per il paese con l’impianto audio e facendo diversi interventi a sostegno delle lotte carcerarie. Nel giro di poco tempo, giungono sul posto otto pattuglie dei carabinieri, più altre auto della polizia locale e della Digos.

8 aprile, Torino. Il “food delivery” viene considerato un’attività essenziale ma le ciclofficine sono chiuse; aziende come Glovo o Deliveroo non hanno mai provveduto alla manutenzione dei mezzi di chi fa le consegne: i riders si ritrovano in piazza, con biciclette e attrezzi, per una “ciclofficina itinerante” che permetta di aggiustare i propri mezzi a chi, nonostante il “lockdown”, continua a lavorare.

14 aprile, Roma. Rivolta nel Centro profughi di Torre Maura. Gli operatori vietano di uscire dal centro, gli internati rispondono con incendi e danneggiamenti. Nei giorni precedenti si erano verificati proteste, atti di autolesionismo, incendi, tentativi di evasione, scioperi della fame e della sete in vari Centri Per il Rimpatrio.

15 aprile, Carmagnola (TO). Picchetto degli operatori sanitari di una casa di riposo in cui si erano registrati  46 contagiati su 50 ospiti. Le richieste: mascherine e tamponi per i dipendenti. Le risposte: arrivano polizia e carabinieri, la cooperativa Socialcoop dichiara di aver “effettuato assunzioni per ovviare alle assenze di personale”… contagiato.

15 aprile, Torino. Scendono in piazza (mantenendo le distanze di sicurezza) gli ambulanti del mercato di Porta Palazzo, l’unico ancora non riaperto in città, forse perché si trova in una zona oggetto di intensa “riqualificazione” (sempre più investimenti per i ricchi, sempre meno spazi per i poveri).

16 aprile, Massalengo (LO). Sciopero di 250 operai nel magazzino centrale di Carrefour Lombardia contro il subappalto ad una cooperativa che paga la manodopera il 20% in meno. Viene firmato un accordo che cancella il subappalto. Nel frattempo si apprende della chiusura della Fruttital di Milano, trasferita a Verona. Dal momento che Fruttital è uno dei fornitori di Carrefour, gli operai decidono che i suoi camion non verranno più scaricati, come forma di solidarietà verso i lavoratori appena licenziati.

16 aprile. Parenti e solidali dei detenuti protestano fuori dalle carceri di varie città (Roma, Bologna, Torino, Bolzano…). A Roma la polizia li circonda e spintona, fregandosene delle tanto invocate distanze di sicurezza, e porta 8 persone in questura. Nei giorni precedenti i parenti protestano fuori dalle carceri di Secondigliano, Poggioreale, Santa Maria Capua Vetere. Nelle carceri di Ariano Irpino, Palermo, Crotone, Bologna, Alessandria, Santa Maria C.V., Rebibbia, Secondigliano si verificano rivolte, battiture, scioperi della fame e della sete.

17 aprile, Torrazza Piemonte (TO). Sciopero di tutto il personale dello stabilimento Amazon: l’azienda non fornisce informazioni sui casi di contagio all’interno della sede, nascondendosi dietro il paravento della “tutela della privacy”.

Il 25 aprile

Mentre governo e Regioni stanno riaprendo i luoghi della produzione e del commercio, il divieto di uscire all’aria aperta perdurerà almeno fino a maggio. Questa palese discrepanza non risponde ad alcuna “evidenza scientifica” (a meno di non confermare quello che un filosofo scriveva più di trent’anni fa, e cioè che lo Stato ha «abbattuto il gigantesco albero della scienza all’unico scopo di farne un manganello»). Da un lato si deve produrre e consumare; dall’altro, prima che la gente possa uscire si vuole aver già programmato come controllarla. Ecco. Dobbiamo anticiparli, se non vogliamo subire, oltre alla “crisi sanitaria”, anche la ristrutturazione economica che l’accompagnerà. E quale data più evocativa per resistere del 25 aprile? Lanciamo un appello a violare le misure. Seguendo il principio di cautela per l’altrui e la nostra salute. E ognuno secondo le sua disponibilità. Non si tratta solo di affermare la responsabilità contro l’obbedienza, ma di dire chiaro e tondo che non accettiamo la divisone tra sacrificabili e salvabili; che le nostre vite non sono “dati da estrarre e da analizzare”; che non c’è salute senza relazioni di mutuo appoggio con gli altri e con la natura da cui dipendiamo.

Non vogliamo “convivere con le pandemie”, ma farla finita con l’organizzazione sociale che le crea.

Versione pdf: Cronache5 (numero_doppio)

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero5)

Folate di ribellione

I mercati, quasi vuoti per l’ingordigia dei commercianti, i quali nascondevano la merce con la speranza di continui aumenti non garantivano più al desco proletario il necessario per vivere.

Le lunghe ed interminabili file che le donne erano costrette a fare per procurare qualcosa da mangiare alle loro famiglie, il più delle volte restavano senza potersi rifornire per l’esaurimento del genere in vendita e ritornavano a mani vuote alle loro case.

Non poche volte s’inveiva con epiteti poco riguardosi verso le Autorità, preposte per il buon ordine… delle file.

Questo stato di cose determinava una situazione insostenibile. S’incominciò a forzare qualche negozio e vuotarlo letteralmente. Tale movimento riscosse la simpatia generale del popolo il quale, riversato nelle piazze, dava il basta, all’aumento dei prezzi. L’assalto ai negozi si generalizzò ed in alcuni centri i soldati facevano causa comune con il popolo.

Il governo, per sedare i tumulti e mantenere l’ordine, non potendo contare sull’esercito, doveva usare la P.S., i Carabinieri e la Finanza.

Con queste parole l’anarchico veronese Giovanni Domaschi in un suo manoscritto descriveva la situazione postbellica in Italia dell’anno 1919. Uno scenario non molto lontano da quello che potrebbe accadere con l’erosione costante dei salari, dei soldi in banca delle famiglie, con la perdita del lavoro di migliaia di persone. Purtroppo oggi la causa comune con i militari dell’epoca non ci sarà, non si può fare. Ora i militari sono al fianco delle Autorità, sono professionisti ed addestrati a sopprimere i sussulti dei poveri in mezzo mondo. Quel periodo dopo il 1919 in cui i soldati – principalmente operai e contadini che presero coscienza sulla loro pelle di cosa vuol dire la guerra, la fame e gli interessi della borghesia – erano istintivamente vicini a quelle persone che potevano essere i loro cari in altre zone della penisola disastrata dal dramma della Prima guerra mondiale.

Quello che invece sta già accadendo è l’aumento dei prezzi di frutta e verdura come annuncia la Coldiretti, con conseguenza che quello che è successo a Palermo qualche settimana fa ritorni molto presto a succedere, cioè persone che si organizzano per espropriare i negozi in mancanza di soldi per pagare gli affamatori della grande distribuzione alimentare che in questo momento continuano a riempirsi le tasche con i soldi della gente. Questo sta già avvenendo in altre parti del mondo come in Sudafrica o Messico, dove le persone, oltre ad essersi ribellate alla polizia per le restrizioni imposte, hanno approfittato del momento collettivo per riprendersi il necessario per cibarsi o per raggranellare qualche soldo vendendo la merce rubata.

È evidente che la necessità della sopravvivenza ad un certo punto coccia con la tutela dal virus. O ci si protegge dal virus o ci si organizza per non morire di fame. Finché non si riuscirà ad elaborare proposte, a far prendere coscienza, che solo dalle persone che stanno subendo questa situazione si può articolare metodi diversi da quelli restrittivi ed affamatori previsti dai tecnici dello Stato e dai padroni, si creeranno situazioni di questo genere. Domaschi non ci descrive come all’epoca le persone affrontarono l’influenza spagnola che creò molti più lutti del virus di oggi. Situazioni diverse ma riportate nelle rispettive epoche possono trovare alcune somiglianze.

Quello che è evidente è che tra le necessità delle persone e la tutela sanitaria interferisce lo Stato con le sue ordinanze e propagande, ma soprattutto la presenza in varie forme dei suoi servi e tutori del suo ordine.

Ecco allora che un po’ ovunque emerge rabbia ed insofferenza. Dalle scritte esplicite di Cagliari davanti al Commissariato di Sant’Avendrace, passiamo alla sassaiola dai balconi in Via Grimaldi a Catania dopo un fermo di polizia. Oppure agli attacchi più organizzati contro la polizia in Francia nei dintorni di Parigi e Lione, dove in modo diverso ma simile gli uomini in divisa sono stati adescati da decine di persone e presi a sassate con relative barricate, oltre che aver sparato fuochi d’artificio contro gli elicotteri che controllavano la zona rivoltosa.

Continuando con le rivolte in strada, quella più “grave” è legata ai fatti di Anderlecht, dove un ragazzo in motorino per sfuggire ad un posto di blocco si è dato alla fuga con relativo inseguimento finito tragicamente dopo che una pattuglia la ha fatto schiantare sulla propria auto. Ma questa volta non è rimasto senza risposta quello che per molti è un assassinio. Centinaia di persone tramite dei tam-tam si sono ritrovate in piazza appositamente per far capire a questi assassini che questi fatti non rimarranno impuniti. La morte di un giovane, come altre volte è successo, accende l’odio per la polizia la quale, in questo caso, subisce l’incendio di vari mezzi e la sottrazione di un’arma da fuoco. Decine di persone nelle ore successive alla rivolta vengono arrestate, ma questo per noi è secondario. Sarà l’esperienza a far sì che le persone che si organizzano non vengano individuate dagli spioni con conseguenti arresti. L’illegalità in questo caso è sinonimo di libertà; senza ribellione, senza incontro tra le persone non si farà fronte ai futuri accadimenti che raccontavamo più sopra. Per inciso questo non vuol dire non prendere le dovute precauzioni per tutelarci in senso sanitario per questo sul foglio n°4 di Cronache dallo stato di emergenza, nello scritto Ne parleremo a lungo, si rimanda agli anni ’70 in cui le persone dei quartieri discutevano direttamente ed attivamente con il personale sanitario. Discussioni da non delegare alle istituzioni che stanno e faranno sempre gli interessi di altri e non degli sfruttati.

Ma tornando all’ostilità alla polizia legata alla emergenza in corso, ecco che non si esauriscono le rivolte per far uscire i problemi degli ultimi dimenticati ed inascoltati. Dopo le costanti e attuali proteste nelle varie carceri su e giù per lo stivale, anche gli immigrati reclusi danno fuoco a quel poco che hanno per spingere chi di dovere a fare i tamponi per capire la gravità della situazione, come è successo a Roma il 14 aprile in un CAS.

Per finire passiamo a come degli assembramenti sono stati repressi negli ultimi giorni. A Francoforte il 5 aprile circa seicento persone si sono radunate per dare visibilità alla grave emergenza sanitaria nelle isole greche, dove migliaia di immigrati sono reclusi nei lager a cielo aperto finanziati dall’UE. La polizia aveva l’ordine di sciogliere la manifestazione, e le persone sono state in contatto le une con le altre solo nel momento in cui la polizia ha attaccato la manifestazione pacifica. Intervento duro e senza mezzi termini.

Ma forse quello che è più emblematico del futuro prossimo è quanto è accaduto a Bolzano. Un flash mob che è stato lanciato contro le misure restrittive della quarantena ma che non aveva intenzione di andare contro le attuali ordinanze. Semplicemente le persone che volevano partecipare a questa iniziativa volevano far emergere tutta una serie di problematiche legate alle restrizioni imposte dallo Stato e dai governatori locali. Ebbene una ragazza che non ha fatto altro che girare tramite cellulare il testo di questa iniziativa si è trovata in casa la polizia intenzionata a sequestrale il cellulare per capire chi aveva lanciato l’iniziativa e cosa doveva succedere nelle strade della città.

Dietro questo fatto si possono fare svariati ragionamenti: si potrebbe divagare dal controllo tecnologico alla mancanza di diritti di espressione del proprio pensiero e così via. Il succo che ne traiamo è molto semplice. Chi vorrà organizzarsi per fare dalle semplici iniziative dovrà prendere tutta una serie di accortezze, e le persone che fino ad ora sono state assenti dalle lotte dovranno acquisire metodi fantasiosi per sottrarsi ai controlli e alla repressione della polizia.

In questo la presenza di compagni e compagne, tramite le proposte, le esperienze, l’esempio è necessaria non solo per coltivare l’ostilità contro le Autorità; non solo per proporre ed intessere progetti di autoproduzione, autogestione e solidarietà come è successo in questi giorni sotto alle carceri in varie città, ma anche per affinare assieme agli sfruttati metodi di espropriazione per le esigenze di vita, nonché di autodifesa. Senza nulla togliere all’intervento autonomo e diretto, è necessario anche stare al fianco degli sfruttati, in una solidarietà concreta che porti a sbocchi di liberazione vera da chi ci sta ammalando, affamando e reprimendo.

Folate di ribellione

Chronicles from the state of emergency – (4)

«Their virus, our deads»

We are overwhelmed daily with data about the number of the infected, dead and healed. Even though the structural causes of this epidemic never emerge – the industrial plunder of the natural environment and our relational gap with the other animal spieces – , for the ones who know how to isolate the lies in this ocean of information, some truths stay afloat. Over 70% of deceased from Coronavirus suffered from hypertension. Among 95% of the cases are pre-existing risk factors which can leave people predisposed to its development; particularly sedentariness and stress. The prohibition of going out of the house – with the necessary precautions – creates the conditions for a great number of new sick people. Not to mention the devastating psychological consequences for all those living in unbearable house and family conditions, suppressed by the optimism of the State («Everything will be alright. I stay home»). Moreover, if the importance of the sun and of vitamin D for the immune system is «fake news», then why do the protocols ditributed to the carabinieri and the police advise “at least half an hour of sunlight per-day and, in case its not possible, the consumption of vitamin D”?

Expendables

In Rovereto, two cases of Coronavirus among BRT porters have been registered (one of them is in intensive care in hospital). The logistics enterprise, after a quick and secret «sanification» of the offices (storehouses excluded), expected that their porters would have peacefully kept on working, without even testing them for symptoms. The porters refused, by taking sick leave. Meanwhile, Confindustria (italian chamber of commerce) is pushing to open factories as soon as possible (those factories that have been closed after the wave of strikes that forced the government to stop the «unnecessary production»). Someone is speaking about «unequal sharing of risks». Others, who look on the entire planet and on its huge injustices, speak about «discriminated apocalypse».

We are going to talk at lenght about this

According to the official data, since 2009, 37 billion euros have been deducted from healthcare. Is it because of the objective eloquence of this information, that local newspapers have reported that graffiti appeared in front of Rovereto hospital («Thanks to medical staff, but we don’t forget who made cuts to healthcare») without the habitual swarm of criminalising comments? Beyond the quantitative data, there’s another which is qualitative. If we extend the timeframe a bit, we notice that Healthcare has been not only been cut, but also transformed. Indeed, it was provided, until 1978, a trade relation between preventative medicine and the «Citizens’ Committees» (expression by which they were trying to regularize the several Rank-and-File committees for health on workplaces and on territory, that were born extensively during the struggles in the Seventies). From the meeting between doctors and committees arose, few years before, the most serious and in-depth inquiry about the Icmesa environmental disaster in Seveso * (see note below). Since we are living a mass experience that won’t be abolished any time soon – we’re dealing with the heaviest limitation of freedom in italian history ever -, it’s going to be of fundamental importance for the future to create spaces for critical confrontation between people and medical staff in order to analyze, on the whole and in detail, what caused this epidemic and how the governments and the state scientists dealt with it.

«I wish you a wonderful future»

These are the final words from the letter in which the ‘futurist’ Thomas Frey (ex-engineer for IBM) explains to a ‘science communicator’ that soon the actual passwords will be, thanks to 5G, replaced by «vocal sentences linked to a laser spectrum, by touch resonance, identification through heartbeat, infrared signature» («Corriere Innovazione» 3rd april 2020). «Wherever you’ll be – his conversation partner, professor Derrick De Kerchove added – , you’ll be traced and virtually reconstituted into four dimensions in a complete and constant manner, as 5G can do. You will acquire and store each move you do, like a digital personal unconscious outlined and distributed in databases, from which the decisions (choices, purchases, votes, etc.) will emerge. «But that’s not the end of the world – the professor assures -, it’s only the end of our illusionary and pleasant independence». «This emergency provided the push needed to spread digitalization». On the other hand, «never waste the potential of a crisis». For the ones who rebel to this wonderful future made by human-machines, a definition is already prepared: «Talibans of phisical experience».

England advises

Some antennas for 5G mobile telephones have been burnt in Sparkhill, Birmingham, on thursday 2 april, and in Melling, Merseyside, on friday 3 april. The news has run out in Italy too. The actors of sabotage have been defined «conspiracy theorists», complete with a statement by Google and Facebook, for whom the new 5G infrastructure is fundamental, in order that the online surveillance that they exercise will spread, to real life behaviours and to civic surroundings too. Here there’s no conspiracy theory. It is the accumulation logic itself to ensure that the best way to foresee the consumers’ behaviour – and to sell forecasts to the advertisers and to industry – it’s by programming them.

Greetings from Greece

It’s always wise to learn from your neighbours who have already lived a condition that could fall on you tomorrow. A collective in Athens writes: «They are, and we are, speaking about war. And it’s true. Starting from the increase of black market prices. From the empty shelves in supermarkets, to the food stockpiling. From the «recruitment» of some employees in order to reduce the employer’s loss, to the firing of others. From the coercive jobs without any elementary health protection, to emergency overtime. From the hospitals lack of medical equipment and the inadequacy of nursing staff, to the transformation of hospitals into wards filled with «casualties of war». […] So, «war economy» means a new cycle of memorandum, dismissals, cuts in wages, pensions, social expenditures and privatization. What the State is giving today to stop its bankruptcy, tomorrow we’ll pay in blood».

*Seveso disaster, 10th july 1976. An industrial accident that caused the leak of dioxin, with the consequent dispersion of one of the most toxic chemical substance existing and with serious repercussions on the inhabitants health.

tradotto da:

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero4)

Il carcere di Santa Maria Capua Vetere e la mattanza della settimana santa

Tratto da evasioni.info

Franco (nome di fantasia), recluso nelle sezioni di alta sicurezza della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, è in attesa di giudizio e non sa ancora se il giudice lo riterrà colpevole o innocente. Si ammala qualche settimana prima di Pasqua. Picchi di febbre e problemi respiratori fanno pensare al peggio. Dopo qualche ora di monitoraggio viene “isolato” in infermeria per verificare l’evoluzione dei sintomi. I familiari riescono ancora a comunicare con lui tramite videochiamate ma hanno l’impressione che le cose stiano prendendo una brutta piega. Hanno paura, come tutti. Riescono a sapere tramite l’associazione Antigone e l’ufficio del garante dei detenuti che la situazione per ora è monitorata, ma si dovranno fare accertamenti specifici per capire il tipo di malessere. Qualche giorno dopo, la direzione sanitaria che opera in carcere avverte la famiglia che Franco è stato sottoposto a tampone da Covid-19 risultando positivo. Nel frattempo, sarebbe stato ricoverato presso la struttura ospedaliera napoletana del Cotugno.

La notizia in breve tempo si diffonde e arriva in carcere, Franco è il primo detenuto ammalato di Covid della regione, la seconda dopo la Lombardia per indici di sovraffollamento carcerario. La tensione sale all’interno dell’istituto. Il corpo detenuto teme il contagio e si sente sguarnito da ogni difesa: cosa si potrebbe fare per evitare di ammalarsi? Il carcere non è un luogo impermeabile: il distanziamento sociale è impraticabile, guanti e mascherine non ci sono e in istituto entrano ed escono moltissime persone. «Il carcere, essendo chiuso e isolato, è il luogo più riparato dal contagio della pandemia», sostiene invece il procuratore Gratteri. A oggi, i contagiati sono circa duecentotrenta (sessanta detenuti e centosettanta poliziotti).

Franco intanto è stato ricoverato. È il weekend che precede la settimana delle feste pasquali. Si avvicina l’orario di chiusura delle celle ma i detenuti di una sezione non vogliono rientrare. Inizia la protesta con una battitura e l’occupazione simbolica della sezione. La polizia penitenziaria denuncia che per impedirle l’accesso in sezione è stato riversato dell’olio bollente. La tensione in questa fase raggiunge facilmente stadi di acuzie e rapidi cali perché nessuno sa in verità come si uscirà dalla vicenda del virus. Chi ha il potere naviga a vista e chi non lo ha spesso sente di affogare.

Le proteste rientrano nel corso della stessa serata di domenica, dopo un primo intervento della penitenziaria. Sembra essere stato uno sfogo caduto nel vuoto. Bisogna che le cose sfumino da sé. Anche gli sforzi di chi in questi giorni sta tentando di stabilire un dialogo con le controparti, offrendo soluzioni per fronteggiare la devastante emergenza, si sgretolano di fronte al muro del Dap e del ministero.

A questo punto la storia cominciata con il contagio di Franco assume contorni inquietanti. Lunedì in carcere arriva la magistratura di sorveglianza e incontra i detenuti per i colloqui. Si constata che gli atti di insubordinazione che si sono verificati non hanno assunto i connotati di una vera rivolta (come quella ai primi di marzo nel carcere di Fuorni, Salerno). Secondo le testimonianze raccolte da Antigone e dall’ufficio del garante, si è verificata invece una fortissima rappresaglia da parte della polizia penitenziaria. Appena la magistratura di sorveglianza ha concluso il suo lavoro (tra le sue competenze c’è quella di monitorare lo stato, le garanzie e i diritti dei reclusi) quasi cento poliziotti a volto coperto e in tenuta antisommossa sono entrati in un padiglione e hanno cominciato i pestaggi all’interno delle “camere di pernottamento”. Probabilmente non sono gli stessi poliziotti in servizio presso l’istituto, anche perché picchiano chiunque, anche chi non ha preso parte alle agitazioni del fine settimana, anche qualche detenuto che dopo pochi giorni potrebbe uscire dal carcere con i segni del martirio sulla carne.

Le violenze si svolgono secondo modelli già visti: ad alcuni detenuti vengono tagliati barba e capelli, vengono spogliati e pestati con manganelli, pugni e calci su tutto il corpo. Il racconto di queste torture non sembra fermarsi, perché alcuni familiari sostengono che i pestaggi continuino anche ora. Nel corso di questa settimana, le famiglie, preoccupate per le violenze, hanno organizzano una manifestazione pacifica nei pressi del carcere. Ma all’interno si respira un’aria gelida e qualche agente continua il gioco al massacro psicologico: «Avete anche il coraggio di far venire le vostre famiglie? Non vi è bastato?».

https://napolimonitor.it/il-carcere-di-santa-maria-capua-vetere-e-la-mattanza-della-settimana-santa/

Link dove vedere il video dove un detenuto racconta, attraverso una telefonata, le violenze di questi giorni al carcere di Santa Maria Capua Vetere

Mattanze di questo tipo, in stile scuola Diaz, servono a (ri)stabilire un rapporto di dominio: svuotare il corpo di ogni difesa fisica e mentale, colpire la persona fino a suscitare un sentimento di vergogna verso se stessi. Di fronte al deflagrare di quest’energia cinetica bisogna essere nudi: è il modo migliore per rendere docile un corpo che ha mostrato segni di insubordinazione. In questi giorni sono stati presentati alcuni esposti alla Procura della Repubblica (solo Antigone ne ha già depositai tre, in diversi penitenziari del paese) che dovrà accertare cosa è successo nel carcere casertano.

La tensione nel frattempo, anche quella della polizia penitenziaria, si trasforma di continuo in atti di forza, soprattutto quando non si hanno direttive per fronteggiare la crisi. Il virus viaggia velocemente e la direzione sanitaria cerca di stargli dietro. È tuttavia difficile, perché i detenuti sono tanti e in alcune sezioni sono ammassati in clamoroso sovrannumero. Oggi i contagi nel carcere di Santa Maria sono arrivati a quattro e un intero piano di una sezione è stato isolato.

Se il sistema sta svelando un’altra falla, dopo gli ospedali e le case di cura, è anche vero che esiste una differenza tra il carcere e gli altri ambienti. Nei nosocomi e nelle RSA, finanche in alcune fabbriche (tutto pur di non interrompere le linee di produzione) si stanno predisponendo – dopo centinaia di morti tra pazienti, medici, infermieri e vigili del fuoco – misure di sicurezza per arginare il contagio. Nelle carceri si guarda il sistema implodere senza prendere alcuna decisione. La mattanza di Santa Maria ne è la dimostrazione e poiché il carcere è uno spazio di guerra, la possibilità di usare in ogni momento delle strategie per indebolire o neutralizzare una delle parti è all’ordine del giorno.

“Gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo (Mc 15,16-20)”. Adesso è necessario monitorare le persone che sono ancora recluse, per evitare che il massacro continui. (luigi romano)

Il carcere di Santa Maria Capua Vetere e la mattanza della settimana santa

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero4)

“I loro virus, i nostri morti”

Siamo quotidianamente sommersi dai dati sul numero di contagiati, morti e guariti. Anche se non emergono mai le cause strutturali di questa epidemia – il saccheggio industriale dell’ambiente naturale e lo squilibrio nelle relazioni con le altre specie animali – alcune verità, per chi sa isolarle in questo mare di informazioni, rimangono a galla. Oltre il 70% dei deceduti con Coronavirus soffriva di ipertensione. Nel 95% dei casi esistono dei fattori di rischio che possono predisporre al suo sviluppo; in particolare la sedentarietà e lo stress. Il divieto di uscire di casa – con le debite precauzioni – crea i presupposti per nuove moltitudini di malati. Senza contare le devastanti conseguenze psicologiche per tutti coloro che vivono condizioni abitative e famigliari tanto insostenibili quanto rimosse dall’ottimismo di Stato (“Tutto andrà bene. Io resto a casa”). Inoltre, se l’importanza del sole e della vitamina D per le difese immunitarie sono “fake news”, perché nei protocolli distribuiti a carabinieri e polizia si consiglia almeno mezz’ora di sole al giorno e, in caso di impossibilità, l’assunzione di vitamina D?

Sacrificabili

Alla BRT di Rovereto si sono registrati due casi di Coronavirus tra i facchini (uno dei due è ricoverato in terapia intensiva). L’azienda della logistica, dopo aver “sanificato” in fretta e di nascosto gli uffici (non il magazzino), pretendeva che gli operai continuassero tranquillamente a lavorare, senza nemmeno fare i tamponi. I facchini si sono rifiutati, mettendosi in malattia. Intanto Confindustria spinge per aprire al più presto le fabbriche (chiuse solo dopo l’ondata di scioperi che ha costretto il governo a bloccare le “produzioni non essenziali”). Qualcuno parla di “suddivisione squilibrata del rischio”. Altri, che guardano all’intero pianeta e alle sue gigantesche ingiustizie, di “apocalisse differenziata”.

Ne parleremo, e a lungo

Secondo dati ufficiali, tra il 2009 e oggi sono stati sottratti alla Sanità 37 miliardi di euro. Sarà forse per l’oggettiva eloquenza di questo dato che i giornali locali hanno riportato la notizia di una scritta apparsa davanti all’ospedale di Rovereto (“Grazie al personale sanitario, ma non scordiamo chi ha tagliato la Sanità”) senza il consueto codazzo di commenti di criminalizzazione? Oltre al dato quantitativo, ce n’è un altro, qualitativo. Se allarghiamo un po’ l’arco temporale, ci accorgiamo che la Sanità non è stata solo sforbiciata, ma anche trasformata. Fino al 1978, infatti, era previsto un rapporto di scambio fra la medicina di prevenzione e i “Comitati di cittadini” (espressione con cui si cercava di istituzionalizzare i tanti comitati di base per la salute nei territori e sui posti di lavoro nati un po’ ovunque nel corso delle lotte degli anni Settanta). Dall’incontro di medici e comitati di base era nata, qualche anno prima, l’inchiesta più seria e approfondita sul disastro ambientale dell’Icmesa a Seveso. Visto che ciò che stiamo vivendo è un’esperienza di massa che non si cancellerà in quattro e quattr’otto – si tratta della più pesante limitazione delle libertà nella storia d’Italia –, sarà di fondamentale importanza per il futuro creare spazi di confronto fra abitanti e personale sanitario critico al fine di analizzare nell’insieme e nel dettaglio cosa ha causato questa epidemia e come l’hanno affrontata governi e scienziati di Stato.

“Ti auguro un fantastico futuro”

Con queste parole, si chiude la lettera nella quale l’informatico Thomas Frey spiega a un divulgatore scientifico che ben presto le attuali password saranno sostituite, grazie al 5G, con «frasi vocali accoppiate a spettri laser, risonanza al tocco, riconoscimento del battito cardiaco, firma a infrarossi» (“Corriere Innovazione ” del 3 aprile 2020). «Ovunque tu sarai – aggiunge il suo interlocutore, il professor Derrick De Kerchove – verrai rintracciato e virtualmente ricostituito in quattro dimensioni in modo completo e continuo come può fare il 5G. Acquisirai e memorizzerai ogni tua mossa come un tuo inconscio digitale profilato e distribuito in database da cui emergeranno decisioni (scelta, acquisto, voto, ecc.)». «Ma non è la fine del mondo – ci assicura il professore –, solo quella della nostra illusoria e piacevole autonomia». «Questa emergenza ha fornito la spallata che serviva per diffondere la digitalizzazione». D’altronde, «mai sprecare una crisi». Per coloro che si ribellano a tale fantastico futuro di uomini-macchina, è già pronta la definizione: “talebani dell’esperienza fisica”.

Consigli inglesi

Alcune antenne per la telefonia mobile 5G sono state incendiate a Sparkhill, Birmingham, giovedì 2 aprile, e a Melling, Merseyside, venerdì 3 aprile. La notizia è stata data anche in Italia. Gli autori dei sabotaggi sono stati definiti “complottisti”, con tanto di comunicato da parte di Google e Facebook, per i quali la nuova infrastruttura 5G è fondamentale affinché la sorveglianza che esercitano in rete si estenda ai comportamenti nella vita reale e agli stessi ambienti cittadini. Qui non c’è alcun complotto. È la logica stessa dell’accumulazione a far sì che il modo migliore per predire i comportamenti dei consumatori – e vendere le previsioni agli inserzionisti e all’industria – sia quello di programmarli.

Auguri dalla Grecia

È sempre saggio ascoltare il vicino di casa che ha già vissuto una condizione che domani potrebbe toccare a te. Scrive un collettivo di Atene: «Stanno parlando e stiamo parlando di guerra. Ed è vero. Dall’innalzamento dei prezzi al mercato nero. Dagli scaffali dei supermercati vuoti, allo stoccaggio di cibo. Dal “reclutamento” di alcuni dipendenti per ridurre le perdite del datore di lavoro, al licenziamento di altri. Dalla coercizione del lavoro senza prevenzione sanitaria elementare, agli straordinari di emergenza. Dall’insufficienza ospedaliera e di attrezzature mediche e l’inadeguatezza del personale infermieristico, alla trasformazione degli ospedali in reparti zeppi di “feriti di guerra”. […] Quindi “economia di guerra” significa un nuovo ciclo di memorandum, licenziamenti, riduzione di salari, pensioni, spese sociali e privatizzazioni. Quello che lo Stato sta dando oggi per fermare la sua bancarotta, domani lo pagheremo col sangue».

Versione pdf: Cronache4

Cronache dallo stato d’emergenza (Numero4)