Militari davanti alle carceri?

Dicono che la situazione nelle carceri non sia ancora pacificata, che la rabbia espressa qualche giorno fa si annida ancora in molte galere, che c’è un concreto rischio di ulteriori devastazioni, sequestri, incendi, fughe. In pochi giorni i detenuti hanno messo in crisi un pezzo del sistema statale, quello che per tutti dovrebbe essere il più “sicuro”, il più controllato e messo in una situazione tale da prevenire proprio questi fatti successi in molte carceri in Italia. Che lo Stato sia incapace di gestire le carceri è un bene e non un male,

ma se fino ad ora le sue negligenze sono state un danno verso i detenuti, in questo caso le sue incapacità burocratiche e logistiche hanno fatto sì che i prigionieri siano riusciti a ribellarsi, unirsi e in alcuni casi a guadagnare la fuga.

Quindi qual’è la soluzione sia per gli opinionisti, per i tecnici del settore e dei politici più reazionari? Schierare l’esercito, come se non bastasse la presenza in questi giorni di Polizia Penitenziaria, Finanza, Carabinieri, Vigili di ogni risma, Polizia di Stato. L’esercito è un deterrente che in questo momento è utilizzabile vista l’emergenza, ma è anche una forza vera e propria, ed in questo paese ci si è dimenticati di cosa essa sia in grado quando entra veramente in funzione. Lo Stato ha già nel decennio passato abituato i suoi cittadini a vedere nelle strade di tante città gli uomini in mimetica dell’operazione “Strade sicure”, se poi vengono utilizzati per controllare i confini del Nordest contro i poveri in fuga dalle guerre e ora schierati davanti alle carceri, questo non è un problema. La retorica di tutti i partiti politici degli ultimi governi è evidente ed ha fatto breccia nella massa. Nel tempo sono riusciti con mille mezzi, sopratutto culturali e propagandistici, a spostare il problema di chi crea i danni irreversibili di questo mondo a chi invece li subisce e che spesso giustifica le scelte politiche, economiche, repressive e non solo in cambio di un po’ di finto benessere e libertà.

L’esercito ha un solo modo di muoversi: violenza, controllo e repressione, ed è evidente che l’emergenza attuale viene gestita in un’ottica di guerra sia in modo formale, sia in modo informale utilizzando una propaganda massiccia di terrore che spinga la massa a chiedere qualsiasi mezzo di fronte ad un nemico invisibile. Ma visto che ad un virus non si spara, il piombo nelle canne dei mitra è solo per gli uomini e donne che potrebbero non solo non rispettare gli obblighi imposti in questo periodo, ma anche, in un prossimo futuro, ribellarsi finita l’emergenza. Persone che, quando ritornerà l’ipotetica tranquillità, dovranno fare i conti con la nuova situazione economica e politica che lo Stato e i padroni faranno pagare alla massa di sfruttati, gli stessi che fino ad ora non hanno compreso che coloro che indossano divise sono la mano dell’oppressore. Per intenderci: quelli che sparano quando arriva l’ordine, ad obbedir tacendo.

Così è stato, e così sarà.

Se in questa ennesima situazione restrittiva si fraternizza con quello che per noi è un nemico, è un passo che poi si pagherà in futuro. Perché questo è il loro “lavoro”, sono addestrati per queste situazioni, non c’è più il proletario in divisa, le “Missioni di Pace” all’estero hanno formato negli ultimi decenni migliaia di uomini e donne nel gestire le popolazioni occupate, ma ora gli occupati siamo proprio noi, tutti e tutte noi che ci troviamo in Europa.

Militari davanti alle carceri?

Progetto grafico Uno

Incatenati alla corona

«La tirannia più temibile non è quella che assume la forma di arbitrio, è quella che viene coperta dalla maschera della legalità»
A. Libertad, 1907
 
Con l’epidemia passeggera di Covid-19 che si propaga nel mondo e le drastiche misure che si susseguono le une dopo le altre dalla Cina all’Italia, una delle prime questioni che vengono in mente è chiedersi chi, fra la gallina dell’autorità e l’uovo della sottomissione, stia facendo attualmente i maggiori danni. Questa brusca accelerazione statale di controlli, divieti, chiusure, militarizzazione, obblighi, bombardamenti mediatici, zone rosse, definizione delle priorità dei morti e delle sofferenze, requisizioni, confinamenti di ogni genere — tipici di qualsiasi situazione di guerra o di catastrofe — non cade infatti dal cielo. Prospera su un terreno ampiamente arato dalle successive rinunce dei coraggiosi sudditi dello Stato ad ogni libertà formale in nome di una sicurezza illusoria, ma prospera anche sullo spossessamento generalizzato di ogni aspetto della nostra vita e sulla perdita della capacità autonoma degli individui di pensare un mondo completamente diverso da questo.
Come cantilenava un anarchico quasi due secoli fa, essere governato equivale per principio ad «essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, legiferato, regolamentato, recintato, indottrinato, catechizzato, controllato, stimato, valutato, censurato, comandato», e questo «con il pretesto della pubblica utilità e in nome dell’interesse generale». Che la dittatura sia opera di uno solo, di un piccolo gruppo o della maggioranza, non cambia nulla; che essa sia animata dal vizio o dalla virtù nemmeno; che si sia in tempi di epidemia di domesticità tecnologica o più banalmente in tempi di influenza cittadinista o poliziesca neppure. Quali che siano le apparenze protettive adottate dal governo degli uomini e delle cose del momento, quali che siano i pretesti securitari su cui si basa, ogni governo è per sua natura nemico della libertà, e non sarà la situazione in corso a smentirci. A questa banalità di base che delizia gli adoratori del potere in alto e fa brillare gli occhi di quelli che lo anelano in basso, aggiungiamo che non esistono neanche pastori senza greggi: se l’esistenza stessa di un’autorità centralizzata sotto forma di Stato consente certo l’improvvisa imposizione degli arresti domiciliari su una scala inedita a interi settori della popolazione qui e là, è comunque una servitù volontaria largamente integrata, preparata e costantemente rinnovata a rendere questo genere di misure possibili e soprattutto efficaci. Ieri in nome della guerra o del terrorismo, oggi in nome di un’epidemia, e domani in nome di qualsivoglia catastrofe nucleare o ecologica.
L’emergenza e la paura sono in materia le uniche consigliere per i dormienti terrorizzati che, una volta privati di ogni mondo interiore che sia proprio, si rifugeranno in un riflesso condizionato verso la sola cosa che conoscono: nelle braccia muscolose di Papà-Stato e sotto le gonne rassicuranti di Mamma-la-Scienza. Un lavoro quotidiano effettuato non solo da diversi decenni di repressione dei refrattari all’ordine del dominio (del salariato, della scuola, della famiglia, della religione, della patria, del genere) a partire dall’ultimo tentativo di assalto al cielo negli anni 70, ma anche dall’insieme degli autoritari e dei riformisti che non smettono di voler trasformare gli individui in greggi, in accordo con un mondo che coniuga perfettamente atomizzazione e massificazione.
 

«Per l’individuo, non esiste alcuna necessità dettata dalla ragione di essere cittadino. Anzi. Lo Stato è la maledizione dell’individuo. Bisogna che lo Stato scompaia. È una rivoluzione alla quale parteciperei volentieri. Distruggete integralmente lo stesso concetto di Stato, proclamate che la libera scelta e l’affinità spirituale sono le condizioni uniche e sole importanti di qualsiasi associazione e otterrete un principio di libertà che varrà la pena di godere»

H. Ibsen, 1871
 
Una decina di anni dopo aver fatto questa constatazione in una lettera inviata a un critico letterario, il drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, che pur viveva ufficialmente di rendita, scrisse un’opera teatrale che avrebbe infiammato certi anarchici: Un nemico del popolo. La storia si svolge in un villaggio le cui acque sono contaminate da un batterio letale, provocando una lite tra i due fratelli, medico e prefetto, che hanno fondato lo stabilimento termale del luogo. Bisogna mettere sì o no in discussione il loro ricco avvenire realizzando le disastrose opere del sistema idrico del villaggio, avvisando gli abitanti del pericolo? Dopo essere ad un palmo dal convincere la folla a fermare tutto, il buon dottore vedrà quest’ultima rivoltarglisi contro sotto la pressione dei notabili e l’influenza del giornale locale, e finirà solo contro tutti. Ma che non ci si inganni. In quest’opera, Ibsen non intendeva lodare la verità della scienza di fronte all’oscurantismo o al mercato (quello stesso anno, il 1882, usciva in francese la critica postuma di Bakunin sulla rivolta della vita contro la scienza), bensì denunciare la tirannia della «maggioranza compatta», di quella massa versatile che ondeggia in base agli interessi dei potenti.
È passato più di un secolo da questo successo teatrale che sembra ormai di un’altra galassia, e il matrimonio tra ragione di Stato e scienza della ragione ha da allora ampiamente dimostrato tutto l’orrore di cui era capace, dai massacri industriali, militari e nucleari di massa dentro e fuori le frontiere, fino all’avvelenamento duraturo dell’intero pianeta e alla connessione irreggimentata delle relazioni umane. In un mondo globalizzato dove gli umani sono continuamente in preda a ristrutturazioni tecno-industriali che sconvolgono ogni percezione sensibile (dalla vecchia separazione tra ciò che si produce e la sua finalità fino al significato stesso del reale), cosa resta allora agli spossessati quando sopraggiunge l’ignoto di un nuovo virus mortale? Aggrapparsi a statistiche fluttuanti che sostengono che circa il 70% della popolazione sarà interessato dal Covid-19, che solo il 15% delle persone colpite soffriranno di sintomi più o meno gravi, e che il 2% morirà in base all’età avanzata e alle precedenti condizioni di salute? Seguire come al solito gli ordini del potere che regola già ogni sopravvivenza dalla nascita alla morte, tra il ricatto della fame e quello del carcere, nell’attesa come per il clima che siano gli stessi gestori delle cause a risolvere le conseguenze? Interrogarsi sulla differenza tra la sopravvivenza e la vita, tra la quantità di una vita che diminuisce inesorabilmente fino alla sua estinzione da quando si nasce, e la sua qualità, ciò che vogliamo farne qui e ora, a prescindere dalla sua durata che non si conosce in anticipo? Una qualità che si può anche mettere in discussione quando è separata da ogni aspirazione alla libertà, quando è disposta alla reclusione volontaria con un semplice schiocco di dita del capo-branco.
Giacché, piuttosto che stupirsi della gestione cinese autoritaria e tecnologizzata dell’epidemia di Covid-19, è proprio così che 60 milioni di italiani hanno rinunciato dall’oggi al domani, la sera di un certo 9 marzo, al minimo spirito critico accettando l’«Io resto a casa», decretato dallo Stato per almeno quattro settimane dopo aver testato l’istituzione di un’immensa zona rossa che tagliava il paese in due. Nel momento in cui scriviamo, questo genere di misure di rigorosa quarantena su così vasta scala si è esteso alla Spagna (47 milioni di abitanti), mentre Portogallo, Romania, Serbia e Stati Uniti hanno appena dichiarato lo stato di emergenza, con tutto ciò che questo comporta in termini di coercizione di fronte agli irresponsabili che osassero sfidare la grande reclusione regolata con tanto di permesso di circolare tra ciò che in definitiva costituisce la base: casa-lavoro-supermercato. Per dare un’idea del seguito, l’esercito assistito da droni è stato appena schierato in Spagna nelle stazioni e nelle strade delle grandi città (polizia militare e membri dell’Unidad Militar de Emergencias, UME), idem in Italia con i 7000 soldati che non le hanno mai lasciate dopo l’operazione Strade Sicure del 2008, e altrettanti che sono in massima allerta in previsione di disordini quando il picco di contagio raggiungerà il sud della penisola. Ogni paese potrà anche conservare per il momento le sue piccole peculiarità in termini di permessi di luoghi pubblici «non essenziali» al fine di mantenere un briciolo di facciata democratica — edicole e profumerie in Italia, commercianti di vino e hotel in Francia, mercati e parrucchieri in Belgio —, ma senza alcuna illusione circa la sua durata.
Stiamo assistendo a un movimento di unità nazionale che tocca la maggior parte degli ambiti della vita (sopravvivenza) attorno ad un ordine che si è dato carta bianca, e questo ad un livello senza precedenti nella maggior parte dei paesi occidentali dalla seconda guerra mondiale. Un esercizio di servitù volontaria che era stato bene preparato e rodato su piccola scala dalle diverse emergenze di «terrorismo» o di «catastrofi naturali» in  questi ultimi anni in vari luoghi, ma mai così a lungo e con tale intensità. E non v’è dubbio che questo esercizio rischia di durare molto più di quanto annunciato, aprendo a nuove situazioni ancora difficili da anticipare o prevedere.
 
«L’aria è immobile. Come sono lontani gli uccelli e le fonti! Non può esserci che la fine del mondo, più in là»
A. Rimbaud
 
Di fronte a ciò che il gregge sa fare meglio, eseguire le consegne, resta anche un certo numero di individui che non intendono sottomettersi così facilmente, per vari motivi, altri che cercheranno sicuramente di trovare falle nei dispositivi di confinamento una volta dissipato l’effetto disorientamento (e con l’ausilio della noia dell’autoreclusione), oltre a quegli animi valenti che intendono continuare la loro incessante opera per minare il dominio o cogliere le opportunità che si aprono.
In fondo, perché mai il virus dell’autorità dovrebbe fare a meno di utilizzare la paura come ha sempre fatto, anche a costo di esacerbarla o di crearla in base alla necessità, non solo per intensificare il suo controllo sui corpi e le menti, ma soprattutto per rafforzare il veleno di una sottomissione di fronte ad un imprevisto che, sfuggendogli, può rimescolare le carte?
Cosa c’è di più sicuro per il potere di una guerra in cui unione sacra, religione e sacrifici saldano attorno ad esso gran parte della popolazione? ma anche di più aleatorio di una guerra persa o che non è in grado di condurre, con un iniziale malcontento non di opposizione ma di contestazione per una cattiva gestione o un prezzo troppo pesante da pagare, che a sua volta può portare ad una messa in discussione più globale, se i tentativi rivoluzionari successivi alla prima guerra mondiale negli imperi sconfitti (Germania, Russia, Ungheria) vi dicono ancora qualcosa. Ci verrà replicato che i tempi sono cambiati e che allora esisteva almeno un’utopia sostitutiva dell’esistente. Ma ciò non toglie che uno Stato occidentale contemporaneo sopraffatto dal panico di sopravvivenza, da una rabbia di fronte a tassi di mortalità più elevati per via di un sistema sanitario che era stato largamente smantellato, da un virus che può immobilizzare momentaneamente dal 20 al 30% di qualsiasi professione (110 celerini di Grasse sono confinati dal 12 marzo, così come tutti gli sbirri del commissariato di Sanary-sur-Mer dal 14 marzo, o i loro 400 colleghi parigini della Brigade des réseaux franciliens) creando occasioni, o da rivolte di determinate aree o categorie della popolazione, e tutto ciò all’interno di una economia indebolita*, si trova davanti ad una situazione nuova che potrebbe anche sfuggirgli di mano.

In materia di pacificazione sociale come di conflittualità, è alquanto comodo per chiunque vedere le cose come gli conviene o solo ciò che gli si presenta davanti al proprio naso, e ancor più quando le informazioni diffuse dai portavoce del potere si fanno sempre più avare, cosa più evidente in tempi di crisi o d’instabilità dove tutti serrano i ranghi. Ma chi ha mai pensato che i giornali o i social network fossero il riflesso della realtà, o che quando non dicono nulla dell’antagonismo in corso, tranne che per trasformarne il significato o vantarsi di qualche arresto, non è successo niente? Pur sapendo che si è solo all’inizio di un nuovo periodo che si apre e potrebbe durare mesi, senza seguire alcuna traiettoria in linea retta, uno dei primi segnali di rivolta è arrivato dalle carceri italiane, e in che modo!
 In seguito alle misure prese dallo Stato contro la diffusione del Covid-19 e riguardanti anche le carceri (divieto dei colloqui, soppressione della semi-libertà e delle attività all’interno), i primi ammutinamenti sono scoppiati il 7 marzo e si sono estesi ad una trentina di carceri da nord a sud nello spazio di tre giorni. Almeno 6000 prigionieri si sono ribellati: guardie o personale presi in ostaggio, apertura di celle e devastazione di sezioni o addirittura di intere prigioni (come quella di Modena, inutilizzabile), vari incendi e occupazione di tetti, ma anche evasioni come a Foggia dove in 77 sono riusciti a scappare (quattro sono ancora liberi) forzando l’accesso verso l’uscita dopo aver distrutto tutti gli schedari ed i documenti relativi alla loro identità, e almeno una dozzina di morti hanno segnato questa prima ribellione.

In un altro ordine di idee, a seguito del grande confinamento decretato oltralpe, dove ogni individuo che si trovi fuori casa deve essere munito di autocertificazione (una dichiarazione sulla parola) che ne attesti il motivo, spuntando la casella tra lavoro, salute e un altro molto limitato relativo alle sole necessità autorizzate dallo Stato (come fare la spesa o portare a spasso il cane, ma unicamente da soli e nel proprio quartiere), quest’ultimo ha reso noti i dati relativi ai primi giorni del coprifuoco: su 106.000 persone controllate, quasi 2.160 sono state multate per violazione dello stato di emergenza (11 marzo), poi su 157.000 controllati, è toccato ad altri 7.100 (13 marzo). I casi più disparati vanno dagli impertinenti che hanno osato incontrarsi per bere una birra in un parco agli impudenti che hanno approfittato della spiaggia deserta per provare un beach volley, fino a un padre di famiglia andato a comprare una playstation per il suo figliolo bloccato a casa o una coppia che preferiva litigare faccia a faccia piuttosto che a distanza al telefono, fino al tentativo di festeggiare un compleanno tra amici o di giocare a carte tra vicini, nonostante il decreto imponga che ognuno stia a casa in base alla residenza dove è registrato e che possa uscire uno alla volta, giustificandosi ad ogni controllo. Molte grandi città (Milano, Bologna, Torino, Roma) hanno chiuso così parchi, giardini, piste ciclabili o altrove le spiagge, per impedire ai recalcitranti di ritrovarsi approfittando del bel tempo.
Tuttavia, non si può fare a meno di pensare che questi timidi atti di trasgressione siano attualmente più legati alla improvvisa moltiplicazione di divieti che ad una ribellione contro queste misure. Se molti dispongono ormai di più tempo libero, essendo lontani dalla scuola o dal lavoro, si ritrovano pur sempre ingabbiati allo stesso modo di prima: secondo le modalità del potere. Disobbedire ad un ordine perché modifica troppo in fretta un’abitudine radicata non è affatto la stessa cosa che rifiutare che una qualsiasi autorità possa dare ordini, o strappare volontariamente il tempo e lo spazio al dominio per trasformarli in altro. Si chiami esso Santa economia o Bene comune.
Infine, poiché siamo solo all’inizio di questa ondata presto mondiale di misure che vietano anche le manifestazioni di strada, precisiamo che l’Algeria che le ha appena vietate in nome del Covid-19 ha dovuto affrontare violazioni di massa il 13 marzo, in particolare in Cabilia, in occasione della 56° settimana di proteste contro il potere; che in Cile, dove la rivolta è ripresa all’inizio di marzo dopo la fine delle vacanze, il ministro della Sanità ha annunciato che il paese sta per entrare nella fase 3 con l’istituzione di una quarantena di massa; e che in Francia, dove lo Stato aveva deciso il 13 marzo di abbassare da 1000 a 100 persone la soglia limite per i raduni, le manifestazioni di strada risultano ancora un’eccezione «utile alla vita della nazione», tollerata per timore di reazioni troppo violente, e si confida che i sindacati cessino loro stessi di organizzarle (a Lione, il 13 marzo, 3000 giovani hanno ad esempio sfilato cantando «Non è il corona che ci avrà, è lo Stato e il clima», per non parlare della manifestazione parigina dei gilet gialli del 14 marzo che si è scontrata con la polizia lasciando sulla sua scia diverse carcasse di auto bruciate).
Da parte dei nemici dell’autorità, infine, molti rischiano fortemente di essere colti alla sprovvista se non hanno pensato alla questione in anticipo, quando scoppia questo genere di situazione: non quella di una rivolta inaspettata, ma di un improvviso e brutale inasprimento dei margini di manovra, ad esempio in termini di spostamento come accaduto all’inizio della rivolta in Cile con il coprifuoco, o da una settimana in Italia e poi in Spagna con la messa in quarantena di tutto il paese. E ciò non solo per via della moltiplicazione dei controlli, ma anche a causa della collaborazione dei cittadini che disertano su comando lo spazio pubblico lasciando allo scoperto i refrattari o moltiplicando le denunce, occupati come sono ad annoiarsi dietro la loro finestra di confinamento volontario e desiderosi di far rispettare misure che considerano protettive.
Pensare alla questione quando non è ancora stata posta, significa ad esempio conoscere i passaggi che conducono da casa verso posti più propizi, o avere già identificato quali occhi dello Stato appollaiati in alto siano da bucare per aprirne di nuovi, ma anche come uscire dalla città con agilità (questa volta con le maschere consigliate dal potere!) o quali sentieri di campagna imboccare per poter anticipare nuovi controlli e posti di blocco all’orizzonte. Significa anche, altra difficoltà del grande confinamento, immaginare come e dove procurarsi qualche mezzo per agire in caso di carenza di rifornimenti anticipati (molti negozi non alimentari sono chiusi). Ciò può anche essere una agevole occasione per riconfigurare il problema della comunicazione non mediata dalla tecnologia tra complici più o meno dispersi, la cui circolazione può improvvisamente diventare più complicata, e — perché no? — trovarne di nuovi che, per proprie ragioni, avvertono le stesse esigenze di sfuggire all’invasione di controlli di strada (la grande reclusione volontaria ha questo di particolare, che mette ancora più a nudo l’insieme di individui che non intendono piegarsi). Altrettante questioni da affrontare con urgenza, quindi, e occasioni per ripensare, osservare e cambiare il proprio sguardo su un territorio ieri noto, ma nel quale gli spazi ed i margini possono anche diminuire drasticamente qui ma allargarsi altrove, o venire trasformati dai nuovi imperativi del potere in materia di gestione dei soli flussi epidemici casa-lavoro-supermercato.

Da parte del potere, la maggior parte dei piani di crisi messi in atto nei diversi paesi (in Italia e Spagna, con Germania o Francia ancora bloccate dalle prossime elezioni amministrative) fino ad ora fanno emergere alcune costanti che sarebbe pure un peccato ignorare.

Per esempio, è l’occasione per il capitalismo di spingere verso un’accelerazione di quella che alcuni chiamano da un po’ di tempo la quarta rivoluzione industriale (dopo quella del vapore, dell’elettricità e dell’informatica), ovvero l’interconnessione digitale totale in tutti gli ambiti della vita (dalla fisica alla biologia o l’economia). Pensiamoci: centinaia di milioni di studenti dalle elementari all’università che oscillano improvvisamente in diversi paesi su corsi permanenti a distanza in seguito alla chiusura di tutti i luoghi fisici d’insegnamento; altrettanti lavoratori che da parte loro vengono messi al telelavoro (dal 20 al 30% in media), indipendentemente dal fatto che vi siano abituati; la moltiplicazione su scala di massa di diagnosi tramite schermo interposto in seguito alla saturazione degli studi medici; l’esplosione dei pagamenti con carta di credito per paura di essere contaminati attraverso la manipolazione di monete e banconote. E se a tutto questo aggiungiamo il fatto che le popolazioni confinate si dedicano volentieri a tutto ciò che impedisce loro di pensare o di sognare, buttandosi sugli acquisti on line, sulle serie televisive, sui giochi in streaming o sulla comunicazione virtuale tra umani, diventa chiaro che le antenne delle reti di telefonia mobile, i cavi in fibra e gli altri nodi di connessione ottica (NRO) o più semplicemente le reti energetiche che alimentano tutto ciò, assumono un’importanza ancora decuplicata. Non solo per la produzione o i passatempi, ma semplicemente come principale cordone ombelicale tra i lazzaretti individuali e il mondo vivente, in effetti più che mai derealizzato.
Allora, sapendo che una bella antenna, un trasformatore, un palo elettrico o un cavo in fibra diventano più che mai determinanti nel contempo per trascorrere il tempo dell’auto-reclusione, per il lavoro e l’educazione di massa a distanza, ma anche per la trasmissione delle consegne del potere in camice bianco e per il pedinamento tecnologico del controllo (e non solo in Cina o in Corea del Sud), ciò non apre piste interessanti per spezzare questa nuova normalità da cui trae pieno beneficio il potere? Per non parlare del possibile effetto valanga, visto l’aumento più che conseguente del traffico Internet e telefonico, come della minor disponibilità di tecnici causa malattia…

Il secondo punto che sembra costante nei piani d’emergenza europei, è la priorità data al mantenimento minimo dei trasporti, al fine di condurre i lavoratori non confinati verso le industrie e i servizi definiti critici, di perpetuare il flusso di merci su camion o ferrovia verso questi ultimi, così come il rifornimento delle città le cui riserve sono notoriamente limitate a pochi giorni. Anche qui, si tratta di un’occasione da non trascurare per chi volesse destabilizzare i settori economici che il governo intende preservare ad ogni costo e che diventano più visibili (in Catalogna si parla 
attualmente di creare corridoi speciali di lavoratori sani e di beni verso determinati luoghi di produzione).
 

In tempi d’emergenza e di crisi a questi livelli, in cui tutti i rapporti sociali vengono messi brutalmente a nudo (in termini di spossessamento come di priorità dello Stato e del capitale), in cui la servitù volontaria guidata dalla paura può rapidamente trasformarsi in incubo, in cui il dominio deve a sua volta adattarsi senza tuttavia controllare tutto, saper agire in territorio nemico non è solo una necessità per chi non intende soffocare nella sua piccola gabbia domiciliare, ma è anche un momento importante per lanciare nuove bordate contro i dispositivi avversari. In ogni caso, quando ci si batte per un mondo completamente altro verso una libertà senza misura.
 
 


* A titolo di esempio, numerose industrie cominciano ad essere rallentate a causa dell’interruzione delle catene di approvvigionamento provenienti dalla Cina, 
mentre la Germania ha appena annunciato prestiti alle aziende garantiti dallo Stato per un valore di 550 miliardi di euro, ossia un piano di aiuti ancora più forte 
di quello messo in atto durante la crisi finanziaria del 2008. Molti cominciano a parlare di un periodo di recessione mondiale.
 
 
[Avis de tempêtes, n. 27, 15 marzo 2020, traduzione di Finimondo]

Le fratture del Dominio

Questa epidemia sta mostrando, in Italia, come diversi elementi costituenti il nostro mondo abbiano interessi e priorità divergenti. Capitale, Stato e Sistema Tecnico affrontano lo stesso problema (la stabilità sociale ed il mantenimento del loro potere e la loro influenza sulla vita delle persone) da prospettive diverse e con obiettivi diversi, talvolta in aperto conflitto. In queste riflessioni darò per scontate tutta una serie di premesse riguardo alle differenze tra le componenti del Dominio e su dove queste differenze o distinzioni iniziano e finiscono (Cfr. Diario di bordo da un mare inesplorato, Editrice Cirtide 2020 per maggiori dettagli). La situazione in continua trasformazione chiaramente non permette di fare una fotografia precisa, quanto di andare ad individuare alcune tendenze di massima.

Anche perché crisi non è sinonimo di crollo, quanto di riassetto, trasformazione. E se sappiamo che la più grande capacità del Dominio è quello di rimandare i problemi al futuro, nell’attesa di poterli risolvere o di poterli nuovamente rimandare perché non più al centro dei riflettori (chi in questi giorni sa cosa sta succedendo nei campi profughi greci dopo che Erdogan ha chiesto più soldi all’UE per tenere le frontiere chiuse?), sappiamo anche che guardare oltre fa parte dello spirito che permette di poter contrastare lo stato di cose esistente.

Lo Stato

Ad essere colpita da questa epidemia è la popolazione, ovvero quel concetto che, insieme al territorio, costituisce fondamento e motivazione dell’esistenza stessa dello Stato. Insieme alla difesa dell’integrità dello spazio incluso nei propri confini, lo Stato si pone anche come garante della vita pacifica e pacificata della propria popolazione, volgendosi ad un suo aumento quantitativo che va di pari passo con l’aumento della sua potenza.

Attualmente lo Stato nazionale incontra difficoltà nell’esercizio del suo potere dovendosi confrontare con fenomeni di convergenza e concentrazione del potere a livello globale o continentale.

Il partito politico che in questo momento, in Italia, si sta facendo maggiormente portavoce delle istanze dello Stato è la Lega di Salvini, anche attraverso i suoi diversi presidenti di regione (Zaia, Fontana). Fin dal primo momento l’idea chiave è che attraverso l’epidemia si sarebbe potuto agire sull’equilibrio dei poteri in favore del ruolo dello Stato nazionale (chiusura delle frontiere, controllo dello spazio, misure stringenti sulla vita delle persone, blocco totale della macchina produttiva).

Egli inoltre sa che essendo all’opposizione la responsabilità delle misure non sarà sua e che, puntando al collasso dell’economia globalizzata, la vulgata già è pronta a ripetere il mantra del Made in Italy e dell’economia sovranista-autarchica, soprattutto dopo l’evidenza di come la globalizzazione e le supply chain siano anche profondamente fragili ed esposte a perturbazioni localizzate (In Italia mancano ad esempio alcune filiere produttive per le dotazioni di sicurezza individuale – leggi mascherine ).

Anche per quel che riguarda il decreto economico del governo la posizione dell’opposizione è quella di spingere ossessivamente sulle partite IVA (protagoniste negli ultimi mesi di alcune proteste sotto il parlamento) e per il blocco del pagamento delle tasse, disinteressandosi delle logiche di bilancio a fronte dell’emergenza, come se la questione contingente di pericolo per lo Stato e per la sanità pubbliche, di fronte alle necessità del mondo economico, siano decisamente prioritarie. E non ci venga ripetuto che allo Stato interessa la salute delle persone.

Le rivolte nelle carceri ed il bisogno di incrementare il controllo sociale hanno già spostato alcuni equilibri, come l’affidamento della qualifica di agenti di pubblica sicurezza a tutti i militari e non solo a quelli dell’Operazione Strade Sicure. Nei prossimi giorni potrebbero essere aggravate le restrizioni ed aggiunto il monitoraggio degli spostamenti delle persone attraverso il controllo delle celle telefoniche.

Il Capitale

Il mondo economico produttivo e quello dei mercati internazionali è in grande difficoltà. Conte sta cercando di mediare tra le istanze di una Confindustria che cerca di non far chiudere le industrie del paese e lo Stato profondo che invece sbava all’idea di poter mettere in atto un accentramento dei poteri ed un esperimento di controllo sociale di massa contro un nemico perfetto, invisibile e scientificamente al di sopra di ogni opinione chiudendo tutto.

La diminuzione della domanda di materie prime legate all’arresto della crescita cinese sia per quel che riguarda la domanda interna (-78% del mercato cinese dell’auto) che l’esportazione di merci finite e semilavorati crea ripercussioni sul prezzo del petrolio e le stime di crescita. Prezzo che crolla a causa del mancato accordo tra OPEC e Russia.

Le misure americane di bloccare i voli Schengen-USA, quindi una misura di ricostituzione di confine, ha ripercussioni sui mercati e la fiducia nell’andamento futuro dell’economia. Una BCE che si pone in maniera distante rispetto alle sfide e le scelte degli Stati di chiudere i paesi e fermare la produzione, intervenendo forzatamente sul piano degli ammortizzatori sociali e della creazione di debito, contribuisce alla complessiva crisi di fiducia.

Lo spazio Schengen chiude, e l’idea stessa di Comunità economica europea vacilla. La forma economica di una produzione just in time mostra i suoi limiti nel momento in cui vengono meno le strutture logistiche e la richieste di determinate merci diventa statisticamente imprevedibile. La scomparsa del magazzino e dello stoccaggio rischia di accelerare i tempi della crisi distributiva, svuotando gli scaffali dei supermercati.

Inoltre quando qualcuno paventa ricapillarizzazione della produzione e la ri-nazionalizzazione del lavoro non fa i conti con quello che ha fatto andare via la produzione: margini di profitto evidentemente troppo bassi tra costo del lavoro “eccessivo”, tasse ed infrastrutture “carenti” (vedi TAV o TAP da costruire a tutti i costi). Già ora si stanno moltiplicando le ferie forzate (prodromo di licenziamenti?) o il licenziamento in tronco con tanti saluti per chi era in nero… cosa accadrà in futuro? Una spinta verso l’automazione pe risparmiare sulla forza lavoro?

Il Sistema Tecnico

Ad uscire rafforzato e sempre più centrale per la vita delle persone è il Sistema Tecnico tanto nella sua componente ideologica (il pensiero scientifico) che nella sua componente materiale (l’infrastruttura tecnologico-digitale).

A fronte di una bassissima conoscenza di quello che è effettivamente questo virus e sui modi per affrontarlo, l’attributo di verità è affidato al pensiero scientifico atto a sostenere e giustificare le pratiche e le scelte di governo a livello globale. Esso inoltre diventa anche la fonte di una speranza di soluzione attraverso l’ideazione della soluzione ex machina del vaccino o della cura.

Ogni forma di relazione, comunicazione e trasmissione di informazione è affidato al sistema mediatico virtuale dei social network ed alla rete di videosorveglianza. La massiccia raccolta di informazioni ed il tracciamento degli spostamenti e delle relazioni è stata utilizzata anche in alcuni paesi, come la Corea del Sud, per impostare ed applicare il processo di sorveglianza ed isolamento delle persone.

Durante questo periodo di quarantena forzata si stanno spostando nel mondo telematico alcuni ambiti fondamentali della vita, come il lavoro (smart working) e la scuola (scuola digitale). Questo ha portato ad un aumento compreso tra il 30 ed il 50% del traffico sulle reti.

Tuttavia sta facendo anche emergere nel dibattito pubblico l’importanza del cablaggio delle cosiddette zone bianche per l’arrivo della banda larga e, per le scuole, l’intervento di fondazioni private o aziende come Google nel fornire strumenti di didattica e/o spazio sui server per informazioni e materiali educativi.

Appare evidente come la migrazione delle relazioni sociali sul web, sugli smartphone e sui social cambia completamente il modo in cui comunicano le persone all’interno della società, tanto aumentando indescrivibilmente il potere degli svariati GAFA quanto spingendo alla digitalizzazione anche delle pratiche di governo: (voto digitale, chiusura del parlamento. burocrazia telematica).

Le fratture del Dominio

Tutto va estremamente bene!

La parola d’ordine di questi giorni è: “regole”.

Ad ogni cittadino modello è chiesto un grande sacrificio: ubbidire incondizionatamente ad una legge.

Ma questa legge, o meglio questo insieme di decreti che si susseguono vorticosamente, in modo contraddittorio e confusionario, ha come teatro una società che ha perso in pochi giorni le “sue certezze”.

Un nuovo virus è apparso come figlio del capitalismo, della pressione umana sulla natura, come prodotto dello sfruttamento.

Di fronte a tale virus sconosciuto la salvezza risiede nell’ubbidire alle leggi, non tanto per sviluppare l’immunità ma per indirizzare il gregge; poi, se queste leggi impongono o permettono comportamenti insensati, va bene lo stesso. In simili frangenti, cosa è più utile: riempire la testa di leggi; bombardare con la propaganda del #iorestoacasa; cantare inni dai balconi; militarizzare strade e quartieri, oppure far si che la gente comprenda quella che è la situazione reale?

Se la legge permette di fare una sciocchezza enorme, chi è abituato a ubbidire e basta, non farà altro che aderire alle nefandezze della legge.

Per questo motivo il bene più grande da coltivare in noi è la ragione, non l’ubbidienza, né il cosiddetto “bene comune”.

Ci sono tanti modi per legare l’individuo all’ubbidienza, alcuni molto evidenti, altri meno.

Quelli più subdoli e meno riconoscibili si fondano sulla volontà collettiva e sul senso di comunità.

Il più delle volte tali collettività e comunità altro non sono che il prodotto funzionale, lo strumento di rigenerazione delle gerarchie e delle catene di comando: il terreno fertile, insomma, in cui attecchiscono più facilmente le radici della sorveglianza.

Ebbene, la prospettiva di avere idee condivise e sottoscritte, attraverso una limitazione quasi totale delle responsabilità individuali, è diventata nel tempo la prassi istituzionale più chiara e semplice per l’imposizione di ogni gerarchia, di ogni dominio, di ogni sfruttamento.

Ma quali “certezze” sarebbero dunque intaccate dal DPCM del governo?

E a quale “normalità” si agogna di ritornare al più presto?

La legge, oggi, dice che in tanti devono recarsi al lavoro; governo e padroni stringono accordi con le parti sociali e si ignorano gli operai che hanno organizzato scioperi spontanei.

Lo dice la legge: pattugliati in casa e, nello stesso tempo, a lavorare in fabbrica. Bisogna stare in casa, ma bisogna essere presenti sul posto di lavoro e in fabbrica.

Una dimensione che ricalca perfettamente lo slogan “distanti, ma vicini”, ovvero: da soli nei rapporti di forza contro gli strumenti dello sfruttamento; comunità nell’agire in modo responsabile alle ordinanze. Non è questo uno degli obiettivi più agognati dal modello economico vigente, sia esso incarnato dallo stato, sia esso incarnato da creativi imprenditori?

Intanto, in tutta questa situazione si è spinti alla delazione, si denunciano i vicini di casa usciti fuori , magari a buttare la spazzatura, si denuncia chiunque. Giornali e affini, come sempre, ma forse oggi con più foga, sono alla ricerca della notizia sensazionale e quindi pronti a fungere da sbirri e a denunciare. Politici e aspiranti tali, vogliono trarre profitto e visibilità con opere di sciacallaggio vero e proprio. Alcuni ministri cercano di conquistare il palcoscenico comunicando in diretta le scelte del governo relative al loro settore, altri politicanti dicono tutto e il contrario di tutto pur di stare sulla cresta dell’onda parlando dagli schermi di TV locali, nazionali, internazionali. C’è chi invoca elezioni e chi dice in diretta di essere ammalato. Come al solito, padroni e politicanti, danno spettacolo delle loro vite, mentre c’è chi porta i suoi familiari in ospedale, consapevole della possibilità di non poterli vedere mai più e c’è chi muore da solo, scortato a vista nel suo ultimo viaggio, dai militari.

Approfittando delle suggestioni create, numerose aziende promuovono sul mercato le loro app, i loro droni e la loro tecnologia per aiutare governo e sbirri e controllare gli spostamenti delle persone. Pronte insomma ad assicurasi una via privilegiata nella costruzione delle nuove infrastrutture della rete digitale. Nulla di nuovo per un modello economico che da tempo sta cercando di imporre i suoi nuovi standard ed i suoi nuovi obiettivi. Il rinnovamento del capitalismo ha bisogno di mettere in quarantena le sue vecchie forme di produzione industriale e di sfruttamento delle energie. Il nuovo assemblaggio strutturale sostenibile e condiviso è già in atto. Fatto proprio e propagandato dalla associazioni più disparate in flashmob e manifestazioni “pacificate”. Resta solo da rendere i sudditi consapevoli e disposti ad accettarne i parametri comportamentali senza intoppi eccessivi.

Ad ogni modo, riteniamo importante soffermare la nostra analisi su un ramo strutturale del capitalismo: l’apparato tecnoscientifico.

“Governare significa sfruttare”, ma l’esigenza odierna del capitalismo di governare e reprimere in modo produttivo ed illimitato, presuppone la costruzione di un sistema scientifico capace di aggiornare e modificare continuamente la scelte da imporre. Inoltre, tali scelte devono essere applicate velocemente, per far questo c’è bisogno di comunità e territori capaci di introitare al meglio le esigenze dell’economia.

Una lettura superficiale di ciò che accade intorno a noi in questi giorni, potrebbe facilmente indurci a pescare in un universo letterario e filosofico, già più volte evocato e scarsamente ritornato utile ai fini di un’analisi tesa al contrattacco.

A cosa è funzionale il continuo accompagnamento della sorveglianza nelle nostre vite?

Può una telecamera o un drone, impedire una qualsivoglia azione volontaria? Assolutamente no! Può solo, in alcuni casi, dissuaderla o allontanarla altrove. Eppure l’arma della sorveglianza è nello stesso tempo spuntata e a doppio taglio.

I continui cambiamenti di contesto economico e decisionale devono prevedere o influenzare i comportamenti degli individui. Tuttavia, il livello di controllo totale non agisce sull’interiorità, ma sulla cosiddetta collettività. L’obiettivo del nemico è, dunque, modulare l’ambiente affinché risponda in un determinato modo: un ambiente che funzioni come sensore, come sonda, come polizia.

Quando l’ambiente diviene un sensore non esiste più un limite a ciò che può essere elaborato, raccolto, classificato. Nel modello disciplinare di controllo industriale, la sorveglianza si concentrava sul luogo di lavoro e sulle prigioni. Nell’era digitale l’interattività di rete annulla le differenze tra i processi di monitoraggio: la raccolta dei dati arriva a permeare una crescente gamma di spazi e attività. E alla fine il punto d’arrivo di una decisione guidata è l’automazione del giudizio. L’individuo limita la quantità di informazioni che può essere assorbita o elaborata, invece le macchine promuovono scenari di “neutralità” e “oggettività” che permettono di poter trascendere le parzialità di giudizio. Lo scopo dell’automazione è, infatti, quello di sviluppare sistemi che sostituiscano le decisioni individuali e gli istinti vitali.

Il fine non è quello di reprimere semplicemente, attraverso le forze dell’ordine, i comportamenti antisociali. Oggi si sta trasferendo all’interno delle masse l’occhio del controllo, verso se stessi e verso gli altri. Quante volte, infatti, prima ancora della diffusione del mortifero virus, isterici cittadini modello hanno prodotto filmati per denunciare le condotte ritenute moleste?

Per i Decreti Legge non è importante sapere perché non vi sono abbastanza strutture o respiratori per gli ammalati, questi ultimi che stanno vivendo sulla loro pelle, le difficoltà di questi giorni, da nord a sud, lo sanno bene. Invece è utile disciplinare al meglio le persone davanti ad un evidente “errore” del sistema operativo. Con sempre maggiore frequenza amministratori, cittadini invocano la presenza dell’esercito ma come mai, invece di fare appello a misure concrete in favore della sanità si chiede l’esercito? É presto detto: la cosa importante è che non si formino assembramenti, che non ci sia gente capace di protestare una volta che ci si sarà resi conto che in realtà, ci vorrebbero chiudere in casa ad attendere il morbo, senza cure, mentre si canta dai balconi. Cosa accadrebbe se tutti testassero con mano la mancanza di cure adeguate, che succederebbe se arrivati in pronto soccorso venti , trenta persone si vedessero, tutte insieme, rifiutate le cure perché, semplicemente, non ci sono i soldi? Cosa succederebbe se alle continue rassicurazioni seguisse la triste realtà di non potersi garantire un sostentamento quotidiano adeguato?

E’ prassi, davanti ad ogni passo in avanti della sorveglianza nelle nostre vite, alimentare un panorama visionario orwelliano per criticarne gli effetti; è consuetudine davanti all’aumento della stretta della catena dello sfruttamento, dimenticarne i responsabili: il capitale, lo stato, le istituzioni e i suoi rappresentati. E’ importante, dunque, non sminuire la concretezza dei fatti e non edulcorare la realtà.

Più i governi ricercano infallibilità e completezza delle informazioni che acquisiscono, delegando ai sistemi tecno-scientifici la ricerca di un numero di dati sempre maggiore, più incorrono in errori di valutazione, poiché il concetto stesso di “completezza dei dati” è limitante, superficiale.

Il pericolo posto dalla sorveglianza automatizzata, non è che sarà assoluta, ma che le persone possano agire come se lo fosse.

Tuttavia è importante tenere presente che la fallace neutralità delle macchine condiziona quotidianamente decisioni governative, valutazioni economiche e quant’altro. Eppure, l’ampio mercato che l’apparato industriale della sicurezza muove, è evidente. Esistono, dunque, in merito alla governance della sicurezza, un ambito economico strategico ed uno strettamente sociale che si auto alimentano e spartiscono equamente gli utili ritagliandosi ruoli determinanti nella gestione e nell’erogazione dei servizi. La sperimentazione diffusa che il capitale usa come modo per rigenerarsi ha continuamente bisogno di figure che restituiscano senso ai tentativi di riavvio della macchina ma ha anche bisogno di un ambiente addomesticato che compie scelte “sane”, “virtuose”, “comuni”, prevedibili.

Per cui, se viene chiesto di lavorare senza retribuzione è un dovere del lavoratore nei confronti dell’economia statale; se viene chiesto di lavorare in ambienti o in condizioni insalubri è un dovere nei confronti della nazione o della comunità di cui si fa parte. Anche da questo punto di vista, però, ciò che il DPCM del governo impone non è nulla di nuovo o di salvifico. Ma è la conferma dell’assassinio quotidiano che viene, da sempre, somministrato dai padroni ai lavoratori.

Probabilmente questo nuovo senso del dovere riesce a far dimenticare che ogni giorno ci confrontiamo con la morte: recandoci al lavoro; respirando aria infetta; assassinati da zelanti tutori dell’ordine.

Tutto ciò ha dei responsabili! Li conosciamo bene! E non dobbiamo dimenticare come si fa a riconoscerli: quando ci dicono che bisogna stare uniti per il bene della nazione e fare sacrifici; quando ci dicono che l’imprenditoria è l’unica salvezza dalla povertà; che la democrazia è il male minore; che un prigioniero morto in galera, si è suicidato o è morto di overdose.

Non dimentichiamo chi sono anche quando chiedono uno sforzo a tutti per arginare un’emergenza come quella in corso.

Sono gli stessi infami, gli stessi assassini di sempre.

Non dobbiamo disconoscere responsabilità specifiche attraverso la condivisione della colpa; un’arma che da mesi i governi europei e i loro servi sinistrati, stanno cercando di istillare nelle coscienze, attraverso proteste addomesticate.

Politici, padroni, sbirri, magistrati sono il virus quotidiano della nostra vita.

Il vecchio detto: “Se non hai nulla da nascondere. Non hai nulla da temere dalla sorveglianza”, rievoca implicitamente i consueti privilegi di classe.

Chi non ha nulla da temere dal sistema economico che condiziona le nostre vite è il padrone, colui che ha introitato i modi di vivere funzionali al capitalismo e li riproduce.

Non abbiamo bisogno di contare un numero maggiore di passi in un recinto per sentirci liberi.

Siamo liberi poiché non riconosciamo il diritto e la legge, sia che provengano da un’assemblea di delegati, sia che provengano da un’elaborazione di un algoritmo.

La paura con cui cercano di infettare le coscienze deve rivoltarglisi contro e chi fa sciacallaggio politico di questa situazione, cercando di promuoversi a benefattore o controllore, è complice!

Nessun ordine, nessun comunicato consolatorio e distensivo di ciò che produce il sistema economico, va salvaguardato o amplificato.

Siamo animati da una fortissima vicinanza a tutti coloro i quali stanno vivendo momenti bui, in questi giorni ed è proprio per questo che non aspettiamo silenti e indifesi, alcun ritorno alla normalità, quella stessa normalità che già combattevamo e che, sostanzialmente, non ha nulla di diverso da quella odierna.

In guerra contro il capitale ieri ed oggi!

Anarchici a Cosenza

Cronache dal contagio – giorno 7

Da qualche giorno la scuola è chiusa, non possiamo più andare, c’è il covid.. passo le mie giornate chiuso in casa, anche se stare con i genitori è una palla. A loro hanno chiuso il lavoro…
Da ieri poi ancora peggio, la mattina dobbiamo stare connessi davanti al pc per ore. Possiamo ‘essere a scuola’ anche senza alzarci dal letto, non abbiamo nemmeno più la scusa della malattia.
Così dobbiamo cercare di seguire con attenzione la lezione, ma io non ci riesco. Già detesto ascoltare certi professori dal vivo (un paio sono dei cretini e non capisco perché devono stare in una posizione più alta della mia, perché devo obbedirgli), figurati ascoltare uno schermo. Non possiamo nemmeno parlare con i nostri compagni, fare le nostre cose, gli scherzi. Infatti a parte i primi della classe, facciamo quasi tutti altro, non si impara niente così. Alcuni non hanno nemmeno un pc a casa e quindi anche se volessero non possono proprio seguire.. altri devono fare i turni con i fratelli perché magari ne hanno solo uno.
Va beh, forse meglio per loro.
La cosa divertente e che possiamo registrare i professori e fare dei remix o dei meme.
Ci hanno detto che proveranno a farci fare pure dei compiti da casa. Questo non mi dispiace, potremo copiare facilmente.

Per alcune cose internet è bella per altre no..
Mio zio mi dice sempre (e mia madre si arrabbia) che quando andava a scuola lui poteva marinarla. Aveva un doppio libretto e nel secondo faceva la firma falsa di sua madre e nessuno se ne accorgeva. Qualche volta forse è successo, ma poco importa. Adesso se facessimo la stessa cosa i nostri genitori lo saprebbero subito, c’è il registro online. Che figata…
Di solito i miei amici li vedo solo a scuola, poi ci sentiamo in chat, nei nostri gruppi.
Ma, dopo una settimana passata chiusi in casa ieri notte io e altri tre abbiamo deciso di vederci, così
siamo usciti di nascosto, abitiamo vicino. Mamma e babbo si sono arrabbiati, ma cosa possono fare? Non è colpa mia se c’è l’epidemia.

Allora con i miei compagni ci siamo detti che se continua così la situazione ci dovranno far passare tutti. Non è che possono bocciarne alcuni per il corona virus, magari avrebbero potuto recuperare.
Una mia compagna in questi giorni ha visto tanti video su internet, non sapeva cosa fare. Lei è messa un po’ male a scuola, però ci racconta sempre delle cose divertenti. Ci ha raccontato che ha visto come si fa ad intasare un water e a fare in modo che non si possa chiudere l’acqua.. Ha detto che se la bocciano entra a scuola una notte e allaga la scuola.

Cronache dal contagio – giorno 4

Oggi ho guardato il frigorifero e ho visto che mancavano un po’ di cose. Così mi sono messo la mia mascherina e i miei guantini e mi sono avviato verso il supermercato, è a 10 minuti a piedi. Incrocio un paio di persone col cane, quando mi vedono cambiano direzione. Hanno anche loro la maschera, forse pensano che possa infettare i loro animali. Prima stava in un pipistrello….
Così arrivo fuori dal supermercato e mi metto in fila, mantengo le distanze. Le persone non si parlano, hanno paura, gli occhi spenti. Ci voleva solo questo. Dopo la crisi, ci avevano detto che questo mondo si sarebbe ripreso.. invece le guerre, gli attentati, i morti in mare. E ora la pandemia, quando sento i miei amici per chat ci chiediamo se sopravviveremo.
Credo di sì, ma fumo da tanto tempo, non ho dei polmoni buoni. Da qualche giorno non fumo più infatti..
Guardo il vigilantes all’ingresso, è il turno mio e di un’altra signora, non ci capiamo e quasi andiamo a sbattere. Si allontana subito spaventata, a passi svelti…
Guardo gli scaffali, alcuni sono vuoti, mi chiedo per quanto tempo ancora arriveranno gli approvvigionamenti. Per quanto riusciranno a riempire gli scaffali? Chi lavora nell’agricoltura non si ammalerà? Ormai fanno tutto i trattori e i trattori certo non si ammalano, ma qualcuno li dovrà pur guidare.

Così penso all’orto di mio nonno, quello che fino a cinque anni fa tenevo assieme ad un paio di amici in una zona con tanti altri orti. Avevamo sempre verdure buone, non erano come queste qui.. avevano sapore e non erano avvelenate.
Ora al posto dei nostri orti hanno costruito un centro commerciale, qualcuno ha detto che è meglio, non avremmo più dovuto faticare per lavorare la terra.
Ma se avessi ancora quell’orto ora avrei meno paura, saprei che per i prossimi mesi avremmo da mangiare.

Mentre allungo la mano per prendere due finocchi penso a cosa farei se iniziassimo ad avere fame, io e le persone a cui voglio bene.
Penso al ventennio, quando le persone mangiavano topi e ghiande mentre i gerarchi fascisti avevano le dispense piene. Allora capisco, se gli scaffali si svuoteranno, se inizieremo ad avere fame entrerò nella casa di un ricco, di un politico, di un vescovo e gli svaligerò la dispensa e il frigorifero. Le loro saranno sempre piene, non c’è dubbio. Magari scendo pure in cantina, alla fine lo champagne non l’ho mai bevuto. I soldi glieli lascio anche, in questo momento possono bruciare..

Cronache dal contagio – giorno 1

Ieri sono stata al lavoro, dopo ho beccato un paio di amiche, le solite cose. Abbiamo bevuto una birra e fatto quattro chiacchiere, qualche accenno alle zone rosse del nord italia, ma nemmeno più di tanto. Le solite cose, quelle cose scontate che oggi mi sembrano troppo lontane..

Poi sono tornata a casa, ho cenato, sola, e ad un certo punto è comparso Conte in tv. Non mi è mai stato molto simpatico, mi sembra arrivato lì per caso. E poi fa sempre il buono e non mi fido di quelli che fanno i buoni. Di solito sono falsi..
Insomma inizia a dire che la zona rossa verrà estesa a tutta italia, per non spaventarci la definisce zona rosa. Forse è per il discorso dell’inclusione delle donne nella società contemporanea. Stronzate, i capi sono maschi quasi sempre. E così chiamo il mio capo e lui mi dice che domani non devo andare al lavoro, che se il blocco dell’attività dovesse durare quanto dicono forse dovrà mandare a casa qualcuna di noi. Se durasse di più forse dovrà chiudere..
Ma come? Siamo assunte a tempo indeterminato! E poi solo due anni fa ho stipulato un mutuo per la casa, era stato pure lui a consigliarmi di farlo. Volevo essere indipendente… da cosa non so perché alla fine ho sempre bisogno dei soldi e questa non è indipendenza.
Forse indipendente dai miei genitori.. allora penso a loro, alla vita di sacrifici che hanno fatto. Due persone oneste che hanno dedicato la vita al loro lavoro e ai loro figli.
Tra poco dovrebbero andare in pensione, io credo che sarebbero dovuti andarci molto tempo fa. Troppo vecchi per lavorare, ma non sanno fare altro. Ora sono chiusi in casa, a pensare che basterebbe lo starnuto della persona sbagliata per far finire una vita passata a seguire le regole. Ciò che aspettavano da tempo, una vecchiaia di riposo, forse non lo vedranno mai. Per colpa della stessa società che hanno servito.
Allora penso a me.. cosa volevo farne della mia vita? Passarla ad obbedire, a pagare le rate del mutuo ed arrivare spossata senza energia a vivermi gli ultimi anni, magari attaccata ad una macchina e imbottita di medicinali? Magari pure sola. Magari muoio prima, senza aver fatto niente che non sia lavorare ed andare in ferie una settimana l’anno fingendo di essermele godute. Di solito le passo a dormire per riprendermi dalla stanchezza.
No, forse no… forse, finita la quarantena, non torno comunque al lavoro, forse smetto di pagare il mutuo.

Bergamo – preparativi all’invasione dei soldati nelle strade

A Bergamo, per spostare circa 65 bare, l’esercito italiano ha condotto un’operazione in grande stile. Una decina di camion, più tutte le vetture di scorta per un totale di una 70ina di mezzi come ci dice repubblica.

La domanda sorge spontanea: c’era bisogno di questo dispiegamento di forze? Per spostare quelle bare non sarebbero bastati un paio di camion?

Qualche maliziosetta potrebbe forse pensare che questo sia un modo, oltre che per esibire per l’ennesima volta la forza dello Stato, per legittimare l’imminente rafforzamento della presenza dei soldati nelle strade già in mezzo a noi dall’avvio dell’operazione ‘Strade Sicure’.

Alla fine, anche se si spostano su mezzi da guerra, imbracciano fucili automatici e sono addestrati ad uccidere, chi non li vorrebbe fuori dalla propria porta di casa ora che si sono pure re-inventati becchini?

E smettela voi criticoni di dire che sembrerà di essere in guerra e che saranno lì solo per controllare e reprimere, loro agiscono per il nostro bene!