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Quarantena o morte!?
O come un terremoto che fa tremare il suolo, o come uno tsunami che sommerge le coste. Laddove non provocano vittime, o quasi, questi fenomeni non vengono nemmeno notati. È solo quando il macabro conteggio comincia a salire che cessano di essere considerati eventi naturali per diventare immani tragedie. Ed assumono contorni terribili e insopportabili soprattutto quando si verificano sotto i nostri occhi, qui ed ora, non in un continente o in un passato lontani facili da ignorare. Ora, quand’è che questi eventi di per sé naturali seminano la morte? Quando il loro verificarsi non viene tenuto minimamente in considerazione, presupposto per non prendere alcuna misura precauzionale nei loro confronti. Costruire case in calcestruzzo in zone altamente sismiche, ad esempio, è un modo sicuro per trasformare un terremoto in una catastrofe. In attesa delle prossime piogge, disboscare una montagna significa preparare una frana che spazzerà via il paese sottostante, così come cementare il letto di un fiume che attraversa zone abitate significa promettere un’esondazione che manderà sott’acqua sotterranei e parti basse degli edifici.
Lo stesso si può dire di una pandemia. Se un microrganismo è in grado di uccidere ovunque non è perché la natura è tanto cattiva e deve essere perciò addomesticata dalla scienza che è buona. Prendiamo ad esempio il coronavirus: prima l’organizzazione sociale dominante lo ha creato (con la deforestazione e l’urbanizzazione), poi lo ha diffuso in tutto il pianeta (con la circolazione aerea e il sovraffollamento), infine ne ha aggravato gli effetti (con la carenza di mezzi idonei a curarli e la concentrazione delle persone più predisposte e sensibili al contagio, trasformate in cavie delle più disparate terapie somministrate secondo discutibili criteri). Tenuto conto di ciò, dovrebbe essere chiaro che il modo migliore per ostacolare il più possibile la comparsa di un virus maligno – impedirla del tutto sarebbe pretenzioso quanto impedire un uragano, considerato poi che il corpo umano è sempre pieno di virus e di batteri di vario genere – è di sovvertire da cima a fondo il mondo in cui viviamo, al fine di renderlo meno favorevole allo sviluppo di epidemie. Mentre il modo migliore per evitare un’eventuale infezione è quello di rafforzare il sistema immunitario.
Si tratta di una duplice prevenzione, sull’ambiente generale e sui corpi particolari, che però non riscuote alcun favore. La prima perché comporta una trasformazione sociale ritenuta utopica in quanto troppo radicale, la seconda perché è un intervento biologico considerato insufficiente in quanto troppo individuale. Rimedi troppo vaghi e lontani, soprattutto viziati da un difetto fondamentale: non sono erogabili da uno Stato cui si è affidato il compito di sollevare dalla fatica di vivere. Insomma, misure poco pragmatiche e non rivendicabili all’alto. Nulla a che vedere con il potenziamento dei servizi sanitari o l’invenzione di un vaccino, rimedi oggi impetrati a gran voce da tutte le parti.
Nel nostro universo mentale a senso unico la questione della salute è come tutte le altre, oscilla fra le due corsie della via maestra data per scontata e obbligata: settore pubblico gestito dallo Stato oppure settore privato gestito dalle imprese? Poiché il secondo è riservato ai ricchi, è dal primo che la stragrande maggioranza delle persone si attende con urgenza la salvezza. Tertium non datur, direbbero i latini (e chi accusa i critici del sistema ospedaliero di fare il gioco delle cliniche di lusso). Ma dato che questa via maestra è quella perorata dal dominio e dal profitto, non sarà certo privilegiando una corsia rispetto all’altra che si potrà cambiare una situazione che è frutto proprio dell’esercizio del dominio e della ricerca del profitto.
Ecco perché è necessario fugare l’aura di ineluttabilità che fa da scudo a questa società, impedendo di intravedere altre possibilità. Qui però si sbatte contro una difficoltà in più. Quando e come uscire di strada per esplorare altri sentieri, se quando si gode di ottima salute non si pensa mai alla malattia, mentre quando si è malati si pensa solo a come venire guariti il più in fretta possibile? E come riuscirvi senza mettere in discussione non solo l’istituzione medica, ma anche il concetto stesso di salute, nonché il significato di sofferenza, di malattia e di morte?
Pensiamo ad esempio a come oggi chi osa osservare che la morte fa parte della vita, soprattutto superati gli ottant’anni di età, venga bollato di cinismo malthusiano (da chi, da aspiranti all’immortalità transumanista?). Oppure pensiamo alle considerazioni formulate a suo tempo da Ivan Illich sulla nemesi medica. Se oggi, in piena psicosi da pandemia, questo critico non certo sospettabile di estremismo anarchico fosse ancora vivo e si azzardasse a fare uno dei suoi interventi, verrebbe linciato prima sulla piazza virtuale e poi su quella reale. Ve lo immaginate se, davanti ad un pubblico distanziato e con i suoi asettici dispositivi di protezione, in spasmodica attesa di un vaccino salvifico, qualcuno cominciasse a sostenere che «solo limitare la gestione professionale della sanità può permettere alla gente di mantenersi in salute», o che «il vero miracolo della medicina moderna è di natura diabolica: consiste nel far sopravvivere non solo singoli individui, ma popolazioni intere, a livelli di salute personale disumanamente bassi. Che la salute non possa se non scadere col crescere della somministrazione di assistenza è una cosa imprevedibile solo per l’amministratore sanitario», o che «nei paesi sviluppati, l’ossessione della salute perfetta è divenuta un fattore patogeno predominante. Ciascuno esige che il progresso ponga fine alle sofferenze del corpo, mantenga il più a lungo possibile la freschezza della gioventù e prolunghi la vita all’infinito. È il rifiuto della vecchiaia, del dolore e della morte. Ma si dimentica che questo disgusto dell’arte di soffrire è la negazione stessa della condizione umana», magari concludendo con la preghiera «non lasciateci soccombere alla diagnosi, ma liberateci dai mali della sanità»?
Simili affermazioni, in giorni isterici come quelli che stiamo attraversando, apparirebbero come minimo di cattivo gusto persino a certi militanti rivoluzionari, ridotti chi ad attribuire ad uno Stato capitalista il compito di debellare un virus capitalista, chi a passare dal ruggito libertà o morte! al miagolio quarantena e sopravvivenza!. Eppure, la tanto bramata autonomia che si vorrebbe raggiungere facendola finita con tutte le dipendenze, può mai rinunciare alle sue intenzioni davanti al corpo umano, alla sua vita come alla sua morte?
Manifesto – Come distruggere un’antenna-ripetitore?
manifesto “Come distruggere un’antenna-ripetitore?”
Une idée formidable
Un fait divers local. On ne sait pas quand, on ne sait pas qui, on ne sait pas pourquoi, mais on sait où. Et cela suffit pour ouvrir le cœur, même si ce qui s’est passé ne semble pas avoir eu beaucoup de succès. Mais, on le sait bien, pour certaines choses, c’est l’idée qui compte.
Une idée comme celle que quelqu’un a laissée sur le mur d’enceinte d’une entreprise à la périphérie de Lecce le week-end dernier. Ce n’était pas une affiche, ce n’était pas un tag, non, c’était une marmite remplie d’essence à laquelle étaient attachées plusieurs cartouches de gaz, le tout assorti d’un retardateur rudimentaire peut-être défectueux. Il y a eu une grande flamme, mais pas d’explosion. Les organes locaux d’information nous en donnent la nouvelle, mais ils ne peuvent préciser quand cela s’est produit. Bah, entre vendredi 24 avril au soir et lundi 27 avril au matin ? Ils ne disent pas non plus qui peut l’avoir accompli, et pour quelle raison. Bah, un acte d’intimidation ou de rétorsion de la part de quelque truand ou d’un déséquilibré ? Par contre, ils ont été très précis sur l’endroit : via del Platano 7, dans le quartier de Castromediano, au siège de l’entreprise Parsec 3.26.
Mais de quoi s’occupe la Parsec 3.26 ? Il s’agit d’une entreprise informatique spécialisée dans les technologies numériques pour l’administration publique. Par exemple, elle a créé le logiciel utilisé par la police et par les banques pour la reconnaissance faciale des visages filmés par les caméras de vidéosurveillance. Ah, rien que ça ? Aurait-elle donc été prise pour cible uniquement parce que sa passion est l’ « E-government », comme on l’apprend en parcourant son site à l’insupportable langage techno-anglo-crétinisant ? Ou, toujours en lisant son site, uniquement parce qu’ « elle a lancé un département nommé Reco 3.26, actif dans la production de software dans le domaine de la Smart Recognition… Dans la recherche de systèmes biométriques en faisant appel à une team inter-disciplinaire composée d’ingénieurs et de chercheurs… Les principaux secteurs qui vont être impactés par cette technologie sont actuellement les transports, la finance, la sécurité (publique et privée). La croissance est surtout poussée par les initiatives des gouvernements en matière de sécurité. Les entreprises appartenant à des secteurs comme celui du retail et des banques sont en train d’adopter des systèmes à reconnaissance faciale pour l’identification des clients et la surveillance de leur comportement. Les solutions proposées par Parsec 3.26 représentent aujourd’hui un état de l’art des technologies de reconnaissance en Italie pour la sécurité publique. En effet, la société s’est distinguée pour avoir réalisé une solution de reconnaissance biométrique aujourd’hui utilisée par le Ministère de l’Intérieur – Direction Centrale Anti-Criminelle – dans le cadre du système SARI » ?
Serait-il donc possible que quelqu’un soit hostile à cette entreprise « distinguée » simplement parce qu’elle aide l’État à remplir les prisons et les banques à protéger leur coffres-forts ? Mais qui l’aurait cru !
En ces temps de confinement, de checks-points, d’attestations de sortie, de traçage, de surveillance avec des drones et autres joyeusetés… – de quoi faire honte aux petits joueurs des régimes totalitaires du passé –, le fait que quelqu’un ait pu avoir une telle idée juste avant, pendant ou un peu après l’anniversaire de la Libération du nazifascisme, nous laisse sous le charme. Cela n’aura été qu’une simple flambée, mais quelle lumière splendide au milieu des ténèbres de la servitude volontaire d’aujourd’hui.
Une lumière de vengeance, une lumière de dignité, une lumière de liberté.
[traduit de l’italien de finimondo, 28/4/20]
Una idea estupenda
Una noticia local. No sabes cuándo, no sabes quién, no sabes por qué, sólo sabes dónde. Y eso es suficiente para abrir tu corazón, incluso si lo que pasó no parece haber sido muy exitoso. Pero, como sabes, en algunas cosas la intención es lo que cuenta.
Un pensamiento como el que el fin de semana pasado alguien dejó en la pared de una empresa en las afueras de Lecce. No era un póster, ni una pintada, no, era una olla llena de gasolina con un par de bombonas de gas, todo ello acompañado de un rudimentario detonador quizás defectuoso. Hubo un gran llamarada pero no explotó. Al informar sobre esto, los medios de comunicación locales no pueden especificar cuándo ocurrió. ¿Entre el viernes 24 de abril por la noche y el lunes 27 de abril por la mañana? Ni siquiera dicen quién pudo haberlo hecho o por qué motivo. ¿Un acto de intimidación o represalia de algún gángster o lunático? Por otro lado, fueron muy precisos en cuanto al lugar donde ocurrió: en via del Platano 7, en el barrio de Castromediano, sede de Parsec 3.26.
¿Pero de qué se ocupa este Parsec 3.26? Es una empresa de informática especializada en tecnologías digitales para la administración pública. Por ejemplo, ha creado el software utilizado por la policía y los bancos para el reconocimiento facial de las personas capturadas por las cámaras de vigilancia. Ah, ¿eso es todo? Habrá sido objetivo sólo porque, como puede comprobarse navegando por su página web en el insoportable lenguaje tecno-anglo-cretino, su “pasión es el E-Government”? Sólo porque “comenzó una división llamada Reco 3.26, activa en la producción de sistemas de software en el campo del “smart recognition”… en la investigación de sistemas biométricos y emplea equipos interdisciplinarios que incluyen ingenieros y científicos… Los sectores en los que esta tecnología tiene actualmente un mayor impacto son el transporte, las finanzas, la seguridad (pública y privada). El crecimiento está impulsado principalmente por las iniciativas gubernamentales en materia de seguridad. Las empresas de sectores como el comercio minorista y la banca están adoptando sistemas de reconocimiento facial para identificar a los clientes y vigilar su comportamiento. Hasta la fecha, las soluciones producidas por Parsec 3.26 representan el estado de las tecnologías de reconocimiento en Italia para la seguridad pública. De hecho, la empresa se ha distinguido por haber creado una solución de reconocimiento biométrico utilizada hasta la fecha por el Ministerio del Interior – Departamento Central de Lucha contra la Delincuencia dentro del sistema SARI”?
¿Cómo es posible que haya alguien hostil a esta “distinguida” sociedad sólo porque ayuda al Estado a llenar las cárceles y los bancos de las patrias para proteger sus cajas fuertes? ¡Quién lo hubiera pensado!
Bueno, el hecho de que en tiempos de confinamiento, puntos de control, auto-certificación, seguimiento, vigilancia de drones y todo eso… —que avergonzaría a los ingenuos regímenes totalitarios del pasado— alguien tuvo tal pensamiento justo antes, durante o poco después del aniversario de la liberación del nazi-fascismo, estamos encantados. Puede que haya sido sólo un incendio, pero qué espléndida luz en medio de la oscuridad de la servidumbre voluntaria de hoy en día.
Luz de la venganza, luz de la dignidad, luz de la libertad.
[finimondo.org]
Pensiero stupendo
(Non) Ci sono paragoni?
«Tra l’11 giugno 1940 e il 1 maggio 1945, durante la seconda guerra mondiale, a Milano persero la vita sotto i bombardamenti 2 mila civili, in 5 anni; per il coronavirus, in due mesi, in Lombardia ci hanno lasciato 11.851 civili, 5 volte di più… Un riferimento numerico clamoroso»
Domenico Arcuri, 18 aprile 2020
Eterno apprendistato
You’ll never riot alone
Nunca lucharás solx
Hay otra pandemia en curso en todo el planeta. La OMS no se ocupa de ello en absoluto, ya que no es de su competencia, y los medios de comunicación tratan de silenciarla o minimizarla. Pero los gobiernos de todo el mundo están preocupados por el riesgo que implica. Esta pandemia se está extendiendo sobre la estela del virus biológico que está llenando los hospitales. Pasa por donde pasa el Covid-19. También corta el aliento. El miedo al contagio está causando, de hecho, la rabia. Los primeros síntomas del malestar tienden a empeorar, convirtiéndose primero en frustración, luego en desesperación, y finalmente en rabia. Rabia por la desaparición, por decreto sanitario, de las últimas migajas de supervivencia que quedaban.
Es significativo que tras el anuncio de las medidas restrictivas adoptadas por las autoridades para evitar la propagación de la epidemia, una especie de arresto domiciliario voluntario, fueran precisamente quienes, tras cuatro muros ya sufrían diariamente el confinamiento por coacción – los presos – los que prendieron la mecha. El verse privados de los pocos contactos humanos que les quedaban, además, el riesgo de acabar ratones enjaulados ha llevado a lo que no sucedía durante años. La inmediata transformación de la resignación en cólera.
Todo comenzó en el país occidental más afectado por el virus, Italia, donde estallaron disturbios el 9 de marzo pasado, en una treintena de prisiones inmediatamente después de la suspensión de las conversaciones con los familiares. Durante los disturbios, murieron doce prisioneros – casi todos “por sobredosis”, según los infames velos ministeriales – otros innumerables fueron masacrados. En una ciudad, en Foggia, 77 prisioneros consiguieron aprovechar la oportunidad de escapar (aunque para muchos de ellos, por desgracia, la libertad duró demasiado poco). Tales noticias sólo podrían dar la vuelta al mundo y quién sabe si habrá inspirado las protestas que, a partir de ese momento, se extienden entre los segregados vivos de los cuatro continentes: palizas, huelgas de hambre, negativa a volver a sus celdas después del patio… Pero no sólo eso.
En Asia, la mañana del 16 de marzo, agentes de las brigadas antidisturbios hicieron una redada en dos de las mayores prisiones del Líbano, en Roumieh y Zahle, para restablecer la calma; algunos testigos hablan de barrotes arrancados, columnas de humo, presos heridos. En América Latina, el 18 de marzo se produjo una fuga masiva de la prisión de San Carlos (Zulia), en Venezuela, durante un motín que estalló inmediatamente después del anuncio de medidas restrictivas: 84 presos lograron escapar, 10 fueron abatidos durante el intento. Al día siguiente, 19 de marzo, algunos prisioneros de la prisión de Santiago de Chile también intentaron escapar. Después de tomar el control de su sector, prender fuego al puesto de guardia y abrir las puertas del pasillo, se enfrentaron con los guardias. El intento de fuga fracasa y es severamente reprimido. En África, el 20 de marzo se produce otro intento de fuga masiva de la prisión de Amsinéné en N’Djamena, la capital del Chad. Todavía en América Latina, el 22 de marzo, son los presos de la prisión La Modelo en Bogotá, Colombia, los que se levantan. Es una masacre: 23 muertos y 83 heridos entre los prisioneros. De nuevo en Europa, el 23 de marzo, un ala de la prisión escocesa de Addiewell termina en manos de los insurgentes y es devastada. En los Estados Unidos, 9 reclusos escaparon de la prisión de mujeres de Pierre (Dakota del Sur) el mismo día en que una de sus compañeras direra positivo en la muestra (cuatro de ellas serán capturadas en los próximos días). También el 23 de marzo, 14 reclusos escaparon de una prisión del condado de Yakima (Washington DC) poco después de que el gobernador anunciara su obligación de permanecer en casa. Todavía en Asia, la liberación “provisional” de 85.000 presos por delitos comunes en Irán no sirve para apaciguar la ira que albergan muchas cárceles; el 27 de marzo, unos 80 presos escaparon de la cárcel de Saqqez en el Kurdistán iraní. Dos días después, el 29 de marzo, estalló otro levantamiento en Tailandia en la prisión de Buriram, en el noreste del país, donde algunos detenidos lograron escapar. Y no sólo las prisiones, sino también los centros de detención de inmigrantes clandestinos están en agitación, como lo demuestran los disturbios que estallaron en el CPR de Gradisca d’Isonzo, Italia, el 29 de marzo.
Pero si las prisiones “al cielo cerrado” superpobladas con los condenados de la tierra parecen más que nunca bombas de relojería que poco a poco explotan, ¿qué pasa con las prisiones al cielo abierto? ¿Cuánto tiempo más prevalecerá el miedo a la enfermedad sobre el miedo al hambre, paralizando los músculos y nublando las mentes? En América Latina, el 23 de marzo, 70 personas atacaron una gran tienda de comestibles en Tecámac, México; dos días después, 30 personas saquearon un supermercado en Oaxaca. El mismo día, 25 de marzo, al otro lado del Océano Atlántico, en África, la policía tiene que despedazar a las multitudes en el mercado abierto de Kisumu (Kenya). A los policías que les instan a encerrarse en sus casas, los vendedores y los clientes responden: “sabemos del riesgo del coronavirus, pero somos pobres; necesitamos trabajar y comer”. Al día siguiente, 26 de marzo, la policía italiana comenzó a vigilar algunos supermercados de Palermo, después de que un grupo de personas tratara de salir con los carritos llenos sin parar en la caja.
Tampoco puede decirse que los arrestos domiciliarios impuestos a cientos de millones de personas hayan detenido por completo la determinación de quienes pretenden sabotear este mundo mortífero. En la noche del 18 al 19 de marzo en Vauclin, Martinica, se incendió una sala técnica de la compañía telefónica Orange, cortando las líneas telefónicas a un par de miles de usuarios. En Alemania, donde las medidas de contención se pusieron en marcha el 16 de marzo, los ataques nocturnos continuaron imparables. El 18 de marzo, mientras en Berlín algunos vehículos de los concesionarios de Toyota y Mercedes se queman, en Colonia se rompen los cristales de la inmobiliaria Vonovia. En la madrugada del 19 de marzo una agencia bancaria en Hamburgo fue atacada, mientras que en Berlín el coche de una empresa de seguridad fue incendiado. En la noche del 19 al 20 de marzo, un coche perteneciente a una reserva militar en Nuremberg fue incendiado en protesta por la creciente militarización, tres yates fueron incendiados en Werder, y otro coche perteneciente a una empresa de seguridad se perdió en Berlín. En la noche del 20 al 21 de marzo, otro coche de una empresa de seguridad fue incendiado en Leipzig. Esa misma noche, tanto en Alemania como en Francia, hay quien intenta desconectar a la alienación. El intento fracasó en Padernon, donde los bomberos teutones salvaron una antena telefónica a punto de ser envuelta en llamas. La suerte no sonrió tampoco a los autores de daños en algunos cables de fibra óptica cerca de Bram, Francia. Parte del pueblo permanecerá sin Internet y sin teléfono durante varios días, pero los responsables serán arrestados gracias a un chivatazo de algunos testigos. La noche siguiente (del 22 de marzo) el coche de un oficial de aduanas se incendia cerca de Hamburgo. Quien realizó esta acción hizo circular unt exto en el que se puede leer: “Es precisamente en este período de pandemia que trae un endurecimiento y la restricción de la libertad de movimiento, en el que es aún más importante preservar la capacidad de acción y mostrarse, al igual que otros subversivos, que la lucha contra las limitaciones de esta época continúa, aunque parezca loca y difícil. Si nos rendimos al deseo del Estado de aislarnos, si nos contentamos con encogernos de hombros ante la amenaza del toque de queda, le damos la oportunidad de continuar sus maquinaciones…”. Es un pensamiento que pasa por las cabezas en todo el planeta, si bien es cierto que esa misma noche, entre el 22 y el 23 de marzo, el aeropuerto internacional de Tontouta, en Païta, Nueva Caledonia, fue objeto de ataques (rotura de cristales y ataque de vehículos de la aduana) por parte de quienes evidentemente no están de acuerdo con las palabras del Presidente del Senado tradicional, según las cuales “las decisiones adoptadas en la emergencia por los poderes públicos sin una explicación inmediata no deben incitar a la violencia”.
Pero el hecho de que más podría dejar una profunda huella, brasas que se incuban bajo las brasas del totalitarismo y de las que podrían brotar chispas, es el motín (del que sólo han llegado algunas noticias) que estalló el 27 de marzo no lejos de Wuhan, epicentro de la actual pandemia, en la frontera entre las provincias de Hubei y Jiangxi. Miles de chinos que acababan de salir de una cuarentena que duró dos meses expresaron su aprecio y gratitud por las medidas restrictivas impuestas por el gobierno, atacando a la policía que intentaba bloquear el paso por el puente del río Yangtsé.
Desde hace un mes, el mundo tal como lo conocemos se tambalea. Nada es como antes y, como mucha gente dice a pesar de sus diferentes opiniones, nada volverá a ser lo mismo. No fue la insurrección, sino una catástrofe, lo que puso en duda su tranquila reproducción. Real o percibido, no hay diferencia. No hay duda de que los gobiernos harán todo lo que puedan para aprovechar esta situación y eliminar cualquier libertad que quede, aparte de la de elegir qué bienes consumir. Tampoco hay duda de que tienen en sus manos todas las fichas técnicas para cerrar el juego, e imponer un orden social sin más manchas. Dicho esto, es bien sabido que incluso los mecanismos más sólidos y precisos pueden acabar mal parados a causa de pequeños actos. Su cálculo de los riesgos estimados y aceptados podría resultar erróneo. Dramáticamente equivocado y, por una vez, especialmente para ellos. También depende de todos y cada uno de nosotros asegurarnos de que esto suceda.
[30/3/20]
Finimondo
[Traducido de Finimondo ]
In Corpore Vili
Here we go. A few hours ago the nationwide state of (health) emergency has been declared. Almost total lockdown. Almost deserted streets and squares. Forbidden to leave the house without a reason considered valid (by whom? by the authorities, of course). Forbidden to meet and hug. Forbidden to organize any initiative requiring even a minimum of human presence (from parties to rallies). Forbidden to be too close to anyone. Suspension of all social life. Warned to stay locked up at home as much as possible, obligated to clinging to some electronic device in anticipation of the news. Obliged to follow the directives. Obliged to always carry a “self-certification” justifying all of your movements, even if you go out on foot. For those who do not submit to the measures taken, the sanctions may include arrest and detention.
And all this for what? For a virus that still divides the experts about its actual dangerousness, as the contested opinions presented by the virologists show (not to mention the substantial difference towards this topic between many European countries)? What if instead of the coronavirus – with its mortality rate of 2-3% everywhere in the world except for the northern Italian regions – an Ebola capable of decimating the population by 80-90% had arrived here? What would have happened? Would it have given way to immediate sterilization by bombardment of the hotspots?
Given the connection of the dynamics in industrial societies and the modern western concept of freedom, it is not surprising that a politics of complete domestic lockdown and curfews is imposed on everyone in order to slow down the spread of viral infection.
What is surprising, if anything, is that such measures are so passively accepted. Not only tolerated, but internalized and justified by the majority of the people. And not only by court minstrels who invite everyone to stay at home, not only by respectable citizens who ensure (and control) each other so that “everything will be alright”. But even by those who because of the infectious horror, are no longer willing to listen to the (until yesterday hailed) refrains against the “state of exception”. They now prefer to take sides in favour of an illusory matter of fact. For never are words so useless as in moments of panic. Let us return to the popular psychodrama in progress in the Belpaese. And let us look at its social effects rather than its biological causes.
Whether this virus comes from bats or from some secret military laboratory, what’s the difference? Nothing. One hypothesis is as good as the other. Besides the lack of information and more precise knowledge in this regard, a trivial observation remains valid: similar viruses can indeed be transmitted by certain animal species. Just as among the many sorcerer’s apprentices of “unconventional weapons” there may well be someone more cynical or reckless. So what?
That said, it is all too obvious that in today’s world it is information that defines what exists. Literally, only what is in the media does actually exist. This point of view gives reason to those who say that turning off the television would be sufficient in order to stop the epidemic from spreading.
Without the media panic-mongering no one would have paid much attention to an unexpected form of flu, whose victims would have been remembered only by their loved ones and some statistics. It would not be the first time. This is what happened with the 20,000 victims caused here in Italy in the autumn of 1969 by the Hong Kong flu, the so-called “spatial influenza”. At that time the mass media talked a lot about it. Since the previous year it sowed death all over the planet, yet it was simply considered as a more virulent form of flu than usual. And that was it. After all, can you imagine what the proclamation of a state of emergency in Italy in December of 1969 would have caused? The authorities could have done it, but they knew they couldn’t afford it. It would have led to uprisings without any doubt. They had to make do with the fear sown by the massacres of the state.
Now, does it make sense to assume that a Far Eastern virus has erupted in the world with such virulence only here in Italy? It is much more likely that it was only here in Italy that the media decided to highlight the news of the outbreak. Whether it was a precise choice or a communication error, this could be a matter of debate for a long time to come. What is all too obvious, on the other hand, is the unleashed panic. And to whom and what it benefits.
Because, one must admit, there is nothing more capable of evoking terror than a virus. It is the perfect enemy, invisible and potentially omnipresent. Unlike what happens with Middle Eastern jihadists, its threat extends and legitimises the need for control almost unlimitedly. Now it’s not the possible perpetrators to are monitored from time to time. But the possible victims, everywhere, all the time. The suspect is not the “Arab” who wanders around in places considered sensitive, but those who breathe because they breathe. If you turn a health problem into a problem of public orderand think that the best way to cure is to repress, then it becomes clear why one of the candidates for the role of super-commissioner of the fight against the coronavirus was the former chief of police at the time of the G8 in Genova 2001 and current president of the biggest Italian arms company (but since business is business, in the end they preferred a manager with military training: the director of the national agency for investment and business development). Is it perhaps a question of responding to the demands expressed in the Senate by a well-known politician, who stated that “this is the third world war our generation is committed to undergo, destined to change our habits more than September 11th”? After Al-Qaeda, here is Covid-19. And here are also the bulletins of this war at the same time virtual and viral
; the numbers of dead and wounded, the chronicles from the battle fronts, the narration of the acts of sacrifice and heroism. Now, what has the rhetoric of war propaganda ever served to, throughout history, if not to put aside any divergence and mobilize to form ranks behind the institutions? At the moment of danger, there must be neither divisions nor criticism but only unanimous support behind the flag of the homeland. Thus, in these hours inside the buildings, the idea of a public health government is being aired. Without forgetting a first side effect that is not at all unwelcome: whoever sings out of tune can only be a defeatist who deserves to be lynched for high treason.
As has already been mentioned, we do not know whether this emergency is the result of a premeditated strategic project or of a run to the shelter after a mistake has been made. We do know, however, that – in addition to flattening any resistance to Big Pharma’s domination of our lives – it will serve to spread and consolidate voluntary servitude, to make obedience internalized, to get us used to accepting what is unacceptable. What could be better for a government that has long since lost all semblance of credibility, and by extension for a civilization that is clearly rotting? The bet made by the Italian government is huge: to establish a red zone of 300,000 square kilometres as an answer to nothing. Can a population of 60 million people snap to attention and throw themselves at the feet of those who promise to save them from a non-existent threat, like a Pavlov dog drooling at the simple sound of a bell? This is a social experiment whose interest in the results transcends Italian borders. The end of natural resources, the effects of environmental degradation and constant overcrowding are announcing everywhere the unleashing of conflicts, whose prevention and management by power will require draconian measures. This is what some have already called “ecofascism”, whose first measures will not be very different from those taken today by the Italian government (which in fact would be the delight of any police state). Italy is the right catalytic country and a virus is the perfect transversal pretext to test such procedures on a large scale.
So far the results seem to be exciting for soul engineers. With very few exceptions, everyone is willing to give up all freedom and dignity in exchange for the illusion of salvation. If the favourable wind should change direction, they can always announce that the dangerous virus has been eradicated to prevent the boomerang effect. For the time being, it has been the inmates killed or massacred during the riots that broke out in about thirty prisons after the visiting hours were suspended. But obviously it was not an embarrassing “Mexican butcher’s shop”, but a commendable Italian pest control. The fact that the emergency offers those in authority the possibility of publicly adopting behaviour that until yesterday was kept hidden can also be seen in the small facts of the news: in Monza a 78 year old woman, who visited the polyclinic because she was suffering from fever, coughing and breathing difficulties, was subjected to coerced treatment (Trattamento Sanitario Obbligatoria) after having refused to be hospitalized on suspicion of coronavirus. Since TSO (established in 1978 by the famous law 180) can only be applied to so-called psychically ill people, that forced hospitalization was an “abuse of power” (as beautiful democratic souls like to say). One of many committed daily, only in this case it was not necessary to minimize or conceal it, and it was made public without the slightest criticism. A similar approach was taken in the case of seven foreigners guilty of… playing cards in a park. It is the least that could happen to contrarian individuals without any “sense of responsibility”.
Yes, responsibility. That’s a word on everyone’s lips today. You have to be responsible, a reminder that is constantly repeated and that translated by the new speak of power means only one thing: you have to obey directives. Yet it is not difficult to understand that it is precisely by obeying that one avoids all responsibility. Responsibility has to do with conscience, the happy encounter between sensitivity and intelligence. Wearing a mask or being locked up at home just because a government official dictated it does not indicate active responsibility, but passive obedience. It is not the result of intelligence and sensibility, but of credulousness and dabbleness seasoned with a good dose of cowardice. An act of responsibility should arise from the heart and head of each individual, not be ordered from above and imposed under threat of punishment. But, as is easy to guess, if there is one thing that power fears more than any other, it is precisely consciousness. Because it is from the conscience that protest and revolt is born. And it is precisely in order to blunt every conscience that we are bombarded 24 hours a day by the most futile television programs, on-screen entertainment, radio chatter, telephone chirping… a mammoth enterprise of social formatting whose purpose is the production of mass idiocy.
Now, if one considered the reasons for declaring the state of emergency with a minimum of sensitivity and intelligence, what would come of it? That an unacceptable state of emergency has been declared for inappropriate reasons by an unreliable government. Can a state which ignores the 83,000 victims caused each year by a market in which it has a monopoly position, and which leaves it a net profit of 7.5 billion Euro be credible when it claims to establish a red zone throughout the country to stem the spread of a virus that, according to many of the virologists, will help to cause the deaths of a few hundred people, who are already ill, perhaps even killing some of them directly? Perhaps in order to prevent 80,000 people from dying from air pollution every year, have you ever thought of blocking factories, power stations and cars throughout the country? And is it this same state that has closed more than 150 hospitals in the last ten years that is now calling for more responsibility?
As for the materiality of the facts we may doubt whether we really want to face them. Certainly not the sinister imbeciles, who in view of the massacre carried out in every sphere by this society, are only capable of cheering for the revenge of the good welfare state (with its public health and its great useful works) on the bad liberal state (stingy with the poor and generous with the rich, completely unprepared and close to facing a new “crisis”). And even less so do the good citizens ready to remain without freedom in order to have crumbs of security.
Because facing the materiality of the facts means also and above all to consider what you want to do with your body and your life. It also means accepting that death puts an end to life, even because of a pandemic. It also means respecting death, and not thinking that you can avoid it by relying on medicine. We’re all going to die, all of us. It’s the human condition: we suffer, we get sick, we die. Sometimes with little, sometimes with a lot of pain. The mad medicalisation, with its delusional purpose of defeating death, does nothing but root the idea that life must be preserved, not lived. It’s not the same thing.
If health – as the WHO has been claiming since 1948 – is not simply the absence of disease, but full physical, mental and social well-being, it is clear that the whole of humanity is chronically ill. And certainly not because of a virus. How should this total well-being be achieved? With a vaccine and antibiotic to be taken in an aseptic environment? Or with a life lived in freedom and autonomy? If hospitals so easily pass off the “presence of vital parameters” as a “form of life”, is it not because they have forgotten the difference between life and survival?
The lion, the so-called king of animals, symbol of strength and beauty, lives on average 10-12 years in the savannah. When it is in a safe zoo its lifespan can double. Locked in a cage he is less beautiful, less strong – he is sad and obese. They have taken away his risk of freedom to give him security. But in this way he no longer lives, he can at most survive. The human being is the only animal who prefers to spend his days in captivity rather than in the wild. It does not need a hunter to point a rifle at him, it is voluntarily behind bars. Surrounded and dazed by technological prostheses, it no longer even knows what nature is. And it is happy, even proud of the superiority of its intelligence. Having learned to do the math, it knows that eight days as a human being is more than one as a lion. Its vital parameters are present, especially the one considered fundamental by our society: the consumption of goods.
There is something paradoxical in the fact that the inhabitants of our titanic civilization, so passionate about superlatives, are trembling confronted with one of the smallest living micro-organisms. How dare a few millionths of an inch of genetic material jeopardize our peaceful existence? It’s nature. Considering what we’ve done to it, it would also be right to wipe us out. And all the vaccines, intensive care, hospitals in the world, they can never do anything about it. Instead of pretending to tame her, we should (re)learn to live with nature. In wild societies, without relationships based on power, not in civilized states.
But this would require a “change in behaviour” not very welcome to those who govern us, to those who want to govern us, to those who want to be governed.
[12/3/20]