Sociedad de trabajadores sin trabajo

A medida que las crisis se suceden y los Estados del Bienestar se van desmoronando, van dejando al descubierto sus innumerables fraudes y estafas. Esto deja vislumbrar un futuro (espero que no muy lejano) enfrentamiento entre los que, a pesar de todo, prefieren la falsa seguridad del orden establecido y los que comprenden o empiezan a intuir que la vida es otra cosa y, por tanto, debe discurrir por otros cauces todavía por construir.

De nuevo estamos en medio de una crisis, sanitaria esta vez. Sin duda, terrible pero no más que cualquiera de las que ya han pasado o de las que están por llegar. En esta crisis hay muchas víctimas, demasiadas. Las primeras y las más dolorosas, los fallecidos y el rastro de dolor que dejan en sus seres queridos. Pero también todos aquellos que caminaban sobre la línea fina de la supervivencia y que, una vez más, se ven empujados a la miseria y a depender de la solidaridad/caridad para seguir a flote y no perder el rastro de la vida.

La crisis se ha convertido en el estado natural de la sociedad en los últimos tiempos. Su gestión, en la manera habitual de gobernar. Vivimos en un estado de excepción permanente porque este orden social no tiene otra forma de mantenerse mas que gestionando la miseria, producto de la crisis permanente que representa el Capitalismo.

Un aspecto fundamental de esta crisis permanente tiene que ver con el trabajo. Esto lo estamos viendo en la actualidad con una buena parte del trabajo suspendido y, por consiguiente, cientos de miles de personas expulsadas de sus puestos de trabajo y otras tantas impedidas para hacerlo de manera informal (puesto que ya habían sido expulsadas del mercado con anterioridad o jamás se les ha permitido ingresar en él). Esto no es algo exclusivo del momento actual.

Desde hace décadas se viene advirtiendo de la progresiva pérdida de empleos debida a diversos factores. Esto ha llevado  la proliferación de un cada vez mayor número de empleos sin finalidad alguna y a la precarización de la inmensa mayoría de puestos de trabajo y, por ende, la vida de millones de personas. El trabajo se ha desligado de la necesidad de producir mercancías (más o menos necesarias). Hoy en día, tiene más que ver con las necesidades político-ideológicas de tener el máximo posible de consumidores disponibles. En definitiva, se trata de mantener a flote, cueste lo que cueste, el orden basado en el trabajo.

Aquí está la clave, el orden del trabajo es el orden del mundo. La nefasta necesidad de “ganarse la vida” está en la base de un mundo jerarquizado donde trabajo o muerte (física, social, moral) es la única disyuntiva para millones de seres humanos.

No hay alternativas, prácticamente todas las posiciones políticas han puesto la idea del trabajo en su centro teórico hasta convertirlo en una especie de destino natural del ser humano. Ahora, de nuevo golpea la crisis y de nuevo se legisla en favor de los favorecidos, de los que nunca dejan de ganar. Oleadas de despidos se suceden por todos lados por mucho que digan los políticos de distinto pelaje. Otra vez vamos a pagar los mismos, los que pagamos siempre, los que nunca dejamos de hacerlo.

Nos estamos convirtiendo en una sociedad de trabajadores sin trabajo. Y eso nos convierte en prescindibles, como bien saben desde hace muchos años millones de personas alrededor del globo.

Vivimos tiempos de inmediatez, sin embargo, puede ser el momento de vislumbrar otros órdenes del mundo porque más pronto que tarde el orden del trabajo ya no será válido y ahí, justo entonces, existirá una oportunidad para ese enfrentamiento del que hablaba entre los que desean las seguridad del Orden vigente y los que no. Más vale estar preparados para cuando debamos elegir. No nos podemos permitir el lujo de equivocarnos de bando, otra vez no.

de: https://quebrantandoelsilencio.blogspot.com/2020/04/sociedad-de-trabajadores-sin-trabajo.html

Cronache dal contagio – notte 20

E’ tardi.

Le luci accese delle case rompono il buio della notte, stanotte più del solito.

Qualche finestra è aperta, molte persiane sono alzate, è strano vedere la città così vuota e muta.

Le uniche macchine che passano sono quelle della polizia o dei carabinieri in cerca di untori.

Ma per le strade non c’è nessuno, sono tutti lì, in quegli appartamenti nei palazzi che stanotte sembrano più alti e soffocanti del solito. Col caldo che avanza in questa nottata primaverile placare l’insonnia diffusa dei ritmi sballati è difficile, non basta netflix, così in tanti sono affacciati a quelle finestrelle illuminate, che l’esigenza sia di fumarsi una sigaretta, prendere una boccata d’aria o entrambe non cambia l’attitudine dello sguardo a cadere inevitabilmente verso la strada con la vana speranza di trovarci un qualcosa, un qualcuno, ma da un po’ di tempo lì, in strada, non succede granchè.

Ci siamo solo noi.

Quattro figure nere che si aggirano per questa città di occhi ai balconi.

In questo scenario, inutile a dirsi attacchinare e fare qualche scritta spray è quasi impossibile.

Ogni passo riecheggia e il minimo rumore si amplifica nel silenzio di questa notte vuota.

Così succede che ogni qualvolta tiriamo fuori dalle borse la colla, un pennello o i manifesti si apre qualche finestra, ogni muro buono per una scritta è sorvegliato da almeno un paio di insonni ed a ogni rumore di motore o luce blu intravista dobbiamo correre e nasconderci.

Battiamo quasi tutto il quartiere così, tra una fuga ed un nascondiglio senza però riuscire a raggiungere il posto prefissato.

Dall’alto poi, si sente un bisbiglio che si trasforma subito in urlo: “andare a casa! La colpa è vostra se tutto continuerà fino all’8 maggio!”

Nell’esasperazione non riusciamo a fare a meno di cedere alla sciapa consolazione di rispondere ad insulti.

Forse questa persona ha avvisato gli sbirri, forse qualcun’ altro più discreto l’aveva già fatto in precedenza, non sarebbe difficile individuarci. Valutiamo che la tensione, soprattutto la nostra, si sta facendo un po’ troppa decidiamo così di rientrare.

Qualche messaggio siamo riusciti a lasciarlo.

Segnali di ribellione colorata che spezzano un po’ la monotonia grigia cemento di queste giornate passate per lo più segregati in casa o in fila davanti ad un supermercato.

Domani, proprio per questo, con qualche accortezza in più ci riproveremo, sicuramente andrà meglio!

Delitto e castigo

2. Farmacisti di noi stessi

Durante la malattia aveva fantasticato che tutto il mondo fosse condannato a esser vittima di una terribile, inaudita, mai veduta pestilenza che dal fondo dell’Asia marciava sull’Europa. […] Eran comparse delle nuove trichine, esseri microscopici che s’insinuavano nel corpo degli uomini [… che] diventavano subiti indemoniati e pazzi. Però mai, mai degli uomini si erano stimati così intelligenti e infallibili come si stimavano quegli appestati. Mai avevano creduto più incrollabili le loro sentenze, le loro deduzioni scientifiche, le loro convinzioni morali e le loro fedi. Interi villagi, intere città e nazioni si infettavano e impazzivano.

Weimar o meno, il governo iniziò la distribuzione massiccia di cortisolo. Una sfilza di esperti di neuroscienze sostenne la sua necessità per la tutela della Salute Collettiva, le case farmaceutiche si arricchiscono come sempre, i burocrati si armarono di timbri e decreti, le maestre lo spiegarono via web ai bambini, per chi non lo prendeva erano guai. Come si proclamava in giornali, web e tv, ma anche in appositi momenti della giornata, attraverso l’uso di altoparlanti e coreografie di gruppo che le forze dell’Ordine eseguivano in strada tra un pestaggio e l’altro, il cortisolo era necessario a bloccare processi di pensiero incontrollabili, inibendo le connessioni neuronali; la comprensione e l’apprendimento avvenivano secondo Skinner, le reazioni agli ordini secondo Pavlov, e l’obbedienza veniva implementata su base chimica, efficace e salutare come un’aspirina. Fuori dai supermercati reparti della celere distribuivano buoni pasto e pasticche di ormoni, i medici le somministravano perfino più diffusamente degli antibiotici, per entrare in farmacia era prima necessario buttarne giù un paio. La gente era così tranquilla che la cosa sarebbe potuta andare avanti per sempre.
Invece, a un tratto, mancò il cortisolo. Alcuni siti internet tacciati di cospirazionismo (e subito chiusi grazie alla legge sulle fake news) si lanciarono in improbabili spropositi circa sabotaggi ad opera di pseudo-untori malati di ipocortisoloidismo, che in effetti si dice provochi gravi squilibri mentali, insubordinazione e voglia di libertà; come che fosse, per un mese intero il cortisolo mancò. Eppure lo sfortunato incidente non provocò nella popolazione quell’ondata di instabilità che ci si sarebbe potuti aspettare, niente affatto: le persone autodefinitesi “brave” rimasero unite in quella confortevole sottomissione che le aveva cullate con moto pendolare da un dispositivo di controllo all’altro, permettendo loro di fare la spesa al supermercato, passare la vita davanti a uno schermo, fare la spesa allo schermo, passare la vita al supermercato; la gente normale restava tranquilla, i seppur ribelli però infatuati e sedotti dall’idea di Salute fornita dallo Stato, al massimo, supplivano dove lo Stato mancava facendo la spesa solidale per i poveri, o chiedevano nuove forniture di cortisolo per detenuti e operai. Di fatto, pareva che tutto fosse normale.
Se si sperticarono le Scienze a illustrare il fenomeno! Florilegi di dati, campionamenti, analisi, studi sperimentali ed esplosive candidature ai Nobel (Chimica, Pace e Medicina) si succedettero in poche settimane, senza che una sola spiegazione valida venisse fornita fino a prova contraria. E ci si potrebbe rassegnare a non capire, come fecero tutti, creandosi ciascuno un fatalismo privato che delegasse a un esperto a venire il mistero di ciò che era successo nelle vite di tutti, senza che tutti se ne accorgessero, e fino a fisiologico oblio in circa giorni sette.
Ma a ben vedere, col senno di poi, si potrebbe verosimilmente stabilire ora che il motivo fosse ovvio. Già, perchè erano le stesse parole allarmanti degli esperti di neuroscienze, era l’ansia per l’impossibile tutela della Salute Collettiva, era proprio l’azione incrociata delle case farmaceutiche, dei burocrati, delle maestre, dei giornali, del web e della tv, erano gli altoparlanti e le coreografie e i pestaggi delle forze dell’Ordine, erano i medici e i farmacisti, era la gente stessa, con la sua imperturbabile tranquillità, che rendevano inutile la somministrazione della molecola per via orale: il cortisolo è in effetti un ormone che le ghiandole surrenali sono capaci di produrre da sole, quando debitamente stimolate, noto come l’ormone dello stress e della paura. E la paura, si sa, oltre ad alimentarsi da sé, dà una forte dipendenza.

Segue.

Proposta per un 25 aprile che sia liberazione

Da qualche settimana quasi tre miliardi di persone sono costrette alla reclusione domiciliare forzata.
In Italia, come in altre parti del mondo, le prime persone che si sono ribellate al peggioramento delle loro condizioni di sopravvivenza, i prigionieri nelle carceri, sono state represse con morti e feriti.
Mentre la scienza propone tesi in contrasto tra loro, una parte della comunità scientifica afferma che il periodo delle quarantene, sebbene a fasi alterne, durerà almeno fino all’anno prossimo.
Lo stato, invece, ha già scelto quale verità propagandare per giustificare le misure adottate. L’isolamento domiciliare coatto viene prolungato, l’unica proposta-costrizione avanzata alla popolazione è obbedire ed aspettare sorvegliando e auto-sorvegliandosi.. ma per quanto?

Per ora la fine delle misure è stata rinviata al 13 aprile, ma molto probabilmente ci saranno ulteriori proroghe…

Il 25 aprile è la festa della liberazione. Liberazione non solo dal nazifascismo, ma da ogni forma di oppressione.
L’oppressione di vivere in un mondo nel quale gli spostamenti sono continuamente controllati e monitorati, con posti di blocco, soldati ovunque, droni, telecamere, braccialetti elettronici.
L’oppressione di essere singolarmente considerati come untori se non rispettiamo le leggi e pensiamo che la socialità e la possibilità di uscire non siano cedibili in cambio della sicurezza della sopravvivenza.
L’oppressione di vivere nel terrore dell’invisibile, perché il problema non è il virus, ma le condizioni ecologiche e sociali in cui esso si diffonde.

Il problema è il cambiamento climatico che modifica i cicli naturali, è il sovraffollamento urbano, è l’omologazione dell’alimentazione e delle risposte immunitarie, è la velocità degli spostamenti su tutta la superficie terrestre.
Ci avevano detto che avremmo dovuto accettare questi problemi, barattare la nostra obbedienza in cambio di certe sicurezze.
Queste sicurezze sono venute meno…

Questo virus, dopo il disastro economico e ambientale, è l’ultimo disastro – ad oggi – di una società che ci è stata imposta, società che si basa sulla dominazione, sull’accumulazione quantitativa e sullo sfruttamento del pianeta e dell’animale, umano e non.

Per questo proponiamo – con la speranza di essere superati dagli eventi – che il 25 aprile si ritorni in strada in più luoghi possibili per tornare ad incontrarci, affrontando la paura, combattendo la sorveglianza diffusa, attaccando la retorica deresponsabilizzante che ci vede tutti portatori di contagio.
Con l’intenzione che non resti un giorno isolato, vogliamo evadere dalla quarantena, farlo accettando le conseguenze delle nostre azioni, coprendoci il viso per la libera scelta di tutelare se stessi e gli altri e anche perché dalla libertà dell’anonimato potrebbero avere luogo cose altrimenti impensabili…

Restare spettatori passivi del disastro accettando la reclusione non impedirà il verificarsi di nuovi disastri, semmai prolungare l’agonia che già viviamo.
Possiamo ancora fidarci e obbedire mentre il mondo continua ad essere un luogo nel quale la vita viene negata tra controllo totale, socialità distrutta e il dramma ecologico.
Oppure identificare le cause di questo disastro, smettere di obbedire e agire per impedire che la distopia continui ad essere.
E per vivere infine possibilità di liberazione…

Y a t-il une vie avant la mort?

Ces derniers mois, un virus contre lequel n’existe pas de vaccin se
propage, atteignant des organismes humains affaiblis notamment par les
pollutions industrielles, la misère, les conditions de survie
éprouvantes. Il contamine des centaines de milliers de personnes et tue
des milliers d’autres. Ce virus et le traitement médiatique qui en est
fait viennent activer une terreur ancienne, celle des différentes «
pandémies » de peste noire et leurs dizaines de millions de mort-es au
fil des siècles, terreur confirmée et amplifiée par les mesures
spectaculaires et coercitives se répandant comme traînée de poudre. La
mort et la peur qu’elle inspire, tenues à distance la plupart du temps
dans « nos » sociétés occidentales (ou « normalisé-e » à renfort de
protocoles médicaux), semble prendre sa revanche en envahissant l’espace
social et incitant chacun.e à regarder l’autre comme un facteur de
risque potentiel.

Ces derniers mois, un virus contre lequel n’existe pas de vaccin se
propage, atteignant des organismes humains affaiblis notamment par les
pollutions industrielles, la misère, les conditions de survie
éprouvantes. Il contamine des centaines de milliers de personnes et tue
des milliers d’autres. Ce virus et le traitement médiatique qui en est
fait viennent activer une terreur ancienne, celle des différentes «
pandémies » de peste noire et leurs dizaines de millions de mort-es au
fil des siècles, terreur confirmée et amplifiée par les mesures
spectaculaires et coercitives se répandant comme traînée de poudre. La
mort et la peur qu’elle inspire, tenues à distance la plupart du temps
dans « nos » sociétés occidentales (ou « normalisé-e » à renfort de
protocoles médicaux), semble prendre sa revanche en envahissant l’espace
social et incitant chacun.e à regarder l’autre comme un facteur de
risque potentiel.

Celles et ceux qui se présentent comme indispensables se targuent de
nous imposer surveillance et autorité « pour notre bien » et font feu de
tous bois, de la culpabilisation au discours nationaliste de merde ; de
la surveillance technologique aux amendes, du tabassage à la menace de
la taule. Les rues quasi-désertes sont quadrillées d’uniformes bleus et
kaki, qui se réjouissent d’avoir les mains libres pour tomber sur des
personnes isolées, alors que depuis plusieurs mois, dans l’hexagone
comme dans différents coins du monde, la rage s’exprime intensément
contre l’autorité. La sale rhétorique de la « mobilisation générale » et
de « l’état d’urgence » (pour cette fois sanitaire et -comme toujours-
amené à durer) est abondamment martelée, justifiant un nouveau niveau
d’embrigadement des corps et des esprits, incitant chacun.e à devenir
son propre maton (et si possible celui de ses proches ou moins proches,
conjoints, ami.es, collègues, voisin.es etc). Les mécanismes de contrôle
et de dépossession, l’aliénation et la mise au pas forcée qui sont
particulièrement palpables aujourd’hui n’ont malheureusement rien de
nouveau.

La prétention de l’État à faire le tri entre les vies jugées désirables
(ou non) par temps de « crises » n’est que la triste continuité de ce
qui passe trop souvent inaperçu par temps « calme » : mort-es aux
frontières, meurtres policiers dans les quartiers, les taules, les Hp…
Celles qui prétendent décider de ce qu’il advient de chaque corps -de la
naissance au tombeau- parlent de « personnes vulnérables à protéger »
tout en annulant une multitude d’opérations liées à d’autres pathologies
mortelles (cancer…). Sous couvert de « protection », ces raclures
interdisent les visites à l’hôpital et en Ephad, forçant plein de
personnes à mourir seul.es. Ceux qui maintiennent des dizaines de
milliers d’ individus enfermé.es dans des conditions encore plus trash
que d’habitude (suppression des parloirs, du linge, des activités
etc…) et répriment les mutineries (refus de remonter de promenade,
dégradations, départs de feux, affrontements avec la matonnerie,
tentatives d’évasion etc.) qui éclatent dans de nombreuses taules plutôt
que d’ouvrir les portes n’ont rien à nous apprendre en terme de
solidarité.

L’étau se resserre de jour en jour (attestation de déplacement
dérogatoire, couvre feu déjà en vigueur dans plusieurs villes, respect
du confinement surveillé par drones, hélicoptères etc.). Voir tellement
de personnes accepter la réduction soudaine de notre horizon est
terrifiant. Cette situation asphyxiante ne peut que générer des «
pétages de boulons ». Nous sommes inquiet.es et en colère de voir tant
de proches ou d’inconnu.es reprendre à leur compte les discours
moralisateurs, méprisants et condescendants du pouvoir, quand il-es ne
dénoncent pas celles et ceux qui ne marchent pas assez droit. Les choix
qui sont en tension aujourd’hui (repli sur soi, délation, entraide,
sédition…) laisseront sans doute des traces et blessures
irrémédiables. Ne pas perdre le contact avec le « dehors », se faire une
idée de la situation par soi-même et réfléchir à plusieurs cette
nouvelle donne n’a rien d’irresponsable. Ça pourrait même se révéler
vital.

On est rageuses en pensant à toutes celles qui vivent des violences
physiques, psychologiques et sexuelles de la part d’un conjoint qui est
aussi leur cohabitant, et dont les espaces de respiration se réduisent
de manière dramatique ; et à tous-tes les minot-es qui se retrouvent
bloquées avec des daron.nes nocif-ves… Quelles portes de sorties ?

La solidarité qui nous importe ne se cantonne pas à cette cellule
familiale si souvent toxique ou aux autres « proches », choisies ou non.
On pense à toutes les personnes mises en situation de précarité par ce
monde capitaliste (patriarcal, raciste…) de merde, aux distributions
de bouffe annulées et aux passant-es plus rares et radin.es que
d’habitude ; au tabassage par les chtars marseillais des vendeurs à la
sauvette de Noailles et d’une personne SDF vers la Plaine, ainsi qu’au
gazage de personnes qui zonaient vers la gare… et qui menacent ceux
qui ne marchent pas droit (le couvre feu envisagé relève du pur maintien
de l’ordre, pas de la mesure sanitaire). À celles qui ne disposant pas
des « bons » papiers (parce que clandestins, recherchées…) pourraient
subir des degrés de confinement supplémentaires. Laisser chez soi les
téléphones qui pourraient permettre à l’État de s’assurer du respect du
confinement (c’est déjà le cas en Italie) et plus largement tout ce qui
permet de vérifier identité et adresse (quitte à prendre une
attestation bidonnée) pourrait par exemple compliquer la tâche des
keufs, qu’il s’agisse de faire le tri entre les « bons citoyen.es » et
les autres, de coller des amendes ou d’inculper des récalcitrant.es.

On se passera enfin des « appels à la responsabilité » d’expert.es en
blouses blanches qui demandent aux simples mortel.les de s’en remettre
complètement à eux, se présentant comme seul.es et ultimes recours face
à la maladie, méprisant toute initiative qui déborderait leur cadre et
leurs enjeux (qu’il s’agisse de renforcer ses défenses immunitaires ou
de chercher des moyens de se soigner). Quand bien même leur compétence
ne saute pas aux yeux, ces gestionnaires de masse assènent injonction
sur injonction (y compris contradictoires entre elles), participant
ainsi à la dépossession, la confusion et l’infantilisation générale. Ce
n’est manifestement pas de responsabilité mais d’obéissance qu’il
s’agit. À quel moment se donne-t’on la possibilité de choisir par et
pour nous même de quoi nos vies et nos solidarités sont faites?

On espère bien qu’il n’y aura pas de retour à la normale. L’avant Covid
19 ne faisait pas rêver, et ce que prépare le pouvoir pour l’« après »
est glaçant : mobilisation pour le rétablissement de l’économie du pays
à coups de restrictions budgétaires, « d’effort national » et de mise au
travail forcé.

À moins que les questions autour de la mort nous amènent à réfléchir
sur le sens que nous voulons donner à la vie et à nos activités ?

À moins que ce temps suspendu ne soit employé à rencontrer des
complices, à approfondir des affinités, à envisager de nouvelles
possibilités offensives pour détruire ce qui nous détruit…

Que vivent l’imagination, l’entraide et la révolte !
Que crève la prison sociale.
Liberté pour tous.tes!

[mars 2020]

 

yatilunevie.pdf

Palermo – L’esproprio diffuso, l’inneggio alla rivolta

Ieri a Palermo una ventina di persone hanno tentato di espropriare una lidl cercando di uscire con i carrelli. I dipendenti della catena, da bravi servi dell’azienda hanno prontamente chiamato gli sbirri per impedire che una manciata di merce uscisse senza essere pagata.

Sembra però che la pratica dell’esproprio a Palermo si stia diffondendo, sempre più persone pretendono di uscire dai supermercati senza pagare. Per limitare la pratica davanti a certi centri commerciali saranno presenti presidi delle guardie.

Intanto sui social iniziano a nascere gruppi che inneggiano alla rivolta.

Riuscirà lo stato a contenere la rabbia che sta covando?

Si salveranno le lidl?

Cronache dal contagio – giorno X

Un giorno qualsiasi ti svegli e il mondo non è più lo stesso.
E’ già capitato a molti ma non avevi mai pensato che sarebbe potuto capitare proprio a te, proprio oggi.
Ti guardi intorno sbigottitx e non ci vuoi credere, chiudi gli occhi e pensi “non è reale, tra poco mi sveglierò e tutto sarà come prima”.
Ma non ti svegli e passano settimane, e tu sei sempre lì, attonitx, a guardarti intorno, aspettando…aspettando.
Intanto il mondo continua, a modo suo. Non puoi più uscire di casa se non per andare a lavorare, tutto il resto avviene online: la spesa, lo svago, le relazioni. Il tuo telefono gestisce la tua vita: sa quando i tuoi  parametri vitali sono alterati e ti connette con il medico o contatta il farmacista per farti fare una ricetta, quando sei triste mette della musica allegra e ti consiglia una pastiglia, quando hai bisogno di affetto fissa uno skype meeting un conoscente, quando sei stancx punta la sveglia un ora più tardi. Non hai più bisogno di preoccuparti di niente, ogni dettaglio è già stato deciso per te, devi solo lavorare per assolvere il tuo debito con le compagnie che gestiscono la tua vita, per lo stato che garantisce la tua sicurezza. Non hai più aspirazioni perchè non c’è niente di meglio a cui aspirare, non hai rimpianti perchè non c’è altro che avresti potuto fare. QUESTO E’. Tutto il resto è irregolare e per questo deve essere prontamente eliminato o normalizzato.
Le persone a cui volevi bene sono solo dei lontani ricordi, dei contatti Whatsupp che ogni tanto compaiono in chat e ti mandano foto di luoghi lontani che non puoi più raggiungere. A volte diventano voci in lunghe telefonate che parlano di niente: di come è venuto oggi il pane fatto col bimby quindi  uguale a sempre, dell’ultimo best seller letto, delle forme di intrattenimento che servono per far passare il tempo che altrimenti non passa.
Non ricordi nemmeno più bene ma ci sono cose che sono scomparse dal tuo mondo e ora sembrano scarabocchi a matita cancellati male nella tua testa, ci sono resti di paesaggi, parchi, sentieri, luoghi selvaggi, emozioni che ormai non hanno più forma. Ci sono foto che li ritraggono ma non raccontano più la stessa storia, come feticci di un altro tempo senz’anima.
Aspettando ti sei anche dimenticatx chi eri, da dove venivi, forse l’hai voluto fare per adattarti meglio alla situazione, per riuscire a credere che non poteva che andare così. Ancora non ci credi, “tutto tornerà come prima”, ma poi ti accorgi che non ricordi nemmeno com’era prima. Ti accorgi che l’unico mondo che hai ora è questo, e che sei solx. Ti accorgi che tutt’intorno a te è pieno di scatole di cemento con dentro milioni di Te tutti uguali e diversi allo stesso tempo, che fuori dalle  scatole di cemento ci sono scatole di ferro che trasportano i Te verso altre scatole di cemento. Nient’altro. Avanti e indietro tra le scatole di cemento. 2 volte al giorno, 5 giorni su sette, 12 mesi l’anno. Scatole di cemento che inghiottono tempo, il resto è solo tempo che in qualche modo deve passare, per questo ci sono i passatempo.

Una notte fai un sogno strano: sogni di svegliarti una mattina e invece di prendere la scatola di ferro che ti porta alla scatola di cemento inizi a camminare, qualcuno ti vede e decide di seguirti. Nel giro di qualche minuto siete già una sessantina e continuate ad aumentare. Nessuno parla ma sapete già tutti dove state andando. Arrivate alla prima scatola di cemento e distruggete tutto. Prendete quello che vi serve e distruggete il resto. Gli altri dentro la scatola vi aiutano. Poi passate alla seconda, e poi alla terza, e così via.

Ti svegli di soprassalto, è mattina presto e fuori il cielo è grigio, come tutti i giorni. Suona la sveglia ed è ora di cominciare un nuovo giorno, la tua rassicurante routine ti aspetta. Consumi la tua insipida colazione poi ti metti mascherina e guanti e ti avvii verso l’ascensore. Premi il pulsante per chiamarlo ma non succede nulla. Non c’è elettricità. Ti avvii per le scale e raggiungi l’ingresso. Nemmeno il pulsante per l’apertura della porta funziona. Prendi il telefono ma non c’è campo. Suoni il campanello dell’appartamento sul pianerottolo ma nessuno ti risponde. Sali al piano superiore, altro campanello. Nessuno. Nemmeno al terzo piano, nè al quarto. Tutto tace. Torni alla porta, prendi il porta ombrelli e sfondi il vetro. In strada ci sono decine di persone che si guardano intorno spaesate, nessuno proferisce parola, nessunx si avvicina agli altrx. Tra la folla scorgi uno sguardo amico dietro la mascherina, lo raggiungi e con un sibilo chiedi “cosa diavolo sta succedendo?”. L’altrx ti prende per mano e ti sussurra nell’orecchio “niente, è stato solo un brutto sogno. Incamminiamoci, se andiamo a passo svelto entro qualche giorno potremmo essere di nuovo in montagna…”.