25 aprile, alcuni fatti

TRENTINO

L’appello a violare le misure di confinamento durante la giornata del 25 aprile è stato raccolto in modo piuttosto variegato e creativo. A Trento, un gruppo di compagni e compagne è sceso in strada nel quartiere di San Pio X, mantenendo le distanze di sicurezza e dimostrando che è possibile ritrovarsi in strada, all’aria aperta, tutelando la propria e altrui salute. Il gruppo – con lo striscione “Responsabili, non ubbidienti. Resistenza ora e sempre” – è rimasto in strada per una buona mezz’ora, con interventi, musica e cori; qualche solidale e abitante del quartiere si è avvicinato, poi è arrivato un ingente quantitativo di forze dell’ordine che hanno provato ad identificare e fermare i presenti. Il tentativo degli sbirri non è andato a buon fine ed il gruppo si è allontanato intonando cori e salutando le persone affacciatesi dai balconi. Sempre in giornata c’è stato un saluto ai detenuti di Spini di Gardolo.
Per quello che abbiamo letto e saputo, diversi striscioni e cartelloni sono apparsi a Rovereto in ricordo dei partigiani, contro fascisti e capitale, in solidarietà con i detenuti in lotta, contro la logica padronale-statale che vuole le fabbriche aperte e le persone chiuse in casa… Diversi parchi sono stati “liberati” dai nastri divisori e i cartelli di divieto sono stati sostituti con altri che invitano a usare collettivamente gli spazi collettivi mantenendo le distanze fra le persone. A Tierno, musica in piazza con i vicini che hanno portato teglie di pizza. A Mori, giro in paese con musica e un cartellone. A Noriglio, striscioni appesi, giro in paese con canti partigiani e lettura di un volantino; a Lizzanella, presenza in piazza con striscioni e musica; alle Fucine, cartelli e interventi amplificati; al Brione, un gruppo di compagni e compagne – con le mascherine e distanziati fra loro – ha attraversato una parte del quartiere con uno striscione (“Organizzarsi per non subire ancora”) e un impianto. Il primo intervento sotto i palazzoni è stato seguìto con molto interesse dalle persone ai balconi, che hanno risposto con un sonoro applauso; una decina di persone si sono unite all’iniziativa. Tra i tanti discorsi (sulle cause strutturali di questa epidemia, sulle responsabilità di Confindustria e governo, contro il controllo tecnologico in nome della salute…), è stato lanciato un invito a chi è in difficoltà economiche a organizzarsi per non pagare l’affitto all’Itea (i cui dirigenti hanno annunciato una moratoria per i negozianti ma non per gli inquilini). Forse per via degli appuntamenti non annunciati e dei diversi orari, le pattuglie di polizia e Digos sono arrivate quando i compagni se ne stavano già andando. In tarda serata, fuochi d’artificio in tre punti nei dintorni di Rovereto.

MILANO

25 aprile 2020, Milano

Resistere e lottare per le strade

Oggi 25 aprile, giorno della liberazione dal nazifascismo, alcune compagne e compagni hanno deciso di fare un giro per le vie del quartiere ticinese, dove sono presenti diverse lapidi di partigiani. L’ intento era tenere vivo quello spirito e quelle pratiche di resistenza di cui il presente necessita più che mai.

Durante il giro e davanti alle tre lapidi, sono stati fatti diversi interventi sulla resistenza di ieri e di oggi con applausi e parole solidali che arrivavano dalle persone ai balconi o che camminavano per strada.

Finito il giro, all’altezza di via Torricelli, all’angolo con la circonvallazione, mentre ci dirigevamo verso il naviglio pavese in via Ascanio Sforza, nella zona delle occupazioni, facendo un intervento di chiusura della giornata, sono arrivate quattro camionette della polizia e una dei carabinieri, che celermente sono entrate nella via.

Una ventina di noi sono stati circondati e trattenuti per circa due ore per essere identificati e multati.

Abbiamo sfruttato questo tempo, in cui siamo stati trattenuti, per ricordare le cause della pandemia in corso, creata dal sistema capitalistico in cui sopravviviamo e resistiamo, le condizioni e le rivendicazioni dei detenuti durante le rivolte di marzo, la situazione di chi non ha mai smesso di lavorare e la gestione assassina del governo dell’emergenza Covid-19 e i grandi e irresponsabili errori del sistema sanitario, in particolare quello lombardo.

Dopo poco si sono radunati in zona e dall’altra parte del naviglio diversi solidali, che polizia e carabinieri, a più riprese, hanno tentato di mandare via per non farci comunicare.

E’ stato evidente per l’ennesima volta che digos, polizia e carabinieri hanno difeso con aggressività e nessun tipo di scrupolo gli interessi dello stato e del potere.

Ritornare nelle strade nel giorno della liberazione è stato significativo e importante.

Diamo solidarietà alle nostre compagne e compagni che a nordest di Milano, in Via Padova, sono stati caricati per essere scesi in piazza per il loro giro delle lapidi in quartiere e al compagno che è stato fermato e portato in questura e denunciato per resistenza nel giorno della Resistenza partigiana.

antifasciste e antifascisti Milano

PISA

BOLZANO

Alcune persone si incontrano più o meno casualmente in Piazza Adriano, ancora l’Anpi non c’è, nessuno ha intenzione di attendere che arrivi, nessuno di quelli che si sono incontrati li ha intenzione di partecipare a delle commemorazioni svuotate di senso, imbarazzanti, con tricolori, stampa, digos e polizia, tutti a braccetto.
Delle persone si incontrano li, qualcuno porta un fiorellino.
Sulla piazza davanti e vicino al monumento la notte erano apparse delle scritte, cancellate con grande velocità.

Qualcuno ha fatto in tempo a vederle, erano scritte di solidarietà con chi resiste oggi, con chi mette in discussione l’operato della polizia, di tutte le forze dell’ordine, dei politici, dei padroni, che oggi più che mai usano la violenza per reprimere, per schiacciare i più deboli e chi non accetta muto e chiuso in casa lo sporco lavoro dello stato con tutti i suoi tentacoli.

Erano parole, subito cancellate, di solidarietà diretta con gli/le arrestate/i a Torino domenica scorsa, parole che ricordavano una resistenza fatta di azioni concrete e non di luridi tricolori al balcone.

Comunque, in tutto ciò, alcuni amici si incontrano li in piazza prima dell’arrivo dell’Anpi, la Digos zumma sui volti di tutti, due persone vengono prese da parte per notifiche, gli altri restano li con la polizia che si aggira attorno.

Piano piano arriva la commemorazione ufficiale, su cui non vale la pena di spendere parole.
Consegnati i verbali ai due fermati, gli amici si allontanano, ognuno per i fatti propri, due vengono fermati di nuovo, poco più in la, dalla polizia.

E’ il 25 aprile.

Un uomo ha visto la digos fare un verbale a due persone, dopo, mentre i due se ne vanno l’uomo si avvicina e chiede “perché?”

Questa è stata proprio una cosa bella, gentile e sincera.
perché è il 25 aprile, a Bolzano non è successo un cazzo, ma la digos ci aspetta e un uomo si è chiesto perché.

MONZA

Monza – Il 25 aprile nelle strade

Il valore simbolico del 25 aprile ci ha suggerito di strappare un pezzettino di libertà in questa coda di quarantena, per tributare un omaggio alle partigiane e ai partigiani monzesi caduti nella lotta al Nazifascismo. A piccoli gruppi ci siamo quindi recati/e in alcuni dei molti luoghi che ricordano le vicende dell’antifascismo locale, offrendo una testimonianza viva del nostro impegno quotidiano nel tenere viva la memoria della Resistenza e del ten tativo di attualizzarne il valore umano e politico.

Abbiamo poi scoperto che, come noi, in moltissime altre città, spontaneamente, senza convocazioni pubbliche, si sono consumati i medesimi semplici gesti.

Un fiore, uno striscione, un canto: un pò ovunque si sono registrate piccole cronache di consapevole insubordinazione al diktat della clausura domestica, rivendicando la propria capacità ad autodeterminarsi e ad agire in sicurezza. Questioni che hanno stretta correlazione con un concetto vero di “libertà”.

A “sporcare” la giornata, l’ormai consueto bollettino di episodi di intimidazione e violenza poliziesca, che hanno colpito alcuni compagni/e a Milano, in quartieri diversi, impegnati/e appunto nel giro delle lapidi. Multe, botte, identificazioni, manette diventano “semplici controlli per i decreti sul Coronavirus”. Nell’esprimere solidarietà e complicità con tutti/e coloro che si sono mobilitati/e nella giornata di ieri, ribadiamo che sarà proprio sul tema delle libertà individuali e collettive che occorrerà impegnarsi in questi tempi di “emergenza” e “stato di eccezione”.

Monza antifascista

CAGLIARI

25 Aprile

Io esco e protesto?

In mattinata una trentina di persone si sono riunite in piazza Garibaldi, in centro città, con uno striscione che recitava “25 Aprile io esco e protesto”. Sotto gli occhi di una decina di agenti della Digos e di qualche passante incuriosito si è ribadita l’importanza di mettere in discussione i decreti governativi, la necessità di non chiudersi impauriti in casa ma piuttosto di uscire e sperimentare assieme come gestire distanze e precauzioni, oltre che ribadire quali sono i veri responsabili del disastro sanitario. Ci si è anche soffermati sulla vergognosa scelta di proseguire le esercitazioni militari in questo periodo di epidemia, ricordando quanto lo Stato spende in materia di armamenti e equipaggiamento militare, al fronte del menefreghismo per quanto riguarda le strutture sanitarie.

Alcuni dei presenti sono stati identificati dagli agenti di via Amat, e probabilmente arriveranno le famose multe.

Provare ad uscire di casa, provare a prendere posizione, provare a superare la diffusione della virtualizzazione delle opinioni, è fondamentale.

Il mondo attorno a noi sta cambiando e, come dice qualcuno, “niente sarà più come prima”.
La tecnologia sta travolgendo continuamente ogni piccolo aspetto della vita sociale, segnando sempre più il solco tra chi è incluso e chi è escluso. Non aderire ad alcune forme di tecnologizzazione sta diventando sempre più complicato. Lo smartphone si sta confermando come conditio sine qua non per far parte dell’organizzazione sociale: se non lo hai sei strano, hai qualcosa da nascondere. Non c’è da sorprendersi se la gran parte della popolazione aderirà alla nuova applicazione sul tracciamento dei contagi.

Intanto anche gran parte delle organizzazioni “antagoniste” hanno affidato la propaganda e l’organizzazione delle lotte al mondo virtuale. Assemblee online e campagne social sono sempre più frequenti. Sarà solo un palliativo momentaneo o nuove forme di comunicazione che si cementificano?

Le strade intanto iniziano a ripopolarsi ma il controllo poliziesco è ben attento, pronto ad intervenire ogni qual volta ci sarà qualcuno che dirà la sua ad alta voce.

Certo, è sempre stato così, non c’è da sorprendersi, ma non si può neanche non ammettere che l’accostamento tra norma sanitaria e giuridica abbia conferito alle forze armate un’ulteriore dose di potere e spavalderia.

C’è poi il problema sanitario, che non scomparirà con i decreti e le restrizioni. Senza dubbio il pericolo di ammalarsi continuerà ad esistere e con questo anche le abitudini e le paure cambieranno. Non sarà facile liberarsi di mascherine e distanze, né dalla paranoia del contagio, e allo stesso tempo ci sembra doveroso rispettare chi, per paura di ammalarsi, ci tiene a tenersi più distante.

Qualsiasi iniziativa in piazza dovrà tenere conto di questo fattore.

Questi tre aspetti, tecnologizzazione delle vite e delle lotte, controllo poliziesco che si fa più pressante e convivenza con il pericolo sanitario ci pongono nella condizione sempre più urgente di una discussione su ciò che accade attorno noi, su ciò che possiamo fare per intervenire e su come autogestire il pericolo sanitario, affinché anche le persone a cui ci rivolgiamo possano sentirsi coinvolte e tutelate.

25 aprile: segnali di ammutinamento. Aggiornato

Bretagne – Lamas fâchés, pandores immobilisés

Coronavirus : de plus en plus de Bretons crachent sur la police lors des contrôles
France Bleu, 20 avril 2020

Depuis le début de la crise sanitaire en France, les policiers constatent l’arrivée d’une nouvelle « mode » qui consiste à cracher sur les forces de l’ordre lors des contrôles. Une façon de procéder qui n’épargne pas les policiers bretons.

Depuis le 15 mars, de Rennes à Saint-Brieuc en passant par Vannes ou encore Quimper, les policiers de la région Bretagne constatent une augmentation des crachats lors des contrôles ou des interpellations.

Dans la soirée du jeudi 16 au vendredi 17 avril, une brigade de la police de Saint-Malo est appelée pour tapage nocturne. Sur place, l’homme violent refuse obtempérer. Le contrôle se durcit et les agents décident de conduire le Breton en garde à vue. C’est alors que le malouin crache au visage d’un des policiers, tout en menaçant de lui transmettre le Covid-19. « C’est un moyen d’intenter à l’intégrité des agents en essayant de leur transmettre le virus ou alors de leurs faire peur », raconte un gradé de la brigade malouine.

Rennes, Vannes, Quimper, Saint-Brieuc ou encore Lorient comptent déjà plusieurs cas similaires. Une situation qui commence à inquiéter les syndicats de police. « Lorsque certaines personnes vous crachent dessus en disant qu’elles ont le virus, impossible de savoir si c’est la vérité sur le moment. Mais si c’est vrai ça veut dire qu’on rentre le soir dans notre famille avec la possibilité d’avoir attrapé la maladie. Cela oblige l’agent à se confiner dans le confinement, » regrette Frédéric Gallet, secrétaire départemental Alliance Police Nationale en Ille-et-Vilaine.

Pour limiter les risques de transmission du Covid-19, il existe une procédure. Elle est similaire à celle pour limiter les risques de transmission du VIH, lors des interpellations violentes (avec échanges de coups), bien que le VIH ne soit pas transmissible par simple échange de salive. Les policiers qui se font cracher dessus, doivent systématiquement conduire la personne interpellée effectuer un test. A Saint-Brieuc par exemple, depuis le début du confinement, trois personnes ont été testées après avoir agressé des forces de l’ordre.

Le dernier cas suspect date du jeudi 16 avril, lors d’un contrôle dans un centre commercial. « L’homme a volontairement postillonné sur l’équipage « , raconte un membre du commissariat. Dans ce genre de situation, la règle est simple. Avant de rentrer chez eux, les policiers conduisent la personne interpellée pour qu’elle effectue un test. La voiture utilisée pour l’interpellation est à l’arrêt pour 24h, et les policiers doivent rester chez eux le temps des résultats. « C’est une vrai source de stress pour les forces de l’ordre », raconte un policier briochin. Heureusement, dans ce cas précis, le test s’est révélé négatif après deux jours d’attente. L’homme est convoqué le 14 octobre au tribunal.

A Rennes, la procédure est différente. En cas de doute lors d’un contrôle, les policiers effectuent une petite enquête d’environnement, avant d’emmener l’interpellé chez un médecin. « Si celui-ci présente des symptômes de Covid-19, les fonctionnaires ne sont pas mis à l’écart, mais ils ont pour consignent de contrôler leur température. Et si au bout de quelques jours ils présentent des symptômes, ils doivent téléphoner a un médecin », précise François Angelini, le chef des policiers d’Ille-et-Vilaine. Cracher sur un police reste une circonstance aggravante lors d’une comparution devant le tribunal.

https://demesure.noblogs.org/archives/1632

Belgique – Le pouvoir verrouille l’accès à la carte des antennes

L’IBPT restreint l’accès à sa carte des antennes GSM pour éviter le vandalisme
Belga, 21 avril 2020

Le régulateur fédéral des télécommunications (IBPT) a décidé de flouter la carte des antennes GSM dans le pays, après qu’un mât de téléphonie mobile a été vandalisé en Flandre le week-end dernier. « Les dommages portés aux équipements mobiles sont particulièrement irresponsables durant cette période de confinement que nous connaissons« , souligne l’institut mardi dans un communiqué.

Jusqu’à récemment, le site internet de l’IBPT mettait à la disposition du public une carte indiquant l’emplacement des 7779 sites équipés d’antennes GSM à travers le pays. Les communes, les opérateurs et autres professionnels y ont en effet recours régulièrement. Cette carte est désormais protégée par un mot de passe pour tenter de freiner les mauvaises intentions.

https://demesure.noblogs.org/archives/1674

Une idée formidable

Un fait divers local. On ne sait pas quand, on ne sait pas qui, on ne sait pas pourquoi, mais on sait où. Et cela suffit pour ouvrir le cœur, même si ce qui s’est passé ne semble pas avoir eu beaucoup de succès. Mais, on le sait bien, pour certaines choses, c’est l’idée qui compte.

Une idée comme celle que quelqu’un a laissée sur le mur d’enceinte d’une entreprise à la périphérie de Lecce le week-end dernier. Ce n’était pas une affiche, ce n’était pas un tag, non, c’était une marmite remplie d’essence à laquelle étaient attachées plusieurs cartouches de gaz, le tout assorti d’un retardateur rudimentaire peut-être défectueux. Il y a eu une grande flamme, mais pas d’explosion. Les organes locaux d’information nous en donnent la nouvelle, mais ils ne peuvent préciser quand cela s’est produit. Bah, entre vendredi 24 avril au soir et lundi 27 avril au matin ? Ils ne disent pas non plus qui peut l’avoir accompli, et pour quelle raison. Bah, un acte d’intimidation ou de rétorsion de la part de quelque truand ou d’un déséquilibré ? Par contre, ils ont été très précis sur l’endroit : via del Platano 7, dans le quartier de Castromediano, au siège de l’entreprise Parsec 3.26.

Mais de quoi s’occupe la Parsec 3.26 ? Il s’agit d’une entreprise informatique spécialisée dans les technologies numériques pour l’administration publique. Par exemple, elle a créé le logiciel utilisé par la police et par les banques pour la reconnaissance faciale des visages filmés par les caméras de vidéosurveillance. Ah, rien que ça ? Aurait-elle donc été prise pour cible uniquement parce que sa passion est l’ « E-government », comme on l’apprend en parcourant son site à l’insupportable langage techno-anglo-crétinisant ? Ou, toujours en lisant son site, uniquement parce qu’ « elle a lancé un département nommé Reco 3.26, actif dans la production de software dans le domaine de la Smart Recognition… Dans la recherche de systèmes biométriques en faisant appel à une team inter-disciplinaire composée d’ingénieurs et de chercheurs… Les principaux secteurs qui vont être impactés par cette technologie sont actuellement les transports, la finance, la sécurité (publique et privée). La croissance est surtout poussée par les initiatives des gouvernements en matière de sécurité. Les entreprises appartenant à des secteurs comme celui du retail et des banques sont en train d’adopter des systèmes à reconnaissance faciale pour l’identification des clients et la surveillance de leur comportement. Les solutions proposées par Parsec 3.26 représentent aujourd’hui un état de l’art des technologies de reconnaissance en Italie pour la sécurité publique. En effet, la société s’est distinguée pour avoir réalisé une solution de reconnaissance biométrique aujourd’hui utilisée par le Ministère de l’Intérieur – Direction Centrale Anti-Criminelle – dans le cadre du système SARI » ?

Serait-il donc possible que quelqu’un soit hostile à cette entreprise « distinguée » simplement parce qu’elle aide l’État à remplir les prisons et les banques à protéger leur coffres-forts ? Mais qui l’aurait cru !

En ces temps de confinement, de checks-points, d’attestations de sortie, de traçage, de surveillance avec des drones et autres joyeusetés… – de quoi faire honte aux petits joueurs des régimes totalitaires du passé –, le fait que quelqu’un ait pu avoir une telle idée juste avant, pendant ou un peu après l’anniversaire de la Libération du nazifascisme, nous laisse sous le charme. Cela n’aura été qu’une simple flambée, mais quelle lumière splendide au milieu des ténèbres de la servitude volontaire d’aujourd’hui.

Une lumière de vengeance, une lumière de dignité, une lumière de liberté.

[traduit de l’italien de finimondo, 28/4/20]

https://demesure.noblogs.org/archives/1995

La promesse du Feu

La petite ville de 9000 habitants de Vauclin, située dans les Antilles sur la côte atlantique de la Martinique, présente depuis un mois quelques particularités qu’il serait bien dommage d’ignorer. Par exemple, quand on tire son propre nom de celui d’un colon – le comte de Vauquelin qui a débarqué à partir de 1720 pour faire fortune sur des plantations de canne à sucre et de tabac exploitées avec le sang et la sueur des esclaves–, de garder en mémoire ce que Progrès veut dire.

Avec la pandémie de covid-19, les colonies françaises subissent un traitement spécial, puisqu’elles sont quasi toutes placées sous couvre-feu permanent, et que les troupes militaires de l’opération Résilience ont vite été dépêchées sur place, pour empêcher là comme ailleurs d’éventuels pillages et protéger les infrastructures critiques. La Martinique n’y a pas échappé, avec l’obligation de rester chez soi entre 20h et 5h depuis le 1er avril, et l’arrivée le 19 avril du porte-hélicoptères amphibie Dixmude en provenance de Toulon, notamment chargé d’un hélicoptère de la gendarmerie et de deux autres Puma de l’armée de Terre. De la même façon que les flics et les pandores sont d’importants vecteurs de contamination du covid-19 parmi la population, notamment celle des réfractaires au confinement, les militaires ne sont pas en reste, comme le montrent les plus de mille marins à bord du porte-avion Charles de Gaulle testés positifs. Les assassins en uniforme du Dixmude qui avaient goûté aux charmes du Yémen lors de l’opération anti-piraterie dans l’Océan indien ou à ceux maliens lors de l’intervention française Serval, ne pourront donc certainement qu’admirer de loin le sommet du Mont Vauclin, culminant à un peu plus de 500 mètres.

Tant pis pour eux, car un peu plus en aval, à Morne Carrière, ils auraient pu apercevoir quatre pylônes de 55 mètres de hauteur d’une blancheur étincelante, qui font la fierté des autorités locales depuis 2004, puisqu’il s’agissait du premier « parc éolien » implanté en Martinique (depuis 2019, un second se trouve à Grand-Rivière). Des monstres d’acier propriété du groupe pétrochimique Total (Quadran), concentrant terres rares et métaux arrachés des profondeurs terrestres avec le sang des esclaves modernes, mais qui peuvent également offrir un spectacle remarquable lorsqu’ils s’en donnent la peine, comme cela s’est produit lundi 20 avril.

Après s’être tranquillement consumée en douceur et sans bruit en plein confinement, la turbine d’une de ces quatre éoliennes qui était couchée au sol depuis plusieurs semaines (ou pas selon les sources) a ainsi fini par exploser après manger. Eh ben, n’aurait-elle pas supporté la vue des militaires en rade au point de renoncer à leur fournir de l’énergie ? Ça se comprendrait. S’agirait-il plutôt d’un de ces petits miracles d’auto-combustion aussi spontanée qu’inexplicable qui viendrait se rajouter à la liste de suicides assistés d’aérogénérateurs industriels comme il s’en produit régulièrement en métropole ? Peut-être. S’agirait-il même d’un phénomène de lucidité inédite entre nuisances technologiques, puisque qu’un incendie s’était déjà déclenché le 19 mars dernier dans cette petite commune du Vauclin, cette fois contre un local technique d’Orange, privant 2000 personnes et entreprises d’internet et de téléphone ? Et pourquoi pas.

Alors que les journaflics du coin s’intéressent aux lois de la gravité bien que la saison des cyclones n’ait pas encore débuté (« Chute d’une éolienne et incendie») ou s’alarment surtout des herbes folles (« Une éolienne en feu provoque un feu de broussailles»), il faudrait être un peu rêveur pour noter que les flammes ayant par deux fois touché des piliers de ce monde à un mois d’intervalle, ont dansé près de ces mêmes pentes où s’étaient réfugiés les derniers indiens Caraïbes qui avaient échappé à l’extermination des colons français bénis par les prêtres.

Qu’on se rassure, nul mysticisme ici, juste un petit fil ténu. Selon la légende, leurs derniers combattants de l’autre côté de l’île se seraient suicidés plutôt que de se rendre, en se jetant d’une falaise portant aujourd’hui le nom de Tombeau des Caraïbes. L’un d’eux aurait alors lancé cette malédiction : « La montagne de Feu me vengera ». Les plus superstitieux y verront certainement une prémonition à l’éruption du volcan de la montagne Pelée qui ravagea l’alors capitale de la Martinique deux cents cinquante ans plus tard. Pour notre part, qui sommes plus terre-à-terre, nous y voyons surtout une promesse qui reste toujours d’actualité : le feu comme la plus belle des vengeances face à l’invasion technologique qui amène domestication, dépossession et ravages dans son sillage. Et ce n’est pas cette éolienne noircie par les flammes au Vauclin qui nous démentira.

https://demesure.noblogs.org/archives/1600

Esquisses pour une critique du confinement

Introduction of demesures.noblogs.org

[Malgré quelques désaccords (par exemple sur l’emploi du terme politique, l’absence des révoltes/insoumissions ou son enthousiasme un peu trop collectif à notre goût), Esquisses pour une critique du confinement a trouvé sa place ici.
…Parce qu’il affronte directement la question du confinement avec ses contradictions et absurdités ou comme instrument de pouvoir, sans se cacher derrière son petit doigt ni derrière les idéologies de juste milieu à la mode (genre « ni pour ni contre le confinement », « pour un confinement différent de celui de l’Etat », voire « restons chez nous en attendant le feu vert pour faire ceci ou cela, mais bon quand même, si les crève-la-faim du 93 ou du Liban l’envoient chier, on kiffe pour eux).
…Parce que « Finalement remettre en question le confinement est peut-être la manière la plus sérieuse de considérer la gravité de l’épidémie et de réfléchir aux moyens d’y parer.  »
…Parce qu’ « Au vu de la situation environnementale et des formes de vie capitalistes, des coronavirus risquent fort de venir nous visiter tous les ans. Il nous faudra bien vivre avec eux et ne pas nous barricader chez nous à la moindre alerte. Le risque de la peur de la contagion, c’est la peur de la vie même. »
…Parce qu’ « Il s’agit de ne pas attendre ni la fin du confinement ni la fin du risque épidémique ordonnées par l’État. Il s’agit au contraire de trouver dès maintenant les manières d’y résister, collectivement, et individuellement. »]


Le fil sur lequel se tient l’entièreté de ce texte, c’est le confinement, comme réalité vécue et comme outil de pouvoir.
L’enjeu, l’ambition, n’est absolument pas de produire une réflexion sur la situation dans son ensemble – ce dont nous aurions été bien incapables, et encore moins dans un format comme celui-ci.
« Variations sur le confinement » aurait pu constituer un autre titre.

Esquisses pour une critique du confinement

Confinement : n.m. Fait d’être retiré, enfermé dans des limites étroites. Maintien d’un être vivant dans un milieu de volume restreint et clos.
Syn. « réclusion ».

Un tableau ubuesque

Le confinement généralisé a été décrété du jour au lendemain. Mot inconnu, pratique étrange quelques jours auparavant, le confinement s’est imposé comme une évidence, sans aucune remise en cause corporelle ni théorique. Depuis, l’obéissance est générale.

La rhétorique de la guerre. C’est la forme que choisit le pouvoir pour faire appel à l’effort national. Il fait du personnel soignant ses nouveaux soldats, applaudis chaque soir par celles et ceux qui ne sont pas au front. L’État semble découvrir les conditions lamentables dans lesquelles sont tenues de travailler ces infirmières tout à coup glorifiées. Il supplie l’hôpital de tenir la main de la police pour sauver la Nation. La Nation, cette vieille idée que l’on espérait morte et enterrée. Le tour de force est remarquable ; dans la grande pièce nationale, chacun tient son rôle.

L’État met en scène les discours médicaux pour légitimer son gouvernement. Jusqu’à nouvel ordre, nous n’obéirions donc plus aux hommes politiques mais aux ordonnances médicales agencées par le pouvoir. Face à l’alarme sanitaire et à la dépossession du savoir scientifique, nous n’avons d’autre choix que de nous en remettre aux prescriptions du gouvernement. La peur au ventre, on manifeste à sa fenêtre, pour demander que le personnel soignant soit aussi bien armé que les policiers ; on s’indigne face aux politiques libérales de dislocation de l’hôpital public ; on en appelle à un État plus fort, un État qui enfin prendrait ses responsabilités ; on voudrait remplacer les mauvais politiciens par de bons médecins… Ce sont les seules revendications qui arrivent à émerger dans cette situation de pacification tendue. Démunis, c’est comme si l’arrivée du coronavirus nous avait ôté tout raisonnement critique face à la domination absolue de l’État. L’ordre du confinement est bien gardé.

Pourtant, le confinement à la sauce de l’État ne répond pas à l’exigence médicale préconisée. D’autres l’ont bien montré, les injonctions qui structurent le confinement n’ont aucun sens pratique. Absurdité et incohérence, voilà les sentiments qui nous prennent lorsque l’on sait que l’on doit aller travailler à la centrale Amazon mais qu’il est défendu de se promener sur la plage, ou lorsque l’on voit les grandes surfaces fonctionner à plein régime et les marchés à ciel ouvert interdits de se tenir. La liste des contradictions est longue…

Finalement, cette déraison prend tout son sens si l’on comprend que le seul impératif qui motive ces règles de conduite est le maintien d’un contrat social libéral, qui doit jongler entre logiques sanitaires et intérêts économiques. Il s’agit à la fois de laisser le temps et la possibilité au capitalisme de s’adapter et de laisser une relative liberté au citoyen de consommer comme bon lui semble ; et à la fois de préserver l’apparence d’un « État providence » qui ne laisse pas ses sujets mourir dans la rue, comme ailleurs on a pu le voir.

La mondialisation du confinement et son exécution identique sur la moitié de la population de la Terre renforce encore l’absurdité de cet outil. Le confinement est un produit destiné aux sociétés complètement rationalisées par l’économie et déjà préparées à la séparation des individus. L’application du confinement dans des villes ou des territoires où l’économie n’a pas normalisé tous les espaces et toutes les interactions est impossible sans recours à l’ultra-violence. Ainsi au 20 avril, au Nigeria, le Covid-19 a tué 12 personnes à l’hôpital, la police en a tué 18 dans la rue pour non respect du confinement. Toutes proportions gardées, la violence du confinement est néanmoins partout et la police se défoule dans les quartiers des grandes villes de France.

À la violence et à la peur de la répression s’accompagne le désarroi dans lequel chacun est plongé tant à l’échelle individuelle que collective. L’espace est complètement réduit, complètement vide. Le confinement nous ouvre le temps, le néant qu’il produit nous en prive. Nos journées sont creuses et nous n’avons prise sur rien. Le temps s’étale et nous échappe à la fois. Apathie, ennui, égo-centrisme décuplé, peur d’être empoisonné par autrui, perte de repères, approfondissement des solitudes… c’est tout un environnement affectif et sensible qui est dissous par l’injonction à rester chez soi.

* * * *
S’approprier le danger

Il ne s’agit ni d’oublier les innombrables morts du Covid, ni de nier les conditions infernales dans lesquelles les malades sont soignés, ni d’affirmer bien sûr qu’il ne faut rien faire face à la maladie et à sa propagation. Seulement, le confinement ressemble à s’y méprendre à la prescription d’une forte dose d’antibiotiques à spectre large. L’antibiotique en effet tue la bactérie nocive mais dévaste tout par ailleurs. Il peut s’avérer nécessaire dans certains cas, mais tout le monde sait qu’il n’est plus automatique, et que la réparation suite à de tels traitements peut parfois être longue et pénible. La question est alors la suivante : comment répondre à la maladie sans tuer le vivant ?

Si le danger biologique est bien réel, l’enjeu est de ne pas se retrouver terrassé par la peur du virus et de sa diffusion. Mais pour cela, encore faudrait-il que l’on soit en mesure de comprendre la maladie, de cerner les conditions de sa transmission et ses capacités meurtrières. S’approprier les informations transmises par voie médiatique et produites par la frange des institutions médicales et scientifiques inféodées au pouvoir semble le seul moyen – certes insatisfaisant – de construire nos propres pratiques pour faire face au risque épidémique. Car le Covid-19 n’est pas la peste, et il semble possible de trouver des manières de vivre – et non de survivre – avec l’épidémie.

À nous donc de produire nos propres règles sanitaires pour nous protéger et protéger les autres, à commencer par les personnes vulnérables : trouver nos propres « gestes barrière » et les respecter avec sérieux ; nous voir, discuter, réfléchir ensemble ; déterminer les activités à réduire, à arrêter, à poursuivre… le début d’une liste de préoccupations à appréhender et d’applications à concrétiser. Tout ceci, à l’échelle de collectifs ou de groupes singuliers, en fonction de leurs formes, leurs contraintes et des enjeux qui les animent.

Finalement remettre en question le confinement est peut-être la manière la plus sérieuse de considérer la gravité de l’épidémie et de réfléchir aux moyens d’y parer. C’est en se confrontant au virus qu’on développe une intelligence de la situation ; c’est comme si respecter sans le questionner le confinement rendait idiot face au danger.

Il est primordial de s’approprier les manières de faire face à une épidémie. Au vu de la situation environnementale et des formes de vie capitalistes, des coronavirus risquent fort de venir nous visiter tous les ans. Il nous faudra bien vivre avec eux et ne pas nous barricader chez nous à la moindre alerte. Le risque de la peur de la contagion, c’est la peur de la vie même. Soyons inconfinables !

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Un instrument de pouvoir

Assignation à résidence généralisée, le confinement répond davantage à des logiques de pouvoir qu’à des logiques philanthropiques de santé publique. Il devient l’outil privilégié du rêve politique de l’État en situation d’épidémie de coronavirus. Ce rêve, il faudrait pouvoir le décrire précisément. Mais ses contours sont encore flous, et à tout moment ses bordures peuvent se redessiner. Il est néanmoins possible d’affirmer que contrôle et discipline en sont les deux personnages principaux.

La période actuelle ne signe pas une rupture stricte avec un quelconque monde d’avant fantasmé, elle accélère plutôt des processus déjà enclenchés. Le confinement, en tant qu’outil de pouvoir, creuse la séparation entre les individus, renforce le primat de la santé et du médical, confirme la dépolitisation des espaces publics et la primauté des espaces privés, donne une belle occasion pour le législateur de réduire les libertés publiques, poursuit l’intrication des moyens cybernétiques et policiers, permet à l’économie de se reconfigurer une nouvelle fois.

Les pratiques habituelles de maintien de l’ordre ne suffisent pas à expliquer le succès du confinement. C’est bien davantage parce que la règle est intégrée et l’auto-contrôle général que nous restons chez nous. Le phénomène d’épidémie mortelle ne peut générer que de l’obéissance. La peur généralisée de perdre sa vie fait de la seule solution proposée la seule solution envisageable.

Si l’épidémie est une crise, les moyens imposés pour y faire face semblent calibrés pour s’inscrire dans le temps. Autant que les virus reviendront, le confinement sera remis en place à la moindre occasion. Il n’y aucune raison que l’État ne réutilise pas l’outil tant il lui a permis de régir facilement de manière inconditionnelle nos vies. Et ça, le pouvoir même devait en douter avant cette année. Mais peut-être n’aurons-nous pas besoin d’attendre un nouveau virus pour que la logique du confinement, quelque forme qu’elle prenne, s’intègre au plus profond de notre quotidien.

Rappelons-nous le surgissement des Gilets Jaunes, ce « profond et brusque mouvement de déconfinement de la société française, un moment historique où des mondes intérieurs qui n’étaient plus sortis, ne s’étaient plus croisés depuis des années, ont soudain décidé de se rejoindre dans un nouvel espace commun, en dehors des cadres et normes qui régulaient normalement leurs interactions sociales confinées ». La tendance était alors à percer l’ordre établi de la séparation et de l’enfermement. Une année a passé, et c’est comme si nous prenions désormais le chemin inverse, celui du retour à la maison.

Rester chez soi. Y goûter le confort adéquat. Y trouver de quoi rendre la situation vivable… Rester chez soi, c’est toujours réaliser – même à son insu – le paradigme absolu de l’économie, l’administration de la maison. Oikos, la maison ; et nomos, la gestion, voilà comment l’économie considère sa raison d’être. Confortablement confinés, nous invitons plus que jamais l’économie, sa rationalisation, ses contrôles, dans nos intérieurs. Le télétravail comme norme à venir c’est le stéréotype de la vie à domicile. Et l’économie libérale, avec ses flux de marchandises et de capitaux, se satisfera tout à fait de sujets consommateurs et gestionnaires de leurs domiciles. Au plus, l’économie trouvera là l’occasion d’une petite reconfiguration : moins de restaurants, plus de livreurs.

Finalement, avec le confinement, le fossé se creuse entre deux dimensions, pourtant inséparables, de ce qui constitue la vie. D’un côté, notre vie biologique, nue ; de l’autre, notre vie collective, mise en partage. Mais là, il apparaît clairement que le pouvoir fait le choix de circonscrire nos existences à ce qu’elles ont de biologique, pour préparer nos corps à un configuration toujours plus pacifiée et quadrillée de la société. C’est notre survie qui est en jeu, et c’est pour notre bonne santé que le confinement annule le collectif. Peu importe ce que l’on peut en penser, peu importe que cela relègue au second plan nos existences politiques. Ce processus, encore une fois, n’est pas nouveau. Le confinement ne fait que l’accélérer, c’est l’intérêt ultime du pouvoir – ses contrôles ses disciplines – que de le maintenir.

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Prendre du souffle

Nous pensions tous que le confinement aurait un début et une fin. Nous savons maintenant que c’était un leurre. Le confinement perdurera, sous d’autres formes. Le déconfinement tel qu’il semble prévu par l’État ne sera pas la fin du confinement mais sa continuité. « Rien ne sera plus comme avant, et avant longtemps », de la bouche même d’un de ses hauts-lieutenant. Nous ne sommes donc qu’au début d’une longue période de mutation de la gouvernementalité, dont la larve est connue, mais dont nous ne pouvons pour le moment que pressentir les formes et l’étendue de ce qu’elle deviendra.

Alors, comment prendre la mesure de ce qui va changer de manière durable ? Comment comprendre que cette situation impactera sur toute activité politique et de quelles manières ?

Envisager des réponses nécessitera de trouver comment sortir de chez soi, et vite. Il s’agit de ne pas attendre ni la fin du confinement ni la fin du risque épidémique ordonnées par l’État. Il s’agit au contraire de trouver dès maintenant les manières d’y résister, collectivement, et individuellement. Individuellement d’abord pour conjurer la possibilité de s’habituer aux logiques du confinement, voire d’y prendre goût ; collectivement ensuite pour contrecarrer les dispositifs de séparation et d’isolement en ayant des perspectives politiques dans un monde qui les cantonne toujours plus.

Aucune fin à attendre ; des tas de solitudes à conjurer par l’enthousiasme du collectif ; autant d’espaces pacifiés et confinés à enflammer… et mille autres choses à réactiver ou à inventer pour arrêter cette mécanique qui fait que nous sommes sans arrêt apathiques et terrassés.

[Quatre pages reçu par mail le 28 avril 2020]

Plaintel (Côtes-d’Armor) – Nouvel incendie d’antenne-relais

Dans la nuit du dimanche 26 au lundi 27 avril 2020, une antenne-relais de l’opérateur ‘Orange’ a été incendiée à Plaintel, dans les Côtes-d’Armor. Entre 1000 et 2000 lignes de téléphone portable ont été coupées dans les environs. 

A un peu plus d’une dizaine de kilomètres au sud de Saint-Brieuc, le pylône téléphonique de l’opérateur Orange érigé aux abords d’une départementale a été en partie détruit par un incendie volontaire aux alentours de 23h15 dimanche : le grillage protégeant le pylône de 29 mètres de haut a été sectionné et le feu aurait été mis à l’aide d’un amas de palettes et « avec un accélérant », selon le procureur Bertrand Leclerc.

La destruction de l’antenne-relais perturbe fortement le réseau mobile pour 1 000 à 2 000 habitant-e-s à Plaintel et à Quintin.
L’enquête a été confiée à la gendarmerie de Rennes.

Durant le confinement, au moins 4 autres antennes-relais ont été incendiées en avril dans d’autres régions: deux pylônes le 10 à Salins-les-Bains et une autre le 15 à Foncine-le-Haut dans le Jura.
Un pylône émetteur de l’opérateur Bouygues a également été saboté à Mandres-en-Barrois (Meuse) le 3 avril. On apprend l’existence de cette attaque dans un long article de propagande policière au sujet de « l’ultra–gauche » (édition du 16/04/20 de l’hebomadaire réactionnaire ‘Valeurs Actuelles’).

Plaintel (Côtes-d’Armor) : Nouvel incendie d’antenne-relais – 26 avril 2020

Liban – Vers une contagion de la révolte?

Ce mardi 29 avril, les émeutes se sont poursuivies pour la deuxième journée consécutive à Tripoli. A l’aube, l’annonce de la mort d’un manifestant, Fawaz Fouad Samman, tué par balles la veille lors d’affrontement avec l’armée, a attisé les feux de la révolte dans plusieurs villes, notamment au sud du pays, comme à Beyrouth et à Saïda. 

A Tripoli, deuxième ville du pays, plusieurs milliers de personnes se sont retrouvées place al-Nour, sous le slogan « Ça va être dévastateur », allusion faite à la nature de la manifestation: des centaines de jeunes ont barricadé les axes routiers, saccagé et incendié une demi-douzaine de banques (notamment celle de la Banque Libano-Française), arraché les pavés des trottoirs pour les lancer sur les militaires et incendié deux véhicules militaires. Ils ont été dispersés à coups de gaz lacrymogène et de balles en caoutchouc. Les militaires se sont également lancés à la poursuite d’individus ayant vandalisé plusieurs véhicules de l’armée. Les désordres se sont produits juste après les funérailles du jeune père de famille, organisées en début d’après-midi au milieu d’une foule dense venue lui rendre un dernier hommage en dépit de la menace du coronavirus.

Avant que la tension ne monte sur la place al-Nour, des manifestant-e-s avaient jeté des pierres sur la résidence de l’ancien Premier ministre Nagib Mikati à Mina. L’armée et les forces de sécurité, fortement déployées, ont alors gazé en abondance pour disperser les manifestants. Des protestataires ont brisé les façades d’agences bancaires se trouvant à proximité.

« Je veux élever la voix contre la faim, la pauvreté, l’inflation et l’injustice », a lancé un manifestant de 41 ans, Khaled. Ce vendeur de pièces de rechange pour motos dit ne plus pouvoir subvenir aux besoins de ses trois enfants depuis la perte de son emploi, dans un contexte dégradé avec la pandémie.

A l’autre bout du pays, à Saïda (sud), un rassemblement s’est tenu devant le siège de la Banque du Liban (BDL), où un peu plus tard des manifestant-e-s ont lancé des pétards, puis une dizaine de cocktails Molotov en direction du bâtiment, ce qui a provoqué de petits incendies et poussé l’armée à intervenir. Avant cela, le jet de pétards avait provoqué des échauffourées avec les forces de l’ordre faisant des blessés.
Les émeutier-e-s ont détruit les façades de plusieurs agences bancaires dans la ville du sud, notamment celles de Bank Audi et Bankmed. Un soldat de l’armée libanaise a également été blessé par des jets de pierres dans le marché de Saïda.
En début de soirée, des dizaines de jeunes avaient allumé des bougies à même le sol à la mémoire du manifestant décédé à Tripoli. Ils ont scandé des slogans contre la BDL et son gouverneur Riad Salamé, ainsi que contre l’armée. « Pourquoi Fawaz est mort, ce sont les balles de l’armée qui l’ont tué », ont-il crié.

A Beyrouth, des manifestant-e-s se sont également rassemblé-e-s devant le siège de la Banque du Liban avant de marcher dans les rues de Hamra en scandant des slogans contre son directeur. Ils se sont ensuite rendus à Corniche Mazraa, Béchara Khoury, la place des Martyrs, la place Riad el-Solh avant de retourner devant le siège de la BDL contre lequel ils ont lancé des pierres. Les forces de l’ordre se sont déployées sur les lieux.

Enfin, plusieurs routes ont de nouveau été coupées à travers le pays : celles de Kfarzabad et Rachaya, Masnaa dans la Békaa, la route de Khaldé en direction de Naamé dans le Sud, et la route Halba-Kobeyate dans le Nord.

Depuis le début du confinement, la misère frappe de plein fouet la population libanaise. Le pays connaît une hausse de l’inflation sans précédent en quelques semaines (+150%). Le ministre de l’Economie, Raoul Nehmé, a fait état d’une hausse de 55% des prix sans préciser la période correspondante.

[A partir des agences de presse libanaise et française, 28 et 29.04.20]

https://sansattendre.noblogs.org/archives/12940

Liban – La révolte est plus forte que leur confinement

Au Liban, le confinement instauré le 14 mars ravive les flammes de la révolte qui couvait depuis des mois. Dans la soirée de lundi 27 avril à Tripoli, au nord du pays, des milliers de personnes ont bravé le confinement et le couvre-feu en descendant dans les rues pour incendier de nombreuses banques et s’affronter aux milices armées de l’Etat. Au moins un véhicule militaire a été brûlé par un jet de cocktails Molotov. La répression opérée par l’armée est féroce: 40 personnes ont dû être hospitalisées, et un jeune homme de 26 ans est décédé après avoir été blessé par balle lors d’affrontements avec les militaires.

Malgré le confinement décrété dans le pays face à la pandémie de coronavirus, des hommes, des femmes et des enfants ont défilé dans les rues, aux cris de « Révolution ! Révolution ! ».
Les manifestants ont été repoussés par l’armée au moment où ils voulaient rejoindre la maison d’un parlementaire auquel ils sont hostiles. Certains ont jeté des pierres, l’armée a répliqué par des tirs en l’air pour disperser la foule dans la zone de la place al-Nour. Entre autre, un jeep de l’armée et plusieurs agences bancaires ont été incendiés par des jets de cocktails Molotov.
Le même soir, les locaux de la banque centrale à Sidon (sud) ont été visés par des pierres et des pétards, selon l’Agence nationale de l’information. C’est dans cette ville samedi soir qu’un engin explosif avait été jeté contre une banque.

Ces derniers jours, plusieurs manifestations ont eu lieu en journée, notamment avec des cortèges de voitures dans la capitale, malgré le confinement instauré le 14 mars par les autorités qui ont aussi adopté un couvre-feu nocturne.

Dans la soirée du 26 avril, plusieurs banques libanaises à Tripoli et Mina (Nord) ont été attaquées à coups de cocktails Molotov par des inconnus. Ces attaques font suite à des faits similaires à Tyr et à Saïda au Liban-Sud, au cours du week-end écoulé, alors que le Liban affronte sa pire crise économique et financière depuis 30 ans.
Pendant la nuit, un groupe de personnes s’en est pris à la façade de la banque Byblos à Mina, avant de prendre la fuite. Dans le centre-ville de Tripoli, ce sont les agences de la BLOM Bank et de la BBAC qui ont été la cible de cocktails Molotov lancés par des hommes portant des masques sanitaires.
Les Forces de sécurité intérieure se sont déployées sur les lieux, tandis que des agents de la Défense civile ont éteint un début d’incendie qui s’était déclaré devant la BBAC.

« Les politiciens détournent notre attention avec le coronavirus pour pouvoir continuer de nous voler », scandaient, le 16 avril, des manifestants, avant de se faire tabasser par les forces de l’armée.

Le Liban avait connu le 17 octobre 2019 un vaste mouvement de révolte, dont la place Al-Nour de Tripoli a été durant de longs mois le centre névralgique de la révolution du 17 octobre : certains jours des centaines de milliers de personnes descendre dans la rue à travers tout le pays, pour crier leur colère et agir en conséquence. Les banques ont régulièrement été prises pour cible, accusées par la rue de complicité avec le pouvoir politique et d’avoir contribué à l’endettement public effréné et la faillite de l’Etat. Depuis des mois, une très grave crise économique sévit au Liban, amplifiée par la pandémie de coronavirus et les mesures préventives qui en ont découlées.

Environ 45% de la population vit désormais sous le seuil de pauvreté, selon des estimations officielles. En 2020, l’économie devrait connaître une contraction massive de 12%, selon le Fonds monétaire international (FMI). Le Liban connaît aussi une dépréciation de sa monnaie nationale face au dollar, ayant entraîné une forte inflation.

Le Coronavirus est le dernier des soucis des Libanais qui crèvent de faim.. Le total de personnes ayant contracté le virus depuis le 21 février s’élève à 672. Et il y a eu  21 décès jusqu’à présent.

 

[Repris principalement de ‘L’Orient-Le Jour’, 28.04.2020, avec quelques ajouts à partir de Démesure]

https://sansattendre.noblogs.org/archives/12895

Munich (Allemagne) – Sabotage incendiaire des installations ferroviaires et d’internet

Reportage de Munich : Incendies des installations de la Deutsche Bahn et d’internet

Grâce à des contacts avec des employés de la Deutsche Bahn (société ferroviaire allemande), j’ai appris que la police et la presse ont minimisé deux faits à Munich. Vendredi 17 avril, des câbles ont été incendiés le long de la voie ferrée à Allach et Johanneskirchen. Ces tronçons sont utilisés pour le trafic des grandes lignes et le trafic (péri)urbain, ainsi que pour la circulation des marchandises. Sur le site en question, étaient entreposés non seulement des câbles de signalisation, mais aussi, comme c’est souvent le cas, des câbles en fibres optiques. La plupart du temps, ces câbles se trouvent sous des dalles en béton le long des voies ferrées, ceux en fibres optiques étant marqués par des ondulations. Ces incendies ont provoqué des retards pendant plusieurs jours pour la Deutsche Bahn, étant donné qu’elle a dû dévier ses trains. On ne connaît pas les conséquences sur les câbles à fibres optiques, car les médias les ont dissimulées.


Dépêche des journaflics, 17/04/20 :

Incendie sur les installations ferroviaires – Johanneskirchen
Vendredi 17.04.2020, vers 2h, des employés de la Deutsche Bahn ont remarqué un foyer d’incendie tout proche de la gare de Johnneskirchen. Ils ont informé la police fédérale en composant le numéro d’urgence.
Les employés de la DB ont pu éteindre eux-mêmes les flammes, de sorte qu’aucun dommage majeur ne survienne.
Selon les premiers éléments de l’enquête, des inconnus ont mis le feu à des conduites de câbles.
Le Kommissariat 43 (atteintes à la sûreté de l’État) s’est saisi de l’enquête.

Dépêche des journaflics, 20/04/20 :

Incendie sur les installations ferroviaires – Allach
Vendredi 17.04.2020, entre 1h et 3h du matin, une conduite de câbles de la DB a été incendiée à la gare d’Allach. Les dégâts causés par l’incendie ont été si importants que les systèmes de signalisation entre Allach et Karlsfeld sont tombés en panne et que la ligne a dû être fermée. Par la suite, cet incident a entraîné de fortes perturbations du trafic dans ce secteur.

[Traduit de l’allemand par Sans Attendre, d’un article supprimé entre-temps par indymedia,  26.04.2020]