Dietro l’angolo Pt.2 – Qualche ipotesi su covid 19 e sul mondo in cui vivremo

La retorica di un crescente benessere che il capitalismo avrebbe pian piano assicurato un po’ a tutti, è ormai morta e sepolta da tempo.
L’immagine con cui le autorità hanno tentato di rappresentare il mondo riservato alla gran parte degli uomini e delle donne, è diventata più simile a una scala a pioli, cui bisogna tentar di restare aggrappati con le unghie e coi denti, per evitare di cadere giù ai tanti scossoni che le vengono dati.
Una scala cui continuano a togliere punti d’appoggio, mentre aumenta il numero di uomini e donne in cerca di un appiglio. La prepotente entrata in scena del Covid19 minaccia di renderla ancor più carica e traballante.
Tenteremo di approfondire la questione in un testo che uscirà a puntate, una a settimana, in cui se ne affronteranno di volta in volta alcuni specifici aspetti. Un testo redatto a più mani, da alcuni compagni che partecipano alla redazione di questo blog e da altri che invece non ne fanno parte. I singoli capitoletti potranno quindi avere uno stile e magari dei punti di vista diversi o contenere delle ripetizioni.
Del resto le possibilità di confrontarsi collettivamente in questi giorni sono notevolmente ridotte e discutere attraverso piattaforme online non è certo la stessa cosa che farlo vis a vis.

Cablaggi di Stato

Nella crisi sociale attuale la domanda che maggiormente sembra assediare milioni di individui asserragliati è quella su cosa accadrà dopo che la fase più acuta di emergenza sanitaria sarà finita. Il talismano naïf dell’andrà tutto bene non convinceva neppure all’inizio del domiciliamento, figurarsi dopo settimane in cui alla vecchia e nota miseria si sono aggiunte in un sol colpo le esistenze precarie di coloro che non hanno risparmi e le incertezze sul futuro dei “garantiti”, certamente ammaccati da anni di stagnazione ma finora mai privati del fine settimana in centro e delle ferie.

Un pensiero insidioso si è palesato sin da subito: l’affaire coronavirus non prevede un ritorno alla ‘normalità’ che lo ha preceduto. Se questa constatazione ormai radicata non può che essere foriera di una serie di inquietudini comprensibili e umane, non fosse altro per i piccoli sprazzi di bellezza che ciascuno tratteneva nella propria mesta quotidianità o per le rodate tattiche di sopravvivenza, i sovversivi non possono che tentare di vedere delle possibilità nella breccia inferta al Moloch che fino qualche mese fa sembrava non poter essere scalfito. Del resto la consapevolezza che la normalità pre-pandemia sia stata il problema primario non è più appannaggio di sparuti gruppi di sognatori.

Per far sì che non ci si fermi alle consapevolezze sarà però necessario fare i conti con la velocità con cui lo Stato potrebbe riorganizzare la sua riproduzione o di alcune sue propaggini “strategiche”, adattarsi ai nuovi scenari e affinare i propri strumenti. In questo senso, per rispondere alla domanda su cosa avverrà dopo, già si sono tenute numerose tavole rotonde tra governo e amministrazioni locali per la concessione di poteri extra-ordinari e la ridiscussione degli ambiti politici. Contrattazioni politiche, negoziazioni e redistribuzioni di potere, elementi complessi già da tempo sul piatto del federalismo fiscale, ora assumono la dimensione di vera e propria frizione tra alcuni presidenti di regione e il governo centrale. In una disputa su chi applica misure maggiormente adeguate, molti amministratori locali hanno imposto per il contenimento del virus più restrizioni o persino dettami diversi rispetto a quelli dei decreti-Conte, basti pensare alle zone rosse comunali o sistemi di lockdown più ferrei in alcuni territori. Se questo modus operandi si presenta a un primo livello come mossa di governance necessaria nell’emergenza che ha coinvolto in misura differenziata il paese, non si può pensare che non avrà ripercussioni politiche durature e di vasto campo. La richiesta di “pieni poteri” fatta dal piemontese Alberto Cirio, esautorata in lungo e in largo come un’esagerazione, è sicuramente più di un’esternazione mal riuscita. La forte rilocalizzazione politica avvenuta negli ultimi anni, specie per quanto riguarda le principali città, è stata già normata dagli ultimi decreti legge sulla sicurezza. Al ruolo dei sindaci-sceriffo o ai poteri aggiuntivi dati ai prefetti potrebbero presto aggiungersi quelli alle Regioni per far fronte alle varie “calamità naturali”. Poteri che, come ci insegna questo virus, saranno sempre meno basati sulla prevenzione generale per volgersi verso il governo del rischio. In un mondo di incertezza fisica ed economica, il contenimento e lo spostamento straordinario di masse umane per ragioni non più presentate come politiche e con cause rintracciabili, ma di forza maggiore e con un certo fatalismo (malattie, terremoti, crolli, valanghe, innalzamento dei mari), potrebbero entrare come strumento indispensabile nella cassetta degli attrezzi degli amministratori dei territori considerati particolarmente a rischio.

La ridefinizione degli ambiti di governo si inserisce in ristrutturazioni di altro livello in nuce già da tempo. I cambiamenti nel campo della cittadinanza e missione etica dello Stato non tarderanno a evidenziarsi infatti come il più grande sconvolgimento sul lungo periodo e la definitiva fine della modernità.

Negli ultimi anni abbiamo già intravisto un riposizionamento dei confini dell’universalità della tutela dello Stato rispetto a qualche decennio fa. Sappiamo bene come l’accessibilità ai diritti ha sempre risposto a criteri immanenti al ruolo che gli individui svolgono nella valorizzazione del capitale e all’esigenza che ne consegue di interiorizzazione di un sistema di norme basato sulla dicotomia inclusione/esclusione, tuttavia non si può negare come in buona parte del‘900 lo stato sociale sia stato una coperta ampia. Da lì tutta la retorica sull’universalità del diritto al benessere e alle pari opportunità di riuscita sociale garantite da uno Stato finalmente nel suo ruolo di padre di famiglia. Retorica questa che nello stesso momento in cui veniva sbandierata dalla sinistra, era già in procinto di essere spaccata pezzo a pezzo attraverso riforme, riformine e riformette.

L’apoteosi di questa sottrazione inesorabile si è avuta nel passato recente quando i vari diritti raccontati come conquiste si sono trasformati in ambiti di sempre maggior esclusività il cui ingresso, che sia in un’università, in una clinica o in una casa di proprietà, non è che la soglia che divide i cittadini che contano qualcosa, perché profittevoli o particolarmente devoti, dalle masse di individui che accedono ai servizi di welfare ormai solo occasionalmente. L’esempio più lampante è giustappunto quello della sanità pubblica, in cui la possibilità di riuscire a prenotare visite specialistiche è così ridotta da costringere le persone a utilizzare, in caso di aggravamento, i servizi d’emergenza del pronto soccorso.

Questo dimostra che lo Stato nelle sue compagini non è un risultato definitivo, come l’immaginario da fine della storia ha imposto a lungo, ma un continuo scontro di forze reali di cui la democrazia liberale degli ultimi quarant’anni è solo un risultato che ha incluso anche il contentino modestamente generoso dato ai vinti dell’assalto al cielo. Generoso proporzionalmente al rischio sventato di un sovvertimento generale. Non ci porterebbe molto lontano farci cullare dalla retorica dei diritti sociali negati. Non è che una preghiera lamentosa recitata a un dio che ha concesso la manna dal cielo solo quando il rapporto di forza strappato coi denti dagli sfruttati rischiava di mordergli anche il culo. Non essendosi riproposto per decenni quel pericolo alle calcagna, sventato lo scontro sovversivo, lo Stato ha semplicemente riposizionato le sue risorse tra le componenti padronali che gli esercitano maggior pressione, lasciando echeggiare nell’aria solo un piagnisteo socialdemocratico che implora per un diritto ormai solo nominale.

Le difficoltà crescenti nel mondo degli esclusi e di coloro che si trovano nella zona grigia del rischio di povertà non sono tuttavia per le istituzioni un problema di poco conto. La realtà materiale della società è ciò a cui guarda l’ordine prettamente repressivo attraverso la sfera penale. Il nemico per lo Stato ha acquisito nella confusione sociale e nell’indeterminatezza economica del nuovo millennio dei tratti meno identificabili, non più solo quelli del sovversivo, dello sfaccendato o del vagabondo. La ricerca dello sfuggente fattore criminogeno, lungi dall’essere una procedura speciale di polizia, è la stessa che blinda con checkpoint gli eventi urbani, controlla scrupolosamente ogni angolo con la videosorveglianza, presidia permanentemente determinate zone con forze di polizia: è la società stessa ad apparire come pericolosa perché per di più composta da individui non più normati da un lavoro stabile, da una fede partitica o dalla morale del vangelo, non più accompagnati con attenzione da strutture socio-sanitarie o dagli altri sistemi di welfare che ne consentivano la riproduzione in quanto lavoratori e il ricatto in quanto esistenze senza più autonomia.

I sistemi forti di welfare sono quelli che in passato hanno avuto il ruolo di accompagnamento più significativo alla sicurezza sociale, come controllo ramificato della popolazione che agiva ben prima della galera. Lavorare per pagare mutuo e macchina, la certezza di cure serie e costanti, il sogno dell’ascensore sociale per la prole e di una vecchiaia retribuita sono parti di un percorso preciso e ordinato che più generazioni hanno attraversato.

A questo paradigma preciso si è contrapposto quello delle ultime generazioni, non più irregimentate da una promessa di vita stabile e senza mappa per il futuro. L’indeterminatezza sociale è del resto ciò che ha alimentato negli ultimi anni il crescente ruolo della polizia e le legislazioni sulla sicurezza, atte a proteggere dal pericolo rappresentato dagli impoveriti e dagli sfiniti le zone ritenute strategiche per l’economia e per il suo ambiente (centri città, dipartimenti infrastrutturali o industriali, quartieri dei ricchi, parchi naturali protetti).

Da tutto ciò si evince che lo spazio di cittadinanza in cui è piombato il Covid-19 era nella sua sostanza già notevolmente riconfigurato. L’epidemia sembra imponga un momentaneo cortocircuito, e ciò che pare importi generalmente a tutti è la sua fine. Se in questo momento lo Stato si propone nuovamente come il soggetto impegnato a fronteggiare una minaccia universale, si può immaginare che fra poco potrà apparire come colui che ha fatto il necessario o, ancora peggio, l’inevitabile.

Come scrivevamo il cosiddetto governo del rischio, con il suo portato di fatalismo e il suo giustificarsi attraverso forze di causa maggiore, riammanta la legittimità statuale dei suoi significati più antichi per quanto riconfigurati.

E gli esempi ungheresi e sloveni sbiadirebbero, nella loro piccolezza, di fronte ad uno Stato che esercita i suoi poteri non più camuffato dietro il consenso o la rappresentanza democratica ma nuovamente votato alla missione etica della sopravvivenza.

In quest’ottica l’ordine sovrano, in linea con la tendenza degli ultimi anni, si potrebbe applicare come il riconoscimento di cittadini ai soli occupati, per tracciare una linea di inimicizia formalizzata, militare, spaziale e di controllo per tutti gli altri.

Per chi ancora si ricorda dell’assalto al cielo sarebbe la conferma di un fronte di guerra che prima sembrava più rarefatto e che ora si farà più netto e preciso.

Se vi siete persi la prima puntata di Dietro l’angolo potete leggerla cliccando sotto.

Tra salti e accellerazioni. A mo’ d’introduzione.

Dietro l’angolo Pt.2 – Cablaggi di Stato

Roma – Rivolta nel CAS

Nel pomeriggio del 14 aprile nel CAS di Torre Maura sono state date alle fiamme lenzuola e mobili, l’incendio pare essere partito dal terzo piano. Nei giorni passati all’interno del centro sono stati refertati 4 casi di positività al covid19 e tutte le persone presenti nella struttura erano state rinchiuse. Pare però che da settimane venivano chiesti i tamponi per i cosidetti “ospiti”. Per questo c’erano stati dei tentativi di fuga, oltre ad attacchi alla struttura da parte dei fasci. Così da giorni alcuni mezzi della polizia presidiavano l’ingresso ed era stata anche alzata la recinzione.
Già il 7 aprile alcuni solerti cittadini avevano dato l’allarme perché si erano accorti che alcuni “ospiti” stavano scavalcando le mura del CAS.
Il centro era già noto perchè l’anno scorso un gruppo di fascisti aveva cacciato con violenza 70 persone rom.
Le 70 persone, 22 donne di cui 3 incinte, 15 uomini e 33 bambini bollati  come particolarmente fragili dal comune, provenivano da altre strutture o campi informali.
Nel 2018 alcunx di loro erano statx sgomberatx dal camping River, che ricorderemo con una breve testimonianza:
“Questa mattina sono venuti per buttarci fuori, ci hanno trattato come animali. C’è stata violenza, hanno spinto le donne e usato lo spray al peperoncino su una signora. Qualcuno è uscito volontariamente, qualcuno è svenuto” per la maggior parte anche quella volta lasciatx senza soluzioni alternative.
Pare che via Codirossoni (l’attuale CAS) fosse la soluzione trovata allo sgombero dalla ex cartiera di via salaria, che dopo una beguccia burocratica è divenuta un fruttuso affare chiamato  URBAN VALUE by Ninetynine, la società che dal 2009 si è specializzata nella realizzazione di progetti di rigenerazione e di immobili in disuso o abbandonati in particolar modo in collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti, uno dei più ricchi proprietari immobiliari d’Italia. La società ha dato vita anche ad altre speculazioni sempre a Roma, come PratiBus District e Ragusa Off, negli ex depositi ATAC. Questo dopo che una deportazione di massa aveva diviso gli abitanti spargendoli per i centri di tutta la città ed interland; per alcunx la soluzione trovata è stata dividere le famiglie mandando madri e figlx in dormitori e padri per strada, “soluzione” che alcunx avevano degnamente rifiutato.
Le deportatx a Torremaura dopo alcuni giorni di scarsità di cibo, minacce, insulti ed attacchi alla struttura erano stati ricollocati ancora una volta in luoghi disparati, tra i quali quello di via della Primavera, gestito da Medihospes.
Come avranno vissuto lì?
Prendiamo un esempio: In una stanza di 12 metri quadri con un bagno inutilizzabile e muffa dappertutto. A fianco un’altra stanza simile utilizzata per mettere vestiti e valigie visto che le camere non dispongono di arredo, se non un lettone e un letto singolo dove passano le giornate lui, sua moglie – con un’invalidità certificata al 100% – sua suocera, anche lei con gravi problemi di salute, e  tre bambini. Fino a che un bel giorno arriva una lettera, che dice che il 7 aprile scade tutto, e quindi, in piena pandemia, dove finoranno le persone lì ospitate? Per strada!
Al buon cuore di qualche mediatore e cittadino altruista, una infinita sequela di burocrazia domande e ipocrisia, alcunx di loro son finite in un rifugio della croce rossa.
Deporatati qua e là senza la possibilità di costruirsi una vita per più di qualche anno. Spostati come numeri sui bilanci di associazioni e coperative che ricevono fondi stanziati “per loro”, soldi che loro non vedranno mai. Soldi che lx rendono risorse, merci si potrebbe dire.
E poi ci si chiede come mai la gente non ha più paura ne di un virus ne del fuoco…

AGRO-CRUST X : info III (April 2020)

Hi comrades & friends!
We are in mid-April, deadline for confirmations for the Agro-Crust X…
The situation caused by global capital does not will stop us from fighting
for their ultimate downfall but it complicates the organization of the d.i.y.
meeting/festival in the sense that many people bands etc. do not know
whether they will be able to participate, whether the borders will closed etc.
Already many bands had to cancel or postpone their tours and the reaction
of the movement has not been coherent either but of wait “see what happens.”
Even, and this hurts quite a bit, it’s been the firsts who have suspended
planned activities, have paid attention to the orders of the state and are quiet
and confined to their homes.

Therefore we would like to propose a change of dates for the
Agro-Crust X; the new dates are: 9 to 12 JULY 2020.

The bands that had already confirmed their participation should assess
if they can come to play on those new dates. We put a new deadline to
confirm that it will be next May 15th.
Also we ask the entire libertarian/anarchist world for their support in
realizing this edition of the Agro-Crust, i.e. distributors, collectives and/or
prisoners support groups that can be organized to give speachs,
workshops etc. who should contact us a.s.a.p. to work out the details.

Let’s hope that this decision is understood as the only possible solution
right now. We’re conspiring for the place where we can to set up the
Agro-Crust this year… We need your support to get ready to preparate/
mount the event, especially the first week of July.

A big hug!
He(A)llth & Anarchy

Contacts: agrocrust@autistici.org
liberacionomuerte@yahoo.com

AGRO-CRUST X : info III (Abril 2020)

Aupa compas & amigxs!
Estamos a mediados de Abril, fecha limite para las confirmaciones
para el Agro-Crust X… La situación provocada por el capital global no
nos frenará de seguir luchando para su caída definitiva pero complica la
organización del encuentro/festival d.i.y. en el sentido que mucha gente,
bandas etc. no saben si podrán participar, si las fronteras seguirán
cerradas etc. Ya muchas bandas tuvieron que cancelar o posponer sus
giras y la reacción del movimiento tampoco ha sido coherente sino de
esperar “a ver que pasa”. Incluso, y esto duele bastante, han sido lxs
primerxs que han suspendido actividades planeadas, han hecho caso
a las ordenes del estado e están calladxs y confinadxs en sus kasas.

A consecuencia queremos proponer un cambio de fechas para el
Agro-Crust X; las nuevas datas son: del 9 al 12 de JULIO 2020.

Las bandas que ya habían confirmado su participación deberían valorar
si podrán venir a tokar en aquellas nuevas fechas. Ponemos una nueva
fecha limite para confirmarlo que será el próximo 15 de Mayo.
También pedimos a todo el mundo libertario/anarquista su apoyo para la
realización de esta edición del Agro-Crust, o sea distribuidoras, kolektivos
y/o grupos de apoyo a presxs que podrán organizarse para dar charlas,
talleres etc. que se ponen en contacto con nosotrxs cuando antes para
concretar los detalles.

Esperemos que se entiende esta decisión como única solución posible
en estos momentos. Estamos conspirando para el lugar donde podemos
montar el Agro-Crust este año… Necesitamos vuestro apoyo para prepa-
rar/montar, especialmente en la primera semana de Julio.

Un abrazo fuerte!
Salud & Anarquía

Contactos: agrocrust@autistici.org
liberacionomuerte@yahoo.com

Ein Aufruf aus Italien fur 25.04.2020

Italien, 3. April 2020.

Seit einigen Wochen sind fast drei Milliarden Menschen in einen Hausarrest gezwungen worden. In Italien, wie auch in anderen Teilen der Welt, wurden die ersten Menschen, die sich gegen die Verschlechterung ihrer Lebensbedingungen aufgelehnt haben, die Menschen im Gefängnis, brutal unterdrückt, wobei es Tote und Verletzte gab.

Während die Wissenschaft widersprüchliche Hypothesen aufstellt, behauptet ein Teil der Wissenschaftsgemeinde, dass die Quarantäne-Zeit, wenn auch in wechselnden Phasen, mindestens bis zum nächsten Jahr andauern wird. Der Staat hat jedoch bereits entschieden, welche Wahrheit bekannt gemacht werden soll, um die getroffenen Maßnahmen zu rechtfertigen. Die erzwungene Isolation zu Hause wird verlängert, der einzige Vorschlag, der der Bevölkerung gemacht wird, ist, zu gehorchen und durch Überwachung und Selbstüberwachung abzuwarten… aber wie lange?

Vorläufig wurde das Ende der Maßnahmen auf den 13. April vertagt, aber es wird höchstwahrscheinlich weitere Verlängerungen geben…

Der 25. April ist der Tag der Befreiung. Befreiung nicht nur vom Faschismus, sondern von allen Formen der Unterdrückung.

Die Unterdrückung des Lebens in einer Welt, in der alle Bewegungen ständig kontrolliert und überwacht werden, mit Kontrollpunkten, allgegenwärtigen Soldaten, Drohnen, Kameras, elektronischen Fußfesseln. Die Repression, die man individuell als Salbung der Kranken verkauft, wenn jemand das Gesetz nicht respektiert und denkt, dass Sozialität und die Möglichkeit des Ausstiegs nicht Verhandlungsmasse sind im Austausch für die Sicherheit des Überlebens.

Die Unterdrückung des Lebens in Angst vor dem Unsichtbaren, denn das Problem ist nicht das Virus, sondern die ökologischen und sozialen Bedingungen, unter denen es sich ausbreitet.

Das Problem ist der Klimawandel, der die natürlichen Zyklen verändert, es ist die Überbevölkerung der Städte, es ist die Standardisierung von Nahrung und Immunreaktionen, es ist die Geschwindigkeit der Mobilität auf der gesamten Erdoberfläche. Man sagte uns, dass wir diese Probleme akzeptieren und unseren Gehorsam gegen eine gewisse Sicherheit eintauschen müssten.

Diese Gewissheiten haben versagt…

Dieser Virus ist nach der Wirtschafts- und Umweltkatastrophe die letzte – bis heute – auferlegte Katastrophe einer Gesellschaft, die auf Beherrschung, quantitativer Anhäufung und Ausbeutung des Planeten, der Tiere, der Menschen und anderer beruht.

Aus diesem Grund schlagen wir – in der Hoffnung, die Ereignisse zu überwinden – vor, dass wir am 25. April an möglichst vielen Orten auf die Straße zurückkehren, um uns erneut zu treffen, uns der Angst zu stellen, gegen die weit verbreitete Überwachung zu kämpfen und die unverantwortliche Rhetorik anzugreifen, die uns alle als ansteckend ansieht. Mit der Intention, dass es kein isolierter Tag sein wird, wollen wir aus der Quarantäne entkommen, indem wir die Konsequenzen unserer Handlungen akzeptieren, unsere Gesichter bedecken, weil wir die freie Wahl haben, uns selbst und andere zu schützen, und auch, weil Dinge mit der Freiheit der Anonymität geschehen könnten, die normalerweise undenkbar wären…

Wenn man passiver Zuschauer der Katastrophe bleibt, indem man die Inhaftierung akzeptiert, wird man das Auftreten neuer Katastrophen nicht verhindern, wenn überhaupt, wird es die Qualen, die wir bereits erleben, noch verlängern. Wir können zuversichtlich bleiben und gehorchen, während die Welt weiterhin ein Ort ist, an dem das Leben zwischen totaler Kontrolle, zerstörter Sozialität und ökologischer Katastrophe verleugnet wird. Oder die Ursachen für diese Katastrophe identifizieren, aufhören zu gehorchen und handeln, um zu verhindern, dass die Dystopie weitergeht.

Und um endlich die Möglichkeit der Befreiung zu erfahren…

Ein überfälliger Ausbruchsversuch

Der Wahnsinn hat die Welt in Besitz genommen. Nun könnte man einwenden, dies sei keine Angelegenheit der Postmoderne, vielleicht erlebe man auch nur die Wiederkehr des Lykurgos, der für seine Untaten wahlweise dem Wahn verfiel und seinen eigenen Sohn und all seine Familie, ja seine ganzen Freundeskreis umbrachte, um sich dann selber zu richten, oder, da gehen die Überlieferungen auseinander, anschließend von den empörten Menschen gefangen genommen und dann gevierteilt worden sei. So oder der so, der Wahn greift um sich, greift nach den dir Nächsten, nach denen, an denen noch gestern dein Herz hing oder in die du Hoffnung gesetzt hast.

Neu und evident an dem Wahn, der nun durch die Welt eilt, ist die Geschwindigkeit, mit der er durch die Welt eilt, dabei alle Grenzen überwindend und dabei das Virus, dass ihn in die Welt gesetzt (oder das ihn wieder an die Oberfläche gebracht hat, die Meinungen gehen da auseinander) überflügelnd. Man könnte, nein muss sagen, dass die wirkliche Pandemie der Wahn ist, der von den Menschen Besitz ergriffen hat. Die dünne Tünche der Zivilisation bricht innerhalb weniger Tage zusammen, Direktive und Narrative, die scheinbar Diktatoren und Despoten vorbehalten waren, machen sich in den sogenannten westlichen Demokratien breit. Selektion von Kranken, Überwachung aller Bewegungen unter freiem Himmel, Drohnen stehen über den großen Städten, Lautsprecherwagen fahren durch die menschenleeren Straßen, fordern die Bewohner auf in den Häusern zu bleiben. Wer sich an die frische Luft wagt, soweit das überhaupt noch gestattet ist, blickt in panische Augenpartien, notdürftig verhüllte Gesichter, alle gehen gebückt und gehetzt. Wer jetzt noch aufrecht steht, dem werden sie das auch noch austreiben.

An die frische Luft soll der Mensch ja aber auch noch zum Beispiel in Berlin, in die Arbeit natürlich, aber auch um sich ein wenig zu ertüchtigen oder ein paar Runden im Kreis zu drehen. Genau die Privilegien, die einem in den Knast Geworfenen auch noch verbleiben. Und so dreht man zu zweit seine Runden durch den Knasthof und vergeht vor Rührung, wenn der Senat verkündet, er wolle nicht so sein, man könne sich ruhig in Zukunft ein bisschen auf die Bank setzen. Und alles klatscht und applaudiert dem Großmut der Lenker des Staates und wenn der demnächst sagt, alle sollen jetzt mit einer Maske vor dem Gesicht zum Knastgang erscheinen, die wissenschaftlichen Hypothesen über die Wirksamkeit solcher Maßnahmen hätten sich über Nacht um 180 Grad gedreht (man kennt das ja in der Wissenschaft, eben war die Welt noch eine Scheibe und man hat alle geviertelt, die was anders behauptet haben, aber schwups, sieht die Sache ganz anders aus), dann wird da auch gemacht. Punkt. Und wenn der Staat zu blöde ist, genug von diesen Pfennig Artikeln zu beschaffen oder sich die von den Amis wegschnappen lässt, dann wird halt Zuhause gebastelt was das Zeug hält, vorneweg die Linken, die natürlich ganz vorne dabei waren mit ihren DIY Anleitungen. Kommt ja so oder so aufs selbe raus. Ob man die Dinger nun im Hausarrest selber macht oder eben von den Knackis in den echten, alten Knästen produzieren lässt.

Und wo man es sich endlich so richtig gemütlich gemacht hat in der regressiven Hoffnung, die da oben werden schon für uns alle sorgen und es eigentlich überfällig ist, dass die Feuerzangenbowle in Dauerschleife versendet wird, kommen irgendwelche Störenfriede daher. Behaupten, dass das ganze Zahlenwerk, auf dem ja die Maßnahmen des Ausnahmezustandes begründet seien, rein hypothetischer Natur sein und dass man bestimmte Freiheitsrechte verteidigen müsse. Und zwar besonders, da es noch gar keine ausgemachte Sache sei, dass die ergriffenen Maßnahmen zielführend sein. Präsentieren eigene Hypothesen und Zahlen und haben auch noch die Unverschämtheit darauf hinzuweisen, dass sie selber vom Fach sein, sogar ein gewisses Renommee vorzuweisen hätten.

Aber mit Mutti und dem treuen RKI ist da nicht zu spaßen. Besonders nicht mit dem Robert Koch Institut und dessen Leitung, das hatte noch Anfang März erklärt “die Gefahr für die Gesundheit der Bevölkerung wird in Deutschland aktuell als mäßig eingeschätzt” und weiterhin das Influenzavirus als bedrohlicher eingeschätzt. Aber das mit der 180 Grad Wende hatten wir ja schon oben. Und wenn man sich erstmal um 180 gewendet hat, muss man umso bestimmter auftreten, sonst erinnern sich die Leute vielleicht noch an den Blödsinn, den man davor verzapft hat.

Streng die Stirne in Falten gelegt werden die Bedenkenträger also in die Schranken gewiesen und das gesunde Volksempfinden ruft: “Mörder, Mörder”, so als ob die abtrünnigen Wissenschaftler mit Koffern voller Viren durch die Alters-und Pflegeheime tingeln würden, um die armen wehrlosen Menschen dort zu infizieren. Und vorneweg die Linken und ihre Medien, von taz bis ND, Unterordnung und die Reihen fest geschlossen predigend. Und die Szeneblase mittenmang. Eh alles schon nur noch Alibi und nutzlose Diskursdiskussion, da kann man gleich auf Kurvendiskussion umstellen.

Wie aber nun raus aus dem Schlamassel, und wird es eine Welt nach dem Wahn geben und möchte man in ihr überhaupt noch leben? Die Genossen vom Wu Ming Kollektiv, die ja schon seit etlichen Wochen in völligem Hausarrest festsitzen fragten neulich : “Und was ist mit der nächsten Epidemie, was werden wir tun?” Denn diese wird kommen. Wenn die grundsätzlichen Bedingungen, die diese Pandemie möglich gemacht haben, nicht radikal beseitigt werden. Doch dieser Kampf ist nicht zu führen, wenn wir, die wir resistent gegen den Wahn (geworden, vielleicht waren wir ihm ja auch eins verfallen) sind, uns nicht treffen und organisieren können. Vielleicht wird es dazu nötig sein, zuerst kleine taktische Erfolge zu erzielen. Die Aktionen in den französischen Vorstädten gegen die Ausgangssperre war so ein Beispiel. Einen Konflikt (mit den Bullen) auf kleiner Flamme am köcheln halten, sodass der Gegner entweder die totale Konfrontation sucht (mit der Gefahr, dass sich für ihn die Dinge zuspitzen), oder sich eben teilweise zurückzieht (wie es auf Anweisung von ganz Oben geschehen ist).

Das Vorgehen der Bullen am Kotti gegen die Aktion von 100 Leute am 28.3. hat auch gezeigt, dass sich unser Gegner seiner Sache auch nicht sicher ist, sonst wären sie viel härter vorgegangen. Bisher haben die Bullen und sonstigen Repressionsorgane die Lage gut im Griff, aber auch für sie ist die Überwachung und Kontrolle einer 3 Millionen Stadt im Ausnahmezustand ein völlig neues Szenario. Sie werden immer schauen, wie sich die Stimmung entwickelt und vielleicht auch mal eher als sonst zurückziehen, um im Gegensatz zu sonst eine Eskalation zu vermeiden. Noch regiert der Wahn und die Unterwerfung die Stadt (und natürlich grosse Teile der Welt), aber wenn die Angst nachlässt ( und dies ist ein Naturgesetz einer kollektiven Panikreaktion) werden Spielräume entstehen. Die zahllosen ersten Zusammenstöße in den Ländern des Trikonts künden davon. Vielleicht wird der 1. Mai (erstmalig nach vielen, vielen Jahren) ein Ort sein, um Terrain zu besetzen, sich mit denen zu verbünden, die auch Resilienz gegen den Wahn gebildet haben. Einen Versuch wird es wert ein. Es scheint, dass die erste Schockstarre überwunden ist, sich erste Bezüge finden, die versuchen die Situation zu analysieren und daraus erste Schritte abzuleiten.

In diesem Zusammenhang eine Übersetzung aus Italien, in der dazu aufgerufen wird, den Hausarrest am Gedenktag der Befreiung vom Faschismus, also am 25. April, massenhaft zu brechen

https://plagueandfire.noblogs.org/ein-aufruf-aus-italien-fur-25-04-2020/

Trento (Italy) – Chronicles from the State of emergency 3

6 april 2020

International rent strike

It’s the proposal spreading in several Countries since 1st april (United States, Canada, United Kingdom, Sweden, Chile, Spain…). For example, Gran Canaria tenants union writes in its call that the entire working class and all tenants should support the general strike and the rent strike permanently: «The present situation couldn’t be more alarming, not only about healtcare, but also economically and socially. The measures adopted by the government, who declared the state of emergency as a reaction to Covid-19, it’s clearly anti-workers measures, completely superficial (like the limitation of moratorium on loans) and they don’t give a damn about basic needs: thousands of families living from day to day, who survive thanks to low-paied jobs, people that have been fired illegally, families who lost their income because of isolation; everyone must face the impossibility to pay rent». And he suggests; «The abandoned houses owned by financial and banking society or funds (particularly those saved by public money) must be socialized and rendered available for the thousands of people and families that are today homeless».

Words and barriers

«A tyrant upset our life, and it’s called coronavirus». The hospitals become «trenches», and dead people are carried with military transports. Therefore, a war scenario appears in our mind, with all its symbolic and emotional significance. Because metaphores evoke images, and words evoke ideas. The language is anything but neautral: it shapes opinions, it express relations that extend over time. Words create the world. They act on us and they make us act/behave in a way rather then in another. Treating a disease as if it was a war, make us obedient, mild and, in perspective, intended victims. The choice between the use of this or that word it’s not just a matter of language, but also a political decision. Politicians: you are the promoter of fear and hate against each other. With the virus, you took a further opportunity to outline borders and erect barriers.

Now that we are potentially infected

The containers in Brennero (Italian- Austrian border) prepared by austrian State with aims against migration have been used since some weeks for anti-Corona controls for the ones arriving from Italy. The «extraordinary measures» going on should push us to think about what has been happening to the most vulnerable since forever, to the undocumented, to that part of humanity that’s good for being exploited until necessary and then to be repatriated or left to die. Beyond the privilege we forget to recognise, there are those who sadly know too well an everyday reality made of distances, controls, visa, of «who knows when we’ll be able to meet again». While commodities travel for kilometers and thousands human beings are kept out of european frontiers, maybe, we could notice that borders virus won’t be gone in few weeks.

Beyond borders, about jail struggles

Regarding the rebellions that broke out in jails on 7th march, the newspapers and television hastened to speak about direct actions conducted by «organised crime». (As chance would have it, the same script has been then used to criminalize who tried to go out from supermarkets without paying). Someone spoke instead about an «organized plan» made by a not-better-specified «anarchist hand». It is inconceivable for the State to admitt that they are spontaneous revolts able to communicate quickly between each other, grown in the captivity of torture places, during years of beating-up, endemic overcrowding, repulsive hygienic conditions; because they would have spoken about it differently, and they would have spoken about this more. The fact is that riots are breaking out also in Spain, France, Brazil, USA, Belgium, Venezuela, Iran, Perù, Sri Lanka, Colombia (where, only in Bogotà prison, 23 prisoners are dead)… Now they have to speak about this for sure. Even States like Iran or Turkey have freed 110thousand and 90thousand prisoners respectively. Even Secretary of ONU is requesting the governments to adopt urgent measures against the spreading of contagion in prisons worldwide, where 12,5 millions of people are shut. It’s the prisoners first of all to advise us that the huge state of emergency that keep us imprisoned must bring the occasion to free ourselves and the rest, by seeing beyond our own limits.

Morona-Santiago (Equateur) – Saisir l’occasion de détruire ce qui nous détruit

[L’Équateur est le pays d’Amérique latine le plus touché en proportion par le coronavirus, le symbole médiatique de la semaine ayant été ces cadavres qui jonchent les rues de Guayaquil, capitale économique et ville la plus peuplée du pays. Le confinement a été décrété mi-mars, un couvre-feu instauré (14h-5h), l’armée déployée en force, touchant de plein fouet une population pauvre qui vit de l’économie informelle. Face à une situation sociale explosive, l’Etat multiplie d’ailleurs la distribution de miettes sous forme de bons alimentaires depuis le 1er avril à 950 000 familles, suite à plusieurs débuts d’émeute.
Le signal de la révolte n’est pourtant pas venu de la ville, mais de la zone amazonienne des Shuars, qui ont attaqué l’immense campement minier de San Carlos-Panantza de 40 000 hectares qui dévaste le territoire et contre lequel ils luttent depuis plus d’une décennie. Pendant que l’armée est suroccupée ailleurs (notamment en ville et à la frontière avec le Venezuela pour empêcher d’autres réfugiés d’arriver), c’était vraiment une bonne occasion à saisir pour frapper fort. Morts pour morts, pourquoi ne pas raser au sol ce qui nous empoisonne de façon très visible, pour qu’il n’y ait aucun retour possible à cet avant déjà si mortifère ?]

Équateur : feu au campement minier !
Indymedia Nantes, 13 avril 2020

Dans la nuit du 28 mars, le campement minier de San Carlos-Panantza de l’entreprise ExplorCobres (EXSA) situé dans la province amazonienne de Morona-Santiago a été attaqué avec des armes à feu et de la dynamite. Les gardiens ont été évacués et tout ce qui était à l’intérieur à été détruit (véhicules, équipements, bâtiments). Les médias parlent de vols de matériel de valeur.

Morona-Santiago (Equateur) : saisir l’occasion de détruire ce qui nous détruit

Pour rappel cela fait environ quinze ans que l’extraction minière dans la région rencontre une opposition intransigeante et déterminée par une partie de la population locale appartenant principalement au groupe amérindien Shuar. Plusieurs projets miniers (surtout de cuivre et d’or) se concentrent dans cette région frontalière de la Cordillère du condor, entre le Pérou et l’Équateur, dévastant la forêt et ses habitants avec leurs machines et leurs poisons. En 2006 le campement de San Carlos Panantza avait déjà été délogé et occupé par un groupe de Shuar. La communauté créée à sa place, nommée Nankints, fut délogée 10 ans après par l’armée équatorienne. En novembre 2016, un groupe de Shuar attaque avec des armes à feu et réoccupe le campement (il y a eu un flic tué et plusieurs blessés des deux côtés). Mais cette fois-ci l’occupation ne dure que deux jours suite à l’intervention de l’armée, la proclamation de l’état d’urgence et l’occupation militaire de la région. À cette occasion des familles entières avaient été obligées de se réfugier dans la foret et leurs villages avaient été occupés et pillés par les militaires.

Aujourd’hui avec cette nouvelle action, on voit bien que la lutte n’est pas morte et que des individus déterminés peuvent bloquer l’avancée de ces projets mortifères.

Des solidaires

NB : Pour approfondir, voici le lien de la vidéo « Arriba las lanzas contra las minas » sur les luttes contre les mines dans la Cordillère du Condor des deux côtés de la frontière Pérou-Équateur : https://www.youtube.com/watch?v=u5mbDs3Eqak

https://demesure.noblogs.org/archives/1373

Bruxelles (Belgique) – 100 arrestations pour le week-end anti-keufs

A la suite des émeutes qui ont éclaté dans diverses zones de Bruxelles entre la soirée de vendredi 10 et à l’aube du dimanche 12 avril, il y a eu un total de 100 arrestations, selon les autorités. Ces attaques et incendies qui ont brisé la normalité du confinement sont partis d’un énième contrôle mortelle des flics, vendredi dans la soirée.

Dans la nuit de samedi à dimanche, outre l’attaque groupée d’un commissariat à coups de pierres, « du mobilier urbain a été détruit et cinq voitures de particuliers ont été incendiées », nous dit les médias. Mais à y regarder de plus près, notamment en checkant une vidéo des journaflics, on remarque que parmi ces fameuses « voitures incendiées », l’une d’entre elles est en effet bien particulière. Sur sa carrosserie blanche, on y distingue le logo de l’entreprise Engie, connue pour être notamment un rouage de l’enfermement (en plus d’alimenter en énergie ce monde d’oppression). Puisque la domination a tout intérêt à minimiser ou à dissimuler des incendies qui ciblent un ennemi bien identifié, il ne serait pas étonnant que parmi ces quatre autres (peut-être plus, qui sait?) « voitures de particuliers incendiées », on compte également d’autres ordures similaires, toutes aussi nocives pour nos vies les unes que les autres…

Par ailleurs, on apprend que cette nuit-là, y’avait pas que les flics et les pompiers pour [tenter d’] éteindre les flammes de la révolte dans les rues de Bruxelles…. mais aussi des éducateurs de rue en gilet orange, comme Brahim (cf photo ci-contre), qui discute à la fois avec les flics et les habitants du quartier et dit au micro d’RTL: « nous on est vraiment là pour essayer de calmer la situation, apaiser les coeurs […] ». Il finit son intervention en rappelant l’appel au calme de la famille qui jusqu’à présent n’a pas été suivi d’effet. En plus de cette autre face du maintien de l’ordre, des imams publient des vidéos sur youtube pour dire aux jeunes de rester chez eux et de respecter la police, avec leurs sempiternels refrains en faveur d’une justice divine (« remplacer la justice des Hommes par celle de Dieu »). Comme lors d’émeutes en temps « normal », les pacificateurs – laïques républicains comme religieux – sont de sortie, dans les rues comme sur les écrans…

Concernant l’émeute contre la police de samedi après-midi, il y a eu 65 arrestations (et non pas 57, comme dit précédemment). On ignore le nombre exact de garde à vue (la veille on en annonçait 43). Lors d’une attaque d’un véhicule des flics, une arme avait été dérobé à l’intérieur et elle n’a toujours pas été retrouvée.

On apprend également q’il y a eu une tentative de rassemblement dimanche en début d’après-midi, suite à un appel diffusé sur les réseaux sociaux (comme pour la veille). A cette occasion, une trentaine de personnes de plus ont été arrêtées.

Bruxelles, Belgique : 100 arrestations pour le week-end anti-keufs [+ Quelques notes sur la soirée incendiaire de samedi 11.04]

La pandemia della paura

C’era uno slogan anarchico che mi piaceva particolarmente e che recitava grosso modo così: “Una società che incarcera è essa stessa un carcere”. Questo oggi è più vero che mai e al tempo del Covid-19 si può ben dire che non c’è più alcun dubbio sulla reale natura di tutte quelle strutture della civiltà che oggi si sono dimostrate delle vere e proprie gabbie e dei sistemi oppressivi come la città, lo stato, l’esercito, le tecnologie e la scienza. Nulla si può scindere dall’attuale sistema di dominio, sono tutti tasselli che compongono un unico quadro che oggi si è mostrato in tutta la sua terrificante realtà. Risulta così, ormai evidente, che tutto quello che sta succedendo non è semplicemente un’”emergenza” sanitaria, ma una riorganizzazione in chiave tecnico scientifica delle nostre vite, per costruire quel mondo nuovo che non ha più bisogno di esseri umani, ma di ingranaggi della Megamacchina, un mondo di perfetti ammalati alla continua dipendenza delle droghe
vendute e commercializzate da Big Pharma!

«La piena realizzazione di noi stessi inizia col riconoscere ciò che non siamo»
Laurens Van Der Post

In questi anni l’idea chiara che mi sono fatto è che la civiltà sia un’incubatrice, che la malattia e il deperimento dei nostri corpi siano un sacrificio che dobbiamo compiere sull’altare del progresso e della modernità. Abbiamo imparato, e siamo stati condizionati molto bene in questo, che andare avanti, sognando un futuro migliore, è l’unica cosa che conta, ma nessuno ci ha mai detto che per fare ciò dobbiamo immolare la nostra sanità mentale, la nostra felicità e tutte quelle capacità umane che da sempre ci hanno  contraddistinto come specie e che ci hanno permesso di apprezzare le piccole cose della vita e di essere felici, nonostante tutto.
I Boscimani, che erano una tribù indigena di cacciatori-raccoglitori (parlo al passato perché ciò che di loro è rimasto oggi non fa onore alla storia millenaria di questo popolo), diceva con ostinazione che la verità, il bello e le più grandi risposte della vita andavano ricercate nel piccolo, in ciò che appariva “inutile” o “di poco conto”. Ecco allora come Laurens Van Der Post, ispirato dai tantissimi anni trascorsi con i boscimani, potè scrivere le seguenti parole: «le loro azioni [degli uomini sulla terra] erano come luce delle stelle, si
concretavano al momento in cui erano compiute, ma il loro significato, la luce che consisteva nel loro scopo, la loro essenza, richiedeva anni per affiorare alla coscienza, per non parlare poi di attingere la chiarezza nello spirito umano. Era impossibile vivere, quindi, senza mostrare una grande reverenza nei confronti di ciò che era piccolo. […] Il significato di ciò che è grande poteva inverarsi solo in quanto era significativo nel
piccolo» i .
Ecco allora che oggi, al contrario dei Boscimani che guardavano al piccolo per godere della vita e assaporare la semplicità della loro esistenza, siamo costretti a guardare al nostro passato, ad analizzare ogni piccolo segno, ogni passo fatto, per renderci conto che tutto quello che viviamo oggi non è altro che il prodotto di errori su errori, di devastazioni dopo devastazioni, di pezze messe su ferite che non sono mai riuscite a rimarginarsi, ma che noi abbiamo creduto di poter curare con sempre nuove tecnologie, nuova scienza,
nuove forme di governo non riuscendo a capire, nella nostra cecità, che il problema era un altro, che questi non erano che i sintomi di una malattia molto più profonda e lacerante.

«Un’occhiata alle città tutte identiche che stiamo costruendo dappertutto nel mondo
dovrebbe essere sufficiente a dimostrare che questo genere di progresso è come il
proliferare di una singola cellula a spese di tutte le altre, la cellula che produce il cancro
che poi uccide l’intero corpo».
Laurens Van Der Post

Il passaggio probabilmente cruciale nella nostra storia è rappresentato dallo stanziamento e da tutto quello che questa “scelta” ha comportato in termini di dominio, potere, addomesticamento, controllo, sfruttamento e mercificazione della natura. Indubbiamente, al di là del pensiero con la quale ognuno può valutare se sia stata una scelta secondo lui giusta o meno, è da questo momento che fanno la comparsa gli stati, gli eserciti, il potere e cioè tutte le forme patologiche di dominio, ma non solo. È sempre da questo momento e cioè da quando abbiamo deciso, di ammassarci in città, di vivere a diretto contatto con gli animali addomesticati, di coltivare e disboscare zone sempre più vaste, che sono insorte quelle che oggi chiamiamo malattie!Tutto questo non è sempre esistito e bisogna dirlo e urlarlo a gran voce soprattutto oggi che questa è la causa della prigionia forzata di tutta la specie umana civilizzata, dall’Italia agli Stati Uniti, dalla Corea ad Israele, dalla Spagna al Libano. Indipendentemente dalle cause di quella che oggi viene definito Covid-19, che ieri si chiamava SARS e che domani avrà necessariamente un altro nome per le stesse paure, non cambia ciò che è sotto i nostri occhi e cioè il fatto che è la civiltà, il nostro stile di vita, la causa di tutto ciò.
Jared Diamond sotto questo punto di vista, in “Armi, Acciaio e Malattie”, l’ha spiegato in maniera molto chiara scrivendo che: «i peggiori killer dell’umanità nella nostra storia recente (vaiolo, influenza, tubercolosi, malaria, peste, morbillo e colera) sono sette malattie evolutesi a partire da infezioni animali» ii . Diamond continua poi dicendo: «gli insediamenti agricoli attirarono i roditori, che sono notori veicoli di malattie. Il disboscamento, infine, rende l’habitat ideale per il prosperare della zanzara anofele che porta la malaria. Se la nascita dell’agricoltura fu una festa per i nostri microbi, l’arrivo delle città fu addirittura la manna dal cielo: in città c’erano molti più ospiti potenziali, e in condizioni igieniche ancora peggiori. […] Un altro momento di gloria nella storia dei germi fu l’apertura delle rotte commerciali, che trasformarono i popoli d’Europa, Asia e Nord-Africa in un gigantesco banchetto per microbi» iii .
Che forse tutto questo non possa essere trasposto qui, oggi, per analizzare il “cattivo” virus del Covid-19? Forse che i più grandi focolai non sono le zone più densamente abitate e più inquinate dei paesi colpiti? Forse che il veicolo attraverso il quale tutto ciò ha assunto caratteri planetari non sia dovuto al fatto che la globalizzazione dell’economia è arrivata a colonizzare ogni angolo di questo mondo? È davvero tutta colpa della “natura cattiva” come da sempre dicono?
Quella che viene combattuta (per usare il gergo militare e scientifico che piace tanto ai lor signori) oggi negli ospedali è una battaglia persa. Non si potrà mai risolvere un problema partendo dall’effetto e quello che in questi giorni viene ripetuto ovunque è che “andrà tutto bene” e che “tutto si risolverà per il meglio”, ma perché dovrebbe essere così?
Quello che sta succedendo sembra avere più a che fare con un progetto politico che con un’emergenza sanitaria. Sembra che qui a voler essere estirpata sia l’umanità piuttosto che una malattia che, nata in seno a questa civiltà, non ha fatto altro che approfittare del terreno fertile sul quale si è posata per diffondersi in tutto il globo.

«…mio caro Bernard, penso che abbiate ragione. Il terreno è ben più importante del
microbo. Il terreno è tutto, il microbo è nulla…»
(lettera di L. Pasteur a C. Bernard)

Quando però parliamo delle malattie non dobbiamo dimenticarci che se esse hanno avuto un terreno politico- sociale, che ha reso estremamente facile la diffusione delle epidemie, con le città e i grandi assembramenti urbani, questo però è stato reso possibile anche e soprattutto dall’influenza che l’agricoltura, attraverso il suo percorso di millenni, ha avuto nel rendere la specie umana più debole e di salute cagionevole.
Innanzitutto bisogna ricordare, e qui possiamo citare John Zerzan, che «l’agricoltura rende possibile una divisione del lavoro molto più marcata, fissa le fondamenta materiali della gerarchia sociale e dà inizio alla distruzione dell’ambiente. Sacerdoti, sovrani, corvè, discriminazione sessuale, guerre sono solo alcune delle immediate conseguenze specifiche» iv . Indipendentemente dal fatto che se ne voglia prendere atto o meno,
l’agricoltura (e l’allevamento), come dominio dell’uomo sulla natura, opera un profondo cambiamento non solo in termini di devastazione ambientale, ma agisce anche ad un livello inconscio e psicologico modificando il nostro modo di rapportarci sia con l’ambiente che ci circonda (trasformandolo in una merce dal quale trarre il massimo del profitto) sia influenzando i rapporti con gli altri che da quel momento non saranno più di cooperazione, ma si trasformeranno in rapporti coercitivi di potere e di conflittualità (la proprietà privata, diretta conseguenza dell’agricoltura e dello stanziamento, è emblematica a spiegare ciò).
La grande varietà di cibo, viene ripetuto come un mantra ormai addirittura anche dai medici, è fondamentale per mantenere un corpo in salute. Infatti una cosa è usare integratori, naturali o sintetici, di vitamine come surrogati dei cibi naturali (in questi giorni, ad esempio, i medici hanno scoperto l’acqua calda e viene consigliato di assumere vitamina D sintetica per rafforzare il sistema immunitario, quando basterebbe  invece violare questa stupida quarantena ed esporsi al sole primaverile!), un’altra è attraverso l’alimentazione fornire tutte le sostanze nutritive di cui il nostro corpo necessita.
Parlando così di alimentazione e di “terreni fertili” per lo sviluppo della malattie, bisogna notare che «se gli esseri umani del paleolitico godevano di una dieta estremamente varia, cibandosi di alcune migliaia di specie di piante, la coltivazione ha ridotto drasticamente queste risorse.» v e Zerzan continua, «la fine della vita del raccoglitore-cacciatore determinò un calo di taglia, statura e robustezza dell’apparato scheletrico e favorì il
diffondersi della carie dentale, delle carenze alimentari e di gran parte delle malattie infettive» vi . Se mettiamo quindi insieme queste conoscenze che ci derivano da molte fonti antropologiche e ascoltiamo ciò che ormai da due secoli ci dicono gli Igienisti, e cioè i rappresentanti della corrente dell’Igienismo Naturale, ci possiamo rendere facilmente conto di quanto fondamentalmente non sbagliano affatto quando essi dicono «il
virus è niente, il terreno è tutto».
Sì perché tutto dipende dal terreno bio-chimico sul quale i batteri si poggiano, se una persona è sana infatti, e per sana si intende una persona non stressata, che svolge attività fisica, che prende il sole, non assume droghe e farmaci vari e che si alimenta in maniera naturale e quindi senza cibi industriale e pieni di pesticidi, non si ammalerà. E questo non lo dico io, ma basta guardare alla storia dell’Igienismo che è piena di esempi e
dimostrazioni pratiche al riguardo. Bisogna poi ricordare anche che di batteri noi siamo fatti e che siamo da essi praticamente circondati in ogni momento della nostra vita convivendoci in maniera armoniosa e simbiotica.
Quindi oggi non si nega l’esistenza di persona ammalate e ricoverate negli ospedali, ma si vuole porre l’accento sul fatto che se ci sono così tante persone malate (e il Covid-19 probabilmente è solo l’ultimo dei problemi) è perché il nostro modo di vivere, di alimentarci, e di delegare la nostra salute a specialisti ci ha resi dei malati cronici incapaci di essere padroni delle nostre vite e di decidere della nostra salute.
Sempre citando Jared Diamond: «alla fine ci accorgiamo che solo una dozzina di specie vegetali costituisce più dell’80 per cento del raccolto annuo sulla terra: sono cinque cereali (grano, mais, riso, orzo e sorgo), un legume (la soia), tre tuberi (patata, manioca e patata dolce), due piante zuccherine (la canna e la barbabietola da zucchero) e una pianta da frutto (banana). I cereali forniscono da soli più della metà delle calorie consumate dalla popolazione mondiale».
Possiamo trovare altre conferme di questo degrado costante nella nostra alimentazione, che dagli albori dell’agricoltura ci ha portato fino ad oggi, nei resoconti di, ad esempio, Rooney che ci dice come i popoli preistorici trovavano sostentamento in più di 1500 specie di piante selvatiche; di Wenke che ci parla di come tutte le civiltà si sono basate sulla coltivazione di una o più specie di queste sei piante: grano, orzo, miglio, riso, mais e patata; e infine abbiamo Pyke che, senza tanti giri di parole, ci dice come nel corso dei secoli il numero dei diversi cibi commestibili che venivano e vengono mangiati è costantemente diminuito.
È evidente quindi come l’alimentazione moderna sia non solo costituita da cibi morti, inscatolati, conservati, edulcorati e colorati, ma anche molto poco varia e scarsissima di frutta, verdura, semi e soprattutto cibi selvatici (animali e vegetali) che da un punto di vista alimentare sono, senza ombra di dubbio, molto migliori rispetto ai loro discendenti addomesticati e resi più “appetibili” dopo anni di selezioni. Ci si ingozza poi prevalentemente di cereali e legumi alimenti che il nostro corpo molto spesso digerisce poco e male causando infiammazioni all’apparato digerente, fermentazioni e costipazioni che sono la causa di moltissimi mali odierni.
Non è stata però solo l’alimentazione a subire un processo di degradazione nel passaggio da uno stile di vita essenzialmente nomade di raccolta e caccia ad uno stanziale civilizzato, ma si potrebbe parlare a lungo del notevole calo di attività fisica fondamentale per il corretto funzionamento del nostro organismo, della minore esposizione ai raggi del sole che faticano ad entrare nelle città e ancor di più nelle nostre case, dello stress e
della paura che si sono impadroniti delle nostre vite e infine come non ricordare della degradazione spirituale dovuta ad una vita che impone la prevaricazione come mezzo per rapportarsi all’altro/a. Tutto ciò ha fatto di noi una specie perennemente ammalata, perennemente alla rincorsa di una felicità e di un benessere che non possono essere ottenuti se non attraverso la messa in discussione di tutto ciò che ci circonda. Tant’è vero che è sempre Zerzan che ci dice come «DeVries ha citato un’ampia serie di paragoni che permettono di constatare la superiorità dei raccoglitori e cacciatori in materia di salute, tra cui l’assenza di malattie degenerative e di infermità mentali, nonché la capacità di partorire senza difficoltà e dolore. Ha anche rilevato che tali caratteristiche tendono a deperire in seguito al contatto con la civiltà» vii e, continua Zerzan,«nel complesso, la dieta dei raccoglitori è migliore di quella dei coltivatori, l’inedia è molto rara e lo stato di salute è generalmente migliore, con molte meno malattie croniche» viii .
E proprio oggi, a conferma del fatto che Big Pharma non ha alcun interesse alla nostra salute, i diktat emessi a gran voce dagli altoparlanti del potere invocano la segregazione in casa, l’isolamento, la quarantena, l’astinenza dal sole e dall’aria pulita, il non contatto con gli altri. Ironico o grottesco?
Forse ci sarebbe bisogno di riflessioni maggiormente approfondite su ognuno dei punti sopra citati, ma come non fa a saltare subito all’occhio che in simili condizioni di isolamento e di allontanamento dai nostri bisogni fisiologici naturali e sociali, l’essere umano è perduto? Il contatto umano di un abbraccio, di un bacio o di una carezza, l’incrociare un viso sorridente (invece che coperto da una stupida e inutile mascherina), sono indubbiamente degli antidolorifici naturali che ci permettono, o per lo meno ci permettevano, ancora di vivere nonostante i disastri che attanagliano il nostro tempo. Per troppo tempo è stato sottovalutato questo aspetto, per troppo tempo abbiamo fatto finta di credere che quantità significhi qualità, quando invece i nostri antenati raccoglitori-cacciatori hanno sempre preferito la complicità di pochi individui, l’egualitarismo di
una piccola comunità, ai grandi numeri dei popoli civilizzati, e così oggi ci troviamo a questo disastroso punto, soli e isolati, in balia di chi specula sulla nostra vita e in preda ad una disperazione esistenziale e irrazionale.
Proprio a questo proposito forse basterà ricordare il fatto, narrato molto bene da Van Der Post, in cui i Boscimani del deserto del Kalahari, dopo aver passato tutta la vita dormendo sotto il cielo stellato del deserto e aver vissuto in totale libertà e comunione con gli altri membri della banda, una volta che subivano lo stanziamento forzato in comodi alloggi donati dal governo, essi si lasciavano morire non sopportando le privazioni di quel nuovo stile di vita. Preferivano la morte ad una vita in cattività! Tutto questo è indicativo del processo di addomesticamento e di deprivazione che anche noi ogni giorno subiamo, quando a causa di misure dittatoriali subiamo il confinamento in case che, per quanto siano confortevoli e sfarzose, sono pur sempre prigioni dalle quali non possiamo vedere le stelle, non possiamo toccare il prato e non possiamo stare a diretto contatto con i nostri conoscenti e amici più cari. A riguardo risultano laceranti e forse più chiare, perché arrivano direttamente al cuore, di molte vane parole, la descrizione che Van Der Post fa del suo amico, e guida, Boscimana Dabè: «le regole di comportamento europee che gli erano state imposte […] lo avevano solo reso profondamente triste, e aveva dato ai suoi occhi, quando non era occupato in qualcosa, un’espressione che non riuscivo a sopportare. […] Però, quando fu di nuovo con la sua gente aveva cominciato lentamente a cambiare. […] Il cambiamento si era dapprima manifestato con un aumento di fiducia. […] Poi cominciò a punzecchiarmi un po’, finchè un giorno rise» ix .
Ecco, la domanda da porci è: noi saremo ancora in grado di tornare a ridere dopo tutto questo? Saremo in grado di toglierci quella mascherina dalla bocca, di abbracciare i nostri cari, di non temere di contagiarci facendo l’amore e smetterla di avere paura l’uno dell’altro?
«La verità», recitava una vecchia canzone, «è che vorremmo innamorarci e non ammalarci». Ecco perché penso che l’umanità risulta evidentemente essere ammalata, questo è verissimo, ma non di Covid-19, non di obesità, non di cancro o chissà cos’altro, ma di civiltà, è lì che vanno ricercate le cause dei nostri mali odierni!

«La dimensione umana viene cancellata dai grattacieli, la deprivazione sensoriale si fa più
profonda e gli abitanti sono assaliti dalla monotonia, dal rumore e dalle altre nocività.
Anche il mondo dal cyber-spazio è un ambiente urbano, che accelera il declino radicale
della presenza e del contatto fisico. Lo spazio urbano è il simbolo, in continua progressione (verticale e orizzontale), della sconfitta della natura e della morte della comunità.»
John Zerzan

Si potrebbe citare Kai W. Lee che «alla domanda se fosse immaginabile il passaggio a una città sostenibile: La risposta è no.» x oppure citare James Baldwin che «disse a proposito del ghetto [ma che] può valere pienamente per la città: si migliora soltanto in un modo: radendolo al suolo». Da qualsiasi angolazione la guardiamo, non solo la città ma la civiltà tutta, è un cancro in continua espansione, è un abominio pronto e bisognoso di divorare qualsiasi cosa e che va fermato ad ogni costo.
Sicuramente uno dei pilastri fondanti della civiltà e della nostra società tutta è la paura. La dipendenza che abbiamo instaurato con essa ha scavato dentro di noi mettendo il seme di una paura profonda che coincideesattamente con quella che ha un tossicodipendente di rimanere senza la sua dose giornaliera. Bisogna avere il coraggio di mettere in discussione e affrontare questa paura, ma prima è necessario capire che di quella
sostanza, della civiltà, possiamo fare benissimo a meno come d’altronde la nostra storia ce lo ricorda bene.
Oggi risulta ancora più evidente il fatto che tutto è stato plasmato per fare in modo che questo terrore si impadronisse delle persone, perché fossero portate a stare in casa di fronte ai propri dispositivi tecnologici in attesa della loro dose giornaliera di notizie che deve essere somministrata da parte del governo e dai suoi lacchè.
Oggi questi lacchè hanno il camice bianco, parlano un linguaggio forbito e sono sui libri paga di Big Pharma e per questo pensano di potersi arrogare il diritto di dire a tutti come ci si deve comportare e cosa si può o non si può fare.
Con pochi decreti questi signori, che ora sappiamo essersi uniti nel “Patto trasversale per la Scienza” (che si descrive in maniera abbastanza buffa e emblematica come: “uno strumento di progresso e di civiltà nelle mani dei cittadini”), hanno imposto misure da stato di polizia, hanno limitato ogni libertà, stanno condizionando la nostra esistenza e, dalle ultime notizie di denunce ai dissidenti, vuole farsi portavoce dell’unica verità assoluta che può essere divulgata e guai a chi la contesta. La nuova caccia alle streghe è iniziata e di questo passo i vaccini obbligatori a 7,5 miliardi di persone sarà solo un ovvio e logico step
successivo per questa “razionale” e “scientifica” dittatura!
Le comunità, non è più un segreto, non esistono più, i grandi agglomerati urbani le hanno da tempo fatte a pezzi. Nessuno conosce più nessuno, tutti si guardano con non-curanza e indifferenza, ognuno prova repulsione al contatto con un altro essere umano e tutti provano orrore e paura al solo pensiero di uno starnuto che possa infettarli…è ovvio che quindi sotto questo punto di vista questa “emergenza” ci ha solo reso (o forse ce lo sta solo palesando) più soli, più vulnerabili, più estranei alla realtà fuori dalla nostra porta
e maggiormente pronti a rivalutare entusiasticamente la vita online, la vita sui social-network, insomma quella non-vita alla quale purtroppo sempre più persone fanno affidamento e sulla quale puntano tutte le proprie aspettative di rivalsa.
È vero, la gente non ne può più di stare in casa, non servono a nulla le minacce di carcere o di multe salatissime a fermare i “furbetti” (!) che hanno bisogno di stare all’aria aperta, ma penso che non si possa non constatare che questo alla fine dei conti non sia un valido motivo per non guardare in faccia la realtà e non esserne turbati. In fondo quanti alla fine di tutto ciò non tireranno un sospiro di sollievo e diranno “meno male che c’era la tecnologia”? Eccola la trappola, la nostra amata civiltà non è in grado di sorreggersi senza
tutta questa tecnologia e ci vuole far credere che invece siamo noi essere umani a non poterne fare a meno.
Come sempre, la storia tragicamente si ripete e i problemi tecnologici ancora una volta vorrebbero essere superati con nuova tecnologia, i problemi scientifici con nuova scienza e i problemi di malattie con nuove medicine e veleni che causeranno nuove malattie…in un loop infinito che ci porta dritti verso la morte!
La tecnologia non ci ha salvato, essa ha salvato l’economia da una crisi ancora più profonda, ha salvato i governi che tramite tutta questa tecnologia hanno potuto indirizzare l’opinione pubblica, controllarla e punirla (più o meno) efficacemente (siamo arrivati, per adesso, a 190mila denunce per aver violato i domiciliari); ancora una volta dobbiamo smetterla di pensare che il problema sia il Covid-19, perché qui in ballo c’è molto di più.
Tutto questo credo che rappresenterà ovviamente un momento che farà da spartiacque nella storia, perché probabilmente sarà da questa “emergenza” che la quarta rivoluzione industriale (quella dell’automazione, della robotica, delle scienze convergenti e del transumanesimo) e i suoi sostenitori trarranno nuova linfa, ed è chiaro che qui si deciderà il destino della specie umana.
Ovviamente i piccoli o grandi passi fatti negli ultimi anni nella direzione della riproduzione artificiale dell’umano, della clonazione, delle bio e nanotecnologie erano già un importante incipit, ma non bastavano.
Oggi con la scusa dell’emergenza Covid-19, come di ogni altra “emergenza” nella storia, si stanno ponendo le basi non solo politiche, ma anche sociali per un’acclamazione totale della realtà aumentata, del 5G e di tutto ciò che ci potrà in futuro far sembrare più protetti e sicuri nei confronti non solo di altre possibili epidemie, ma anche della natura malvagia e per tenerci a distanza da quei pericolosi, sporchi e malaticci esseri umani.È così che il pericolo più grande oggi, la reale posta in gioco, è quella di smarrire la nostra umanità (intesa come l’insieme delle capacità umane, empatia in primis). Tutto questo deve essere messo in discussione perché i nostri figli, o comunque le nuove generazioni, in futuro possano ancora avere la possibilità di stupirsi, innamorarsi e godere delle piccole cose, da un tramonto ad un fiore che sboccia, da un abbraccio forte e vigoroso ad una stella cadente.
Da sempre siamo stati schiacciati dal peso delle nostre catene, sono millenni che lavoriamo, viviamo e moriamo alla mercé di un meccanismo che ha come unico scopo la propria riproduzione e il consumo di ogni bene che la natura ci ha donato. Ishmael, il gorilla protagonista del romanzo omonimo di Daniel Quinn, direbbe che stiamo recitando la storia sbagliata e che questa non è assolutamente l’unica storia o la storia, ma
è solo quella che Madre Cultura ci ha insegnato a recitare da 12mila anni a questa parte. L’incantesimo quindi può e deve essere svelato e lo potremo fare solo mettendo da parte la nostra cultura predatrice e prevaricatrice, per lasciare spazio a quell’istintualità che da sempre ha guidato gli uomini non civilizzati nel corso di 3 milioni di anni e che ancora oggi gli permette di vivere in pace e armonia con il proprio ambiente e in una guerra permanente con la civiltà.
Questo forse è l’aspetto che più ci deve colpire, non c’è nulla di ineluttabile nulla è già stato scritto, tutto questo quindi può essere messo in discussione, passo dopo passo, perché l’essere umano è naturalmente Anarchico!
Quindi usciamo all’aria aperta, oggi pulita più che mai per lo meno in pianura padana, e riprendiamoci non solo la nostra salute, ma anche il piacere di una passeggiata in compagnia, del sole che scalda la pelle e l’animo e del vento che ci fa sbattere le palpebre, insomma il piacere di una vita che va vissuta non da dietro
uno schermo, ma nella realtà di tutti i giorni mettendo in discussione ogni verità che ci vorrebbero vendere a buon mercato e costruendo qualcosa di nuovo. La vita può essere molto meglio di questa triste e banale caricatura, la vita è tutta un’altra cosa e come diceva Valery: «Si alza il vento. Bisogna tentare di vivere» xi .

Selvaggia-mente

Per ogni tipo di osservazione, per un confronto o una semplice chiacchierata è attivo il seguente indirizzo
mail: rennaincattivita@insiberia.net
Note:
L. Van Der Post, Oltre l’orizzonte, TEADUE, Milano, 1998.
J. Diamond, Armi acciaio e malattie, Einaudi, Torino, 2014.
iii
Ibid.
iv
J. Zerzan, Futuro primitivo, Nautilus Edizioni, Torino, 2001.
v
Ibid.
vi
Ibid.
vii
Ibid.
viii
Ibid.
ix
L. Van Der Post, Il cuore del cacciatore, Adelphi, Milano, 2019.
x
J. Zerzan, Il crepuscolo delle macchine, Nautilus Edizioni, Torino, 2012.
xi
P. Valery, Il cimitero marino, Cahiers de “Dante”, Parigi, 1935.

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La pandemia della paura